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Riparazione auto, un business per 3434 imprese bresciane

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Riparazione auto

Al II trimestre dell’anno in corso a Brescia sono 3.434 le imprese totali appartenenti alla filiera auto composta da produzione e servizi, fabbricazione di autoveicoli, fabbricazione di carrozzerie, produzione parti e accessori, fabbricazione di motociclette e dei servizi di vendita autovetture, manutenzione e riparazione di autoveicoli. Di queste 135 sono attive nella produzione (in calo del -2,2% dallo stesso periodo dello scorso anno) e 3.299 sono imprese dei servizi e del commercio con una variazione positiva del 1,8%. Una filiera che dà lavoro a 16.835 addetti, 9.741 dei quali (il 57,9%) in imprese con meno di 50 addetti. È quanto emerge dall’analisi del comparto “Alcuni numeri chiave sulla filiera auto in Lombardia” pubblicato dall’Osservatorio Mpi di Confartigianato Lombardia in occasione della consegna del 36esimo premio Confartigianato Motori all’Autodromo di Monza nello scorso weekend, in concomitanza con il Gran Premio d’Italia di Formula 1. Entrando nel dettaglio, sul totale delle imprese sono 1.695 le imprese artigiane attive nella manutenzione e riparazione di autoveicoli, in lieve calo rispetto alle 1.704 del II trim 2017 (-0,5%). Sempre artigiane, questa volta in aumento del 1,2%, sono le 414 imprese (erano 409 nel II trim 2017) attive nelle riparazioni di carrozzerie.
«Tradizione e innovazione, tecniche artigiane e tecnologia sono tutte caratteristiche che appartengono al mondo dell’autoriparazione» commenta il presidente di Confartigianato Brescia e Lombardia Eugenio Massetti che prosegue: «I nostri artigiani, le nostre carrozzerie, meccanici, autoriparatori hanno il dovere di crescere per la sicurezza stradale e il rispetto dell’ambiente. Inoltre abbiamo incrementato l’attenzione alla formazione, potenziato le attrezzature di officine e imprese per restare al passo con l’innovazione delle nuove tecnologie. La tecnologia è cambiata completamente in questi anni, l’elettronica è il motore dei veicoli moderni e un’alleata importante delle automobili di oggi e di domani. Proprio sulla formazione professionale si sta giocando la partita del rilancio dell’occupazione giovanile italiana, da sempre una delle curve più pericolose della nostra economia. Il nostro Ufficio Studi ha da poco diffuso i dati sull’apprendistato, dimostrando come sia questa la porta d’accesso privilegiata al mondo del lavoro per i nostri giovani. Nonostante questo, l’Italia non si rende conto che apprendere un mestiere è fondamentale, per i giovani e per tanti territori come quello bresciano così ricco di piccole imprese e il settore dell’automotive racchiude un’ampia gamma di mestieri, di comparti e di figure professionali che richiedono una formazione completa e qualificata. In questo senso, l’apprendistato è l’unica via intelligente e sostenibile in chiave futura per i giovani».
Ma dal recente studio nazionale sul settore emerge anche la preoccupazione per il rischio dazi Usa sulle auto di produzione Ue che colpirebbe in modo diretto e indiretto anche i piccoli produttori della componentistica Made in Italy. L’Italia è infatti il primo paese Ue per addetti nelle piccole imprese della componentistica e le imprese italiane che esportano parti e accessori per autoveicoli sono ancor più esposte al problema in quanto il primo mercato estero di riferimento (21 per cento delle esportazioni) è la Germania, primo esportatore europeo di auto e parti accessorie negli Stati Uniti.
Inoltre, un sondaggio proposto in occasione dell’evento e che ha coinvolto un migliaio di imprese della filiera dell’autoriparazione, sempre realizzato da Confartigianato a livello regionale, annovera come prima problematica legata alla propria attività, quella legata al rischio della diffusione di prodotti acquistati on line, che entrano così nella circuito dell’automobile, con danno per le imprese e rischio per gli utenti. Una problematica, quella della concorrenza sleale, sentita da oltre la metà degli interessati (50,8%).
«Operatori abusivi che popolano il sommerso, in un mondo parallelo in cui non esistono regole e che produce danni ingenti alle casse dello Stato, alle imprese regolari, ai consumatori. Un fenomeno che ha ripercussioni negative non solo sui fatturati delle imprese che producono gli originali, ma anche per la concorrenza sleale subita dai distributori ufficiali e per i rischi che corrono gli acquirenti, spesso inconsapevoli» commenta il presidente di Confartigianato Massetti. Un sondaggio che ha purtroppo riscontri numerici accertati dalla stessa Confartigianato nell’ultima assemblea: l’economia sommersa nella filiera auto è un fenomeno in crescita: in quattro anni il valore aggiunto creato dal lavoro irregolare è aumentato di quasi il 9% e il numero degli operatori abusivi è lievitato del 2,5%.

