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Il manichino sartoriale: comodo, pratico e regolabile

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Se si ha un negozio, che sia una piccola boutique o un grande atelier, non si può non dedicare la giusta importanza ai manichini. Questi sono uno strumento indispensabile per chi sta decidendo di allestire al meglio il proprio negozio all’interno o la vetrina all’esterno. Sicuramente la scelta di un manichino sartoriale può essere la soluzione più ottimale.

Cos’è un manichino sartoriale e come sceglierlo

Il manichino è quell’oggetto che può servire sia a chi decide di dedicarsi a piccoli lavori sartoriali in casa sia a chi decide di attrezzare un negozio. Infatti, risulta essere essenziale quando bisogna prendere le misure o confezionare un abito. L’azienda bresciana, Vetrinistica Studio, offre la comodità di scegliere un manichino sartoriale regolabile per uomo e donna che renderà queste procedure più semplici.

Quando non si ha il soggetto in carne ed ossa, il fantoccio potrà essere di grande aiuto, a maggior ragione se ci permetterà di regolare le misure nei punti essenziali come collo, petto, vita e fianchi oppure di poter giocare con l’altezza. Il busto sartoriale può essere di vario tipo sia dal punto di vista della struttura sia dal punto di vista dei materiali.

Innanzitutto, è importante precisare che la scelta del manichino sartoriale risulta essere la più conveniente perché sarà in grado di soddisfare le principali esigenze di chi commissiona. Può essere dotato di diverse basi per una perfetta stabilità e può essere realizzato in diverse colorazioni e finiture. Il busto può essere in polietilene, rivestito in lycra o in cartapesta. Si può scegliere che abbia le braccia o meno o la tipologia di base d’appoggio; tutti i desideri potranno essere esauditi. Capiamo le differenze e come sceglierlo.

Busti in polietilene

Il polietilene è un composto chimico, il più semplice dei polimeri sintetici. È la più comune tra le materie plastiche. Questo tipo di manichini con braccia di legno sono sia per uomo che per donna, l’attenzione al dettaglio sarà garantita. Per questi busti si potrà scegliere tra una varietà di modelli che si differenziano per taglia, per la presenza o no delle spalline in legno oppure per la possibilità di avere un attacco alla gamba o al bacino, dipenderà tutto dal modello scelto.

Se si dovesse decidere di utilizzare questo tipo di materiale, si potranno definire al massimo le finiture perché sono molteplici, c’è una vasta gamma di colori che i professionisti potranno mettere a disposizione. Chi sceglierà il busto con le braccia in legno potrà rifinire anche gli arti, imbellettandoli secondo il proprio gusto.

Busti in cartapesta

I manichini sartoriali si differenziano soprattuto per la loro estetica perché riproducono fedelmente le fattezze umane e questo garantirà che si adattino ad ogni tipo di stile, valorizzando ancor di più il proprio negozio. Gli abbinamenti sono variabili e permetteranno di creare più combinazioni con l’obiettivo di trovare l’incastro perfetto tra il busto e il proprio design nell’arredamento.

Tra le scelte sartoriali spicca il busto in cartapesta. Si parte dall’assemblaggio di una sagoma di polietilene con carta e colla di farina. La realizzazione passa successivamente nelle mani di esperti artigiani che daranno vita, levigando e spazzolando a mano, ad un pezzo unico; creato rispecchiando le proprie esigenze. Si ha la possibilità di realizzarli anche riciclabili al 100%.

Busti rivestiti in lycra

Se si vuole optare per un tessuto molto utilizzato per elasticizzare i vestiti, il lycra è il migliore. Può valorizzare i manichini scelti, ad esempio, per un negozio di sport. Vien da sé che la scelta di un busto rispetto ad un altro vari a seconda del locale in cui deve essere esposto. Questo tessuto è molto resistente e durevole nel tempo, infatti ha un’ottima resistenza ai lavaggi e alla luce solare.

Questi busti sono sempre realizzati partendo dal polietilene, poi vengono rivestiti. Risultano pratici e leggeri. Anche qui, come per i precedenti, c’è un’ampia scelta per le colorazioni e l’attenzione al dettaglio resterà sempre il punto cardine per raggiungere il risultato finale: una vetrina ben allestita che attiri l’occhio del passante che può diventare un potenziale cliente e un interno ben strutturato e coordinato.

Questi sono solo alcuni esempi di come si possono realizzare manichini sartoriali. Se si decide di acquistarlo, ci sono tanti altri vantaggi come la praticità; infatti, dato che può essere regolabile, non ci sarà più la necessità di chiamare più volte il cliente in negozio ma basterà prendere le misure una volta soltanto. Risultano pratici anche perché facili da montare e smontare.

Brescia, il settore Moda si rafforza, “ma rimangono criticità”

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Moda, foto da Pixabay

Nel 2020 le imprese bresciane attive nel settore Sistema moda hanno evidenziato risultati economici cautamente ottimistici, soprattutto se contestualizzati alla luce della crisi globale generata dalla pandemia da Covid-19.

A evidenziarlo è lo strumento dell’Indice Sintetico Manifatturiero – ISM, frutto della collaborazione tra il Centro Studi di Confindustria Brescia e OpTer (Osservatorio per il territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Nel dettaglio, tale indice, applicato ai bilanci 2020 di quasi 130 realtà bresciane attive nel comparto, fornisce una lettura sintetica di come la crisi da Covid-19 abbia impattato sull’economia di tale settore. Nel 2020 la quota di aziende che si posizionano nella classe A (quella che include gli operatori più virtuosi) si attesta al 28% del totale, scendendo di due punti percentuali rispetto a quella registrata nell’anno precedente. Qualche preoccupazione riguarda la quota della classe D (in cui fanno parte le aziende verosimilmente più fragili) che sale di ben quattro punti percentuali (dal 5% al 9%).