I servizi alla persona danno lavoro a 76mila bresciani

in Economia/Partner/Salute/Tendenze by
Assistenza anziani

Cresce il settore dei servizi alla persona in Italia e Lombardia, secondo un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati del registro imprese 2018 e 2017, per un business che in regione supera i 27 miliardi di euro su oltre 100 a livello nazionale. Tra 2017 e 2018 le imprese attive passano da 781 mila a 794 mila a livello nazionale e da quasi 124 mila a oltre 125 mila in regione. Le imprese lombarde del settore pesano il 16% del totale italiano, quasi una su sei, e hanno circa 626 mila addetti su 3,3 milioni in Italia, il 19%.

I settori. Al primo posto in Lombardia la ristorazione, con 51 mila imprese su 334 mila in Italia, poi parrucchieri ed estetisti con oltre 23 mila attività su 141 mila in Italia, trasporto passeggeri su strada con 8 mila imprese su circa 34 mila in Italia. Ci sono anche oltre 5 mila attività che si occupano di riparazione su 29 mila in Italia e 4.700 di istruzione su 28 mila in Italia.

Il settore dei servizi alla persona in Lombardia. Milano è prima con oltre 46 mila imprese, 276 mila addetti e un giro d’affari annuo da 17 miliardi. Vengono poi Brescia con circa 17 mila imprese e 76 mila addetti, Bergamo con quasi 13 mila imprese e 63 mila addetti. Varese è quarta con 10 mila imprese circa e 43 mila addetti. Monza e Brianza ha quasi 9 mila imprese che danno lavoro a 34 mila addetti per un business di oltre 1 miliardo di euro mentre sono 2.300 le imprese del settore a Lodi con oltre 9 mila addetti e ricavi da circa 300 milioni.

In Italia per provincia. Prima Roma con oltre 71 mila imprese (circa 2 mila imprese in più in un anno), poi Milano con 46 mila (quasi mille imprese in più), Napoli con 36 mila (mille imprese in più), Torino con 30 mila e Bari con 18 mila. Per addetti, prima Roma con 280 mila, poi Milano con 276 mila (4 mila in più), Napoli con 124 mila, Torino con 114 mila e Brescia con 76 mila.

 

Occhiali da sole, un business da 2,4 miliardi di export all’anno

in Economia/Partner/Tendenze by
Occhiali da sole

Sono 900 le imprese italiane nella fabbricazione di lenti ed occhiali al primo trimestre 2018, +1,8% rispetto all’anno precedente, secondo un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza e Lodi sui dati Registro Imprese. Il made in Italy ha esportato occhiali da sole per 2,4 miliardi di euro in un anno, +1,3% tra 2017 e 2016, contro un import di 413 milioni. Gli occhiali italiani piacciono soprattutto negli Stati Uniti, mercato che assorbe il 27,4% dell’export (-0,9%) per circa 662 milioni di euro. La Francia è il secondo Paese, con oltre 250 milioni di euro di export (10,4%), terza la Spagna per un totale di 161 milioni di euro (6,7%, +1,9%). Gli occhiali da sole “made in Italy” piacciono anche nel Regno Unito per un valore di 154 milioni e in Cina per 143 milioni circa (+20,5%). Tra i principali Paesi, cresce l’export verso la Svizzera (+60,9%), Messico (+33,9%) e Russia (+22,6%). La Cina è il principale mercato da cui importiamo, 51,8% dell’import totale, +3,6%. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati Istat 2017 e 2016.

Fabbricazione, Veneto primo, in Lombardia un’impresa su nove. Al Veneto il primato dell’occhialeria nazionale (416 attività) con le prime due province italiane per numero di imprese, Belluno (213) e Treviso (146). La fabbricazione di occhiali in territorio lombardo conta 95 imprese, il 10,8% del totale italiano, e diminuisce del -4% in un anno. Milano e Varese, con circa 30 produttori ciascuno, sono l’area fulcro della produzione lombarda e si collocano al terzo e quarto posto tra le province italiane, Torino è quinta.

Il turismo a Brescia dà lavoro a 8mila famiglie

in Economia/Partner/Tendenze/Turismo by
Il tempio capitolino di Brescia

Sono quasi 2 mila le strutture ricettive milanesi, tra sedi di impresa, unità locali in e fuori provincia, su 7.103 in Lombardia e 79 mila in Italia, secondo i dati elaborati dalla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su fonte registro imprese al primo trimestre 2018 e 2017 relativi alle sedi di impresa e unità locali iscritte come imprese. Crescono del 4,9% in un anno, quasi 100 attività e strutture in più, e registrano quasi 21 mila addetti su 39 mila a livello regionale e 307 mila a livello nazionale. Si tratta soprattutto di alberghi (1.092) e alloggi per brevi soggiorni, tra bed & breakfast e residence (766) ma ci sono anche circa 70 tra villaggi turistici e ostelli. Crescono anche Monza Brianza che passa da 182 a 186 strutture, +2,2%, e Lodi da 42 a 47, +11,9%.

Settore turismo in Lombardia. Sono 7.103 le strutture ricettive, tra imprese e unità locali, il 9% italiano e in crescita del 6,5% in un anno. Occupano quasi 39 mila addetti, pesando il 12,7% sul totale di chi lavora nel settore in Italia. Il maggior numero di strutture alberghiere e turistiche si trova a Milano (1.999). Seguono Brescia con 1.449 attività e Sondrio con 992. Vengono poi Bergamo (684) e Como (613). In un anno la crescita maggiore va a Lecco (+22,7%) e Lodi (+11,9%).

Settore turismo in Italia. Oltre 79 mila attività tra sedi di impresa e unità locali, in crescita del 6,6% in un anno e con oltre 307 mila addetti.  Prima è Roma con 6.931 attività seguita da Bolzano (5.368), Napoli (3.134), Rimini (2.837) e Venezia (2.816). Milano è nona nella classifica nazionale per imprese ma terza per numero di addetti, dopo Bolzano prima con oltre 27 mila e Roma che ne ha oltre 23 mila. Rimini è quarta con 16 mila addetti e Venezia quinta con oltre 14 mila. Tra i primi dieci territori per numero di addetti del settore c’è anche Brescia, nona con quasi 8 mila lavoratori.

Brescia, da inizio 2018 sono sparite 334 imprese

in Economia/Partner/Tendenze by
Crisi

Nei mesi tra gennaio e marzo – tradizionalmente caratterizzato da un bilancio negativo tra iscrizioni e cessazioni d’imprese, a causa del concentrarsi di quest’ultime sul finire dell’anno e contabilizzate negli archivi camerali nelle prime settimane dell’anno successivo – sono nate 2.253 imprese e ne sono cessate 2.587, determinando un nuovo saldo negativo pari a 334 unità.

Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno si è registrato un rallentamento delle iscrizioni di nuove imprese e contestualmente le un aumento delle cessazioni. Il risultato è una nuova riduzione del numero delle imprese che ha portato a 118.591 le sedi registrate a fine marzo, il valore più basso dal 2006.

Anche per il comparto artigiano il primo trimestre si conferma in rosso, con un saldo negativo pari a 234 unità. E’ questa la dinamica che emerge dall’analisi sulla natalità e mortalità delle imprese bresciane realizzata dal Servizio Studi della CCIAA di Brescia e dal centro Studi AIB sui dati Movimprese.

Dal confronto territoriale si evidenzia che tutte le province lombarde, a differenza di Milano, hanno chiuso il trimestre con saldi negativi; il risultato di Brescia è tra i meno peggiori. Brescia si colloca, infatti, in seconda posizione dopo Milano per valore del tasso di sviluppo.

Bollette energia, Massetti: no a Pmi come strumenti per far cassa

in Associazioni di categoria/Confartigianato/Economia/Energia/Eugenio Massetti/Partner/Personaggi by
Eugenio Massetti, Confartigianato Brescia

Se all’inizio era confusione (QE 20/2) ora si può parlare di vero e proprio caos. La vicenda della socializzazione in bolletta degli oneri non pagati dai clienti morosi ha scatenato una reazione collettiva, in parte alimentata da notizie imprecise o false. È il caso della campagna partita l’altro ieri sui social network e su whatsapp, che annuncia un addebito di 35 euro sulla bolletta elettrica di aprile legato proprio al nodo morosità. Cifra campata in aria, ma non priva di fondamento. Visto che proprio l’altro ieri l’Autorità per l’Energia ha stimato un impatto sui clienti domestici di circa 2 € annui (seppure in relazione al solo debito accumulato dai distributori nei confronti dei venditori, QE 22/2). Peraltro con tempistiche più a lungo termine e sulla base di un meccanismo “graduale”.

La stessa Codacons è intervenuta ieri per precisare che “si tratta di una bufala a tutti gli effetti”. Ma non per questo l’associazione dei consumatori attenua la propria contestazione contro i provvedimenti dell’Autorità annunciando anzi di avere in preparazione un ricorso al Tar Lombardia contro la delibera 50/2018, quella che appunto tende a spalmare in bolletta il debito dei distributori. E si è mossa anche Confartigianato, che però si concentra più sul dco 52/2018 relativo ai rimborsi ai venditori. «L’Autorità per l’Energia ci ripensi. È inaccettabile la decisione di far pagare ai consumatori in regola gli oneri di sistema non riscossi dai clienti morosi. Si tratta di una scelta iniqua, che deresponsabilizza l’intera filiera energetica e danneggia le dinamiche concorrenziali del mercato» precisa Eugenio Massetti, presidente di Confartigianato Brescia e Lombardia e delegato di Confartigianato nazionale all’Energia che prosegue: «I clienti che rispettano i propri obblighi contrattuali dovrebbero accollarsi gli oneri di sistema di chi non paga? Se le società di vendita di energia falliscono non vi è forse anche una responsabilità di chi doveva vigilare? E se le imprese non sono in grado di valutare efficacemente la serietà dei propri clienti perché i costi di queste manchevolezze devono essere pagati da chi non ne è responsabile?».

Massetti giudica «incomprensibili le ragioni dell’Autorità, alla quale chiediamo di ritirare la consultazione sul meccanismo di riconoscimento degli oneri non riscossi ai venditori e di convocare al più presto tutti gli operatori del mercato dell’energia. Dopo le agevolazioni agli energivori, non sono accettabili ulteriori balzelli che trasformano le bollette delle piccole imprese in strumenti per “fare cassa” e compensare inefficienze in attività di legislazione, regolazione e controllo».

Chiude negozio storico di Brescia, Confesercenti lancia l’allarme

in Associazioni di categoria/Commercio/Confesercenti/Economia/Partner by

Cala il sipario su un altro negozio storico del centro città. La notizia, riportata oggi dagli organi di stampa, della prossima cessazione della Salumeria Castiglioni di via San Faustino, dopo 96 anni di attività, non rappresenta certo un buon segnale per il commercio cittadino ed invita a riflettere concretamente su una serie di temi che da molti anni, ormai, Confesercenti ha posto sul piatto.

“Ancora una chiusura nel centro cittadino. Un’altra vetrina storica che chiude i battenti: fatto che tanto più colpisce in quanto si tratta di un esercizio operante da quasi un secolo sul territorio – commenta Pier Giorgio Piccioli, presidente di Confesercenti della Lombardia Orientale –. E’ la conferma che occorre interrogarsi a fondo sul futuro del commercio cittadino, nelle aree centrali e nelle periferie e, soprattutto, che bisogna intervenire con urgenza se si vuole salvaguardare l’esistenza di questo mondo”.     

E’ chiaro, infatti, che la chiusura non è determinata esclusivamente da fattori legati alla crisi, anche se la contrazione dei consumi ovviamente incide. “Lo ribadiamo da anni e da anni lottiamo per queste ragioni – sottolinea Alessio Merigo, direttore generale di Confesercenti della Lombardia Orientale -. Le difficoltà di accesso al centro storico e il peso fiscale che grava sui negozi di prossimità sono tra i primi problemi. Oltre ad essere accerchiati dai grandi centri commerciali, questi esercizi non sono in grado di far fronte alla loro concorrenza e via via vanno estinguendosi, portando con sé delle tradizioni e un know-how spesso unici. Non solo: la cessazione progressiva delle attività ha come conseguenza l’aumento del degrado e delle condizioni di insicurezza dei centri cittadini, con un danno sociale evidente per la collettività”.

Le proposte di Confesercenti per contrastare il fenomeno riguardano la necessità di mettere in campo iniziative di sostegno per le piccole imprese, per esempio per la riqualificazione e l’ammodernamento e di ripensare i grandi temi della viabilità da parte dell’Amministrazione anche nell’ottica di un rilancio delle attività commerciali, che dovrebbero continuare a costituire un polo d’attrazione per chi vive o si reca in centro. “Sono valutazioni che non possiamo più procrastinare – afferma il direttore di Confesercenti se vogliamo conservare i valori di fondo della nostra civile convivenza. Le vie del centro hanno sempre rappresentato il cuore pulsante del commercio e, senza commercio, il centro muore. Quando si abbassa una saracinesca è una sconfitta di tutti, non solo per i commercianti, ma anche di chi amministra e dei cittadini”.  

Le risorse umane oggi: Persona 4.0 | INNOVATION CLUB

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di Stefano Urso, collaboratore di Inside (the black box) – In un contesto economico fluido e in continuo mutamento le organizzazioni sono costrette a rivalutare costantemente il loro rapporto con l’ambiente esterno. In un’epoca in cui il nucleo organizzativo centrale era protetto da un mercato facilmente prevedibile, la concezione dell’individuo era considerata come stabile nel tempo. L’impressione che il selezionatore si costruiva del candidato aveva lo stesso peso anche dopo anni da lavoratore dipendente. Strumenti che indagavano aspetti stabili, come la personalità, potevano essere degli ottimi alleati nel processo di selezione e valutazione del personale.

Se il mondo cambia, cambiano le persone

Alla luce della complessità del mercato e, conseguentemente, di quella organizzativa, ha ancora senso misurare la personalità come indice di previsione del comportamento? Se, da un lato, questionari che misurano la personalità sono molto utili e validi nel catturare le sfaccettature dell’individuo, dall’altro non possono garantire che quella persona sia la stessa sul luogo di lavoro.

L’individuo non è frutto solo di genetica ed educazione, ma è anche il risultato di esperienze (positive e negative), sia personali che lavorative, di relazioni, ecc. Ogni persona ha una storia che racconta a se stesso. Questa influisce in ogni cosa che crede, in ogni cosa che sente e in ogni comportamento che intende mettere in atto.

È davvero sufficiente, nel processo di selezione e valutazione del personale, considerare unicamente la personalità? Forse non è più corretto che sia così.

Ecco perché tutto ciò che confluisce nel termine “risorse umane” deve cominciare a ridefinirsi. Se il modo con cui ci immaginiamo la risorsa umana è cambiato, allora tutto ciò che ruota attorno ad essa deve cambiare. È un cambiamento che avviene senza la nostra volontà e che può apparire come una perdita di controllo. Quando sentiamo che il controllo sfugge dalle nostre mani, per sentirci meglio ci ancoriamo a ciò che è sicuro. Così troviamo società di consulenza che si trovano ad operare in un’industria 4.0 utilizzando gli strumenti del secolo scorso. Mentre le più autorevoli menti discutono di temi come l’intelligenza artificiale e le possibili ripercussioni morali sul mondo del lavoro e dell’umanità intera, chi effettivamente deve operare, nella pratica non risulta adeguatamente preparato e si ancora a stili di operatività non più consoni.

Risorse umane deve far rima con futuro

L’opinione pubblica ha molto a cuore il futuro dei lavoratori. Nei prossimi anni, così com’è successo nelle grandi rivoluzioni industriali, i lavoratori saranno messi a confronto con macchine efficienti e instancabili. In fin dei conti, una macchina, qualsiasi forma abbia, non si ammala, non si stressa, non ha famiglia, non si lamenta di uno stipendio che non ha, non ha bisogno di riposo e non è iscritta ai sindacati. In altre parole: sappiamo bene chi la spunterà nella guerra uomo-macchina.

Chi si occupa di risorse umane non può far finta che tutto questo non esista. Si può, alla luce di ciò, occuparsi di selezione usando come àncora valutativa uno strumento che non prevede competenze affini alla richiesta del mercato del lavoro odierno? Ci si può occupare di sviluppo e riqualificazione utilizzando teorie della psicologia clinica di inizio ‘900?

Ogni qualvolta un lavoratore, o potenziale tale, di qualsiasi ruolo e occupazione, viene valutato da qualcuno che ritiene autorevole, considera il risultato della propria valutazione come verità assoluta. Chi viene valutato, tendenzialmente, non conosce gli strumenti valutativi e non sa come sono stati costruiti. Qui è importante considerare la responsabilità di chi utilizza questi strumenti e dell’uso che ne fa.

Pretendiamo competenza, non solo da chi cerca lavoro

Quando si parla di valutazione, o di qualsiasi altra ricerca esplorativa della persona, bisogna essere in grado di trovare lo strumento adatto al tipo di ricerca, sia che essa sia libera o commissionata, adatto al contesto e al tempo. Non basta né una ricerca veloce su Google, né un semplice passaparola tra professionisti. La Psicologia sociale e del lavoro offrono un utile approccio teorico al contesto delle risorse umane. Soprattutto se amalgamate adeguatamente con altre branche come la psicologia clinica, della percezione e neuropsicologia. In questa epoca storica, solo chi ha alle spalle una conoscenza dei processi cognitivi, emotivi e comportamentali, che solo una preparazione accademica può fornire, può rispondere in maniera adeguata a ciò che richiede il mercato del lavoro di oggi e del futuro.

Ed è proprio dal contesto universitario che può nascere un nuovo approccio con l’obiettivo di portare le esigenze del mondo del lavoro su un piano più attento al valore della persona, tentando di sfondare e svecchiare un mercato delle risorse umane ormai saturo e un po’ addormentato. E’ necessario un approccio molto attento alla ricerca psicologica senza mai dimenticare il valore di chi è oggetto di ricerca. Il rigore e la cura nel processo di ricerca scientifica è fondamentale nella creazione di strumenti nuovi e adeguati al futuro sempre più incerto.

Ma non è tutto: occorre porre l’attenzione su chi veicola determinati strumenti. Sempre più professioni, dal facile rilascio di attestato, si sostituiscono alla figura dello psicologo, soprattutto nel campo delle risorse umane. Temi come benessere organizzativo, crescita e sviluppo personale/gruppale, analisi della qualità e percezione sociale faticano ad essere affrontate in maniera adeguata da chi non è del settore. Ridurre la complessità del mondo del lavoro in risposte semplici e generiche non può essere la risposta migliore di cui il mondo del lavoro ha bisogno. Velocità e innovazione può essere sinonimo anche di responsabilità e valorizzazione della complessità.

Selezione e valutazione 4.0

Ciò che emerge è un quadro in cui le risorse umane escono sconfitte da un ambiente imprevedibile e dinamico. Per riemergere e affrontare il futuro, le risorse umane 4.0 hanno bisogno di un accesso veloce, intuitivo e personalizzabile fornendo strumenti quantitativi e qualitativi flessibili quanto lo sono le organizzazioni che li necessitano. Attraverso piattaforme web è possibile costruire e modellare gli strumenti per l’HR. Da qui, un apposito algoritmo può accogliere e guidare le richieste del committente consegnando gli strumenti più adeguati in maniera semplice, diretta e immediata; senza intermediari.

Può sembrare un’azione azzardata: fornire uno strumento psicologico alle organizzazioni può avere delle criticità senza un’adeguata supervisione. La soluzione è usare la tecnologia a disposizione per (1) interpretare e guidare il cliente nella scelta e (2) ideare strumenti flessibili per adeguarsi alle richieste organizzative.

Quando il cambiamento diventa l’ordine del giorno, la conoscenza è l’arma fondamentale per anticipare i tempi.

Per maggiori informazioni: http://www.innovationclub.it

Come avviare un’azienda o un progetto Startup – 5 spunti operativi da Matteo Linotto

in Economia/Innovation club/Innovazione/Partner/Rubriche by
Matteo Linotto, Neos

Partire con il Perchè (Start with Why) 

L’idea sviluppata da Simon Sinek è semplice quanto potente. La maggior parte delle persone e delle imprese mette al centro della propria comunicazione “cosa” fa, lo fa seguire da “come” lo fa, e infine, talvolta, ma non sempre, dichiara “perché” lo fa.
Con una serie di esempi pratici e casi concreti e con il supporto delle teorie riguardanti il funzionamento del nostro cervello, Sinek sottolinea che la capacità di persuasione e di conseguenza di leadership, accresce notevolmente se il processo “come-cosa-perché” si inverte.
Il modello sviluppato da Sinek suggerisce quindi, al fine di avere un maggior impatto sul pubblico/interlocutore, di iniziare ogni comunicazione con “perché”, facendolo seguire da come e da cosa. Alla base dell’approccio sviluppato da Sinek vi è l’idea che la gente non “compri” ciò che una persona/azienda fa, bensì “compri” il “motivo” per cui fa quella cosa.
Questo spiega, ad esempio, la ragione per la quale alcune aziende non riescono a svincolarsi dal prodotto/settore in cui operano. DELL, ad esempio, in passato ha lanciato palmari e lettori mp3 che nessuno ha comprato. Il problema di DELL è che è vista come un’azienda che produce PC (COSA). Tutto il resto non risulta quindi credibile e appealing. Molto diversa la storia di Apple che, pur essendo stata fino a i primi anni del 2000 un’azienda che produceva computer, è riuscita a creare il lettore mp3 di riferimento per il mercato, ha acquisito una quota significativa del mercato della telefonia mobile e ha aperto il mercato dei tablet, sottraendo una quota significativa di vendite ai netbook. Questo è stato possibile –secondo la teoria di Sinek – perché Apple fin dall’inizio della sua storia non ha mai comunicato” COSA-COME”, bensì ha sempre fatto prevalere il PERCHE (la sfida allo status quo). Oltre al caso Apple, nel libro Sinek presenta altri casi aziendali e storici di persone e imprese che si sono distinte e hanno avuto successo proprio perché hanno seguito la regola del suo Golden Circle: Starting with why. Questo concetto sembra banale ma permette di analizzare il senso profondo della vostra iniziativa e creare ancora più ricchezza.

Definire lo scenario sul mercato attraverso un’attività di Competitive Intelligence 

Per quanto possiamo essere bravi o possiamo credere nella nostra idea dobbiamo considerare che in un mondo complesso ed interconnesso come è l’attuale i competitor esistenti e soprattuto quelli potenziali (anche perchè si potrebbero chiamare Amazon, Ali baba ecc…). Il principale elemento che può arricchire la vostra Start-up oltre alla vostra credibilità e il vostro Know-How è l’analisi competitiva. Al contrario di quello che si pensa uno dei documenti meno utili al posizionamento di una Startup è il Business Plan indispensabile certo per far capire quali dinamiche economiche si innescheranno ma essendo ancorato a valori assolutamente ipotetici e prospettici. Lo dovrete fare ma difficile che sarà l’elemento che convincerà i vostri interlocutori. Il Business Plan è quello che voi pensate di fare profondamente influenzato dal vostro entusiasmo l’analisi competitiva è oggettiva razionale.
Il fine dell’Intelligenza competitiva è di fornire informazioni adeguate a supportare i processi decisionali della dirigenza, relativamente alla competitività dell’impresa. Tecnicamente, l’IC è l’insieme delle azioni di ricerca, trattamento, diffusione e protezione dell’informazione utile alle aziende, focalizzate principalmente sulle informazioni esterne all’azienda.
Il principio fondamentale è stato enunciato da Michael E. Porter della Harvard Business School: « dare l’informazione giusta alla persona giusta, nel momento giusto per prendere la giusta decisione » Questa disciplina, nata insieme alla globalizzazione dei mercati e alla necessità di adottare un processo di anticipazione dei cambiamenti dei mercati e dell’ambiente economico, sta diventando un sostegno indispensabile al processo strategico usando l’informazione come strumento per migliorare le performance economica e/o tecnologica. La sua missione è “sapere per anticipare”. L’Intelligenza Economica si differenzia dal data mining o dalla Business Intelligence perché non si tratta, contrariamente a questi altri due strumenti, di un sistema informatico da introdurre in azienda e da far funzionare in automatico ogni qual volta si ricerca un’informazione; l’IE, come viene comunemente abbreviata, è una cultura di impresa che impregna un’organizzazione della cultura dell’informazione per passare dall’era dell’informazione a quella della conoscenza. In Europa i paesi più attivi in questo campo sono il Regno Unito e la Francia. In Italia è poco sviluppata ed esistono pochi siti su cui si possono trovare informazioni relative alla IE; le parole chiave da cercare sono “intelligenza economica”, “competitive intelligence”, “intelligenza competitiva”, “informazione strategica”.

Marketing Strategico: Definire un Brand e posizionarlo 

Il marketing strategico è “l’arte di posizionare un’aziende per renderla profittevole nel tempo”. Fare Marketing significa fare strategia. Il marketing è un’attività che può dare risultati solo nel lungo termine la comunicazione nel medio ed il commerciale deve portare i risultati nel breve (ed è per questo che è il mestiere più nobile).
Il posizionamento è il modo in cui un prodotto trova collocazione nella mente del potenziale consumatore. È un vantaggio rilevante per il consumatore target e differenziante dai vantaggi offerti da altri prodotti o servizi della stessa categoria. In base alla posizione mentale che si vuole andare a occupare, si definirà il prodotto e le altre variabili del marketing mix. Il posizionamento guida tutto il processo di marketing, inclusa la strategia. Ogni azione aziendale deve essere coerente al posizionamento stesso e farsene ambasciatrice. Il posizionamento è stato teorizzato da Jack Trout nel 1969, in uno scritto dal titolo “Positioning” is a game people play in today’s me-too market place”, uscito sulla rivista «Industrial Marketing», a cui hanno fatto seguito, nel 1972, due articoli scritti con Al Ries (The Positioning Era Cometh, in «Industrial Marketing»), culminati poi nella pubblicazione del libro Positioning: The Battle For Your Mind del 1981. I loro concetti, enucleati alla fine degli anni sessanta, sono considerati validi ancora oggi.
Nel marketing il Posizionamento è considerato come il processo per creare un’immagine nella mente del target. Questa immagine viene creata per far sì che un potenziale cliente possa associare dei valori a un prodotto, un brand, un’organizzazione. Ad esempio, associare a una marca di biscotti l’idea di famiglia, di calore, di genuinità.
Nel processo di Marketing Strategico il posizionamento è composto da:
> Creazione di una reputazione con selezione di criteri;
> Azioni di comunicazione sugli influencer (media) per amplificare la propagazione dei valori;
> Per mezzo degli influencer, la propagazione si indirizza verso l’audience come target di riferimento.
> Verifica del modello di business, del piano di vendita e del ROI (Return on investment);
> Feedback sulla strategia e potenziamento;
Molto spesso il posizionamento utilizza evocazioni che vanno al di là del mero consumo di un prodotto. Proprio per evocare situazioni ed emozioni legate all’utilizzo, che possano portare il consumatore a un’identificazione e quindi all’acquisto.

Costruire una meccanica di ingaggio per i tuoi clienti 

La tecnologia può aiutarti a dialogare facilmente con una platea vasta ma bisogna creare una meccanica che porti a te i clienti. Esistono 40 diverse meccaniche di ingaggio di versi che devono essere contestualizzate nello scenario del cliente.
Cito la tecnica del FRONT END / BACK END perchè è la più trasversale e la più adatta ad un business nascente (Startup). Se un’azienda che ha più linee di prodotti decide quali di questi prodotti sono il suo front end e li propone a condizioni particolarmente favorevoli e vantaggiose per attrarre i clienti e quali invece sono i prodotti che costituiscono il suo up e cross selling. Il vantaggio è spesso un’occasione economica legata al prodotto di front-end. Nel mondo quotidiano vediamo da consumatori questa strategia applicata quando andiamo in un supermercato attratti da un prodotto sottocosto o quando una famiglia si reca al McDonald perchè l’Happy Meal è molto conveniente.

Realizzare una strategia di membership al fine di avere un rapporto continuativo e ricavi ricorrenti 

Perchè Apple è la più grande società di informatica del mondo ? Non solo perchè fa i prodotti più belli ma perchè per avere un prodotto Apple dovete essere membri del club di Cupertino consegnando la vostra carta di credito con cui acquisterete Apps e una miriade di servizi con cui Apple prospera dando tra l’altro una percezione di servizio altissima al cliente. Sul mercato il valore della vostra azienda è legato a quanto sapete controllare il vostro parco clienti (e si intende paganti). Questo è un fondamentale cambio di paradigma perchè l’offerta non è costruita sulla base del valore dei vostri prodotti/servizi ed al vostro know-how bensi i vostri prodotti e servizi devono plasmarmi per offrire al vostro cliente un servizio ricorrente e continuativo.

L’Industry 4.0 non è costituita solo dall’ultima automazione di fabbrica per aumentare la produttività del magazzino ma è il ribaltamento del concetto stesso di domanda e offerta grazie alle tecnologie digitali.
Considerate che:
> Un cliente continuativo vale (almento) 10 volte un cliente normale;
> Una startup che sa creare rapporti continuativi con i clienti vale (almeno) 50 volte rispetto alla medesima iniziativa con clienti “spot”.

Se controllo il cliente posso organizzare un sistema d’offerta indipendente dalla mia capacità produttiva. Se sono un’azienda che produce caffè posso vendere in abbonamento non solo le cialde ma tutta una serie di servizi collegati alla pausa al relax in modo da differenziarmi da tutti i miei competitor. Ma per far questo devo avere ben in testa chi è il target dell’iniziativa ed ancor più il perchè (Start With Why !) questo target si è rivolto a me.
Si usa spesso la tecnica dei 3 livelli (Silver, Gold, Platinum) dove il primo offre al cliente un’opportunità di sottoscrizione che può recuperare con una o due transazioni mentre i livelli intermedio e quello completo sono destinati al cliente rispettivamente più o meno coinvolto.
Gestire una memebership inoltre significa:
> Una gestione più semplice della produzione, della logistica e di tutti processi interni;
> Migliore Cash Flow e quindi minore dipendenza dalle banche.

Per maggiori informazioni: http://www.innovationclub.it

Imprese green, a Brescia sono oltre mille

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Ambiente

L’attenzione per l’ambiente è sentito sempre più come un fattore di competitività dalle imprese: negli ultimi dieci anni sono quasi 20 mila i certificati ambientali ISO 14001 rilasciati in Italia e uno su cinque ad aziende lombarde (3.698 tra sedi, filiali e stabilimenti). Di questi 2 mila i rilasci nel 2017 fatti in Italia e 366 in Lombardia con un incremento in valore assoluto rispetto all’anno precedente rispettivamente di +173 e +8. Milano prima in Italia e in Lombardia per imprese certificate: 1.353 in dieci anni rispetto alle 1.026 di Roma, alle 905 di Torino, alle 580 di Napoli e alle 533 di Bologna. In Lombardia si distinguono anche Brescia con 470 certificazioni in dieci anni, Bergamo con 462, Monza e Brianza con 261, Varese con 248. Quasi 200 anche a Mantova e Como. In crescita i certificati rilasciati in un anno a Bergamo (+14), a Mantova (+7) e a Varese (+6). Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi su dati Accredia, Ente Italiano di Accreditamento.

Cresce l’economia green in Italia. Secondo un’elaborazione della Camera di Commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi su dati registro imprese, nel 2017 tocca le 53 mila imprese, +4% in un anno, +33% in cinque anni con 436 mila addetti. Un settore trainato dalla crescita delle grandi città: Milano con 4 mila imprese, Roma con 3 mila, Torino con 2 mila. È Bolzano a segnare la maggiore crescita in cinque anni, col raddoppio delle imprese, oggi a quota 1.848. In Lombardia in un anno il green aumenta del +3%, per un totale di 10 mila imprese e circa 80 mila addetti. In cinque anni il settore ha un incremento regionale del +28%. Imprese più diffuse a Milano (4 mila), Brescia e Bergamo (oltre mille), Varese e Monza con oltre seicento. Tra le province lombarde, il settore cresce maggiormente a Lecco e Monza (+6%).

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