L’ISM è stato poi implementato per effettuare un confronto tra gli effetti sui bilanci delle imprese della crisi da Coronavirus, con la “Grande Recessione” del 2009, pur nella consapevolezza della diversa natura dei due fenomeni presi in considerazione. La recente crisi ha colpito duramente il settore Sistema Moda ma la marginalità industriale, a differenza del 2009, ha tenuto molto bene. Tutte le principali voci del Conto Economico, ad eccezione del fatturato, nel 2020 hanno avuto andamenti di gran lunga migliori rispetto a quelli rilevati un decennio prima. Nel 2020 i ricavi complessivi del comparto locale hanno subito una contrazione del 17,1%, a fronte di una riduzione del 14,7% sperimentata nel 2009. Il Margine operativo lordo, indicatore che esprime la redditività lorda industriale, ha evidenziato nel 2009 una caduta del 36,5%, contro il -16,7% nel 2020. Anche il Reddito operativo registra un forte calo 29,6%, solo in parte paragonabile a quello rilevato nel 2009 (-96,0%).

Seppure le conseguenze della crisi da Covid siano state pesanti per questo settore, lo strumento dell’ISM permette facilmente di vedere come il Sistema moda nell’ultimo decennio abbia vissuto un periodo di significativo rafforzamento, che ha permesso di reggere piuttosto bene all’urto della crisi economica. Tra il 2020 e il 2009 l’aggregato che accorpa le imprese nelle classi A e B cresce, passando dal 39% al 65%. Dall’altra parte la quota delle aziende verosimilmente più fragili non subisce variazioni (9% sia nel 2020 che nel 2009). Ciò denoterebbe un settore oggi relativamente più forte, ma ancora caratterizzato al suo interno da una certa polarizzazione. In generale, vanno apprezzati gli sforzi compiuti dalle aziende in questi anni alla ricerca di un maggiore grado di patrimonializzazione e verso un posizionamento nelle fasce di mercato a più alto valore aggiunto.

“Alla luce dei dati emersi da ISM restiamo positivi in vista del futuro. Il Covid è stato un evento traumatico, ma allo stesso tempo ha dato una spinta importante a molte aziende del nostro comparto – spiega Luigi Franceschetti, presidente del settore Abbigliamento, Magliecalze, Calzaturiero e Tessile di Confindustria Brescia –. Penso, in particolare, a tutto l’ambito dei processi informatici e dell’e-commerce. Migliorando questi due aspetti, e coniugandoli con la forza del “Made in Italy” tipica del settore, è stato possibile reggere in modo decisamente migliore l’impatto della crisi mondiale rispetto a quanto avvenne con la grande recessione del 2009. Le prospettive sul 2022 sono quindi incoraggianti, anche se restano alcune incognite legate a questioni di carattere mondiale come i rincari dell’energia. Un tema che coinvolge soprattutto i nostri subfornitori, ma che rischia di ripercuotersi sull’intera filiera.”

Il calzaturiero torna a volare: export +36%

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Prosegue la risalita nel comparto calzaturiero, ma i livelli pre-pandemia restano lontani in molti indicatori congiunturali. I risultati più confortanti arrivano sul fronte dell’export, trascinato dalle griffe. La fotografia del comparto scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici è stata presentata nell’ambito di Micam, il Salone Internazionale delle Calzature in corso a Fiera Milano Rho.

In Lombardia nel primo semestre 2021 il numero di imprese attive (tra calzaturifici e produttori di parti) ha registrato, secondo i dati di Infocamere-Movimprese, tra industria e artigianato, la crescita di una sola unità, accompagnata da un saldo negativo di -136 addetti. Sul fronte dell’export si registra un aumento del +36% in valore sullo stesso periodo dell’anno precedente, tra calzature e componentistica (con un +1,9% sui livelli pre-pandemia di gennaio-giugno 2019). Le prime 5 destinazioni dell’export lombardo nel primo semestre 2021 sono risultate: USA (+53%), Francia (+25,1%), Svizzera (+25,2%), Cina (+111,8%) e Corea del Sud (stabile, -0,3%, dopo l’incremento a doppia cifra dello scorso anno); assieme coprono quasi la metà dell’export regionale. Per quanto riguarda le ore di cassa integrazione guadagni autorizzate da INPS nel primo semestre dell’anno per le imprese lombarde della filiera pelle, si registra una crescita del +4,3% rispetto allo stesso periodo del 2020: sono state autorizzate 4 milioni di ore (con un +836% rispetto al primo semestre di due anni addietro).

Sull’andamento dello scenario nazionale è intervenuto Siro Badon Presidente di Assocalzaturifici e MICAM Milano: “Gli ultimi dati economici che tracciano il perimetro del nostro settore ci confortano, evidenziando come anche nel secondo trimestre dell’anno emerga un forte recupero nei principali indicatori dopo l’impennata già registrata a marzo. Un rimbalzo legato soprattutto al confronto con mesi in cui le restrizioni imposte ovunque durante il lockdown avevano fortemente condizionato le attività delle imprese, la distribuzione e i consumi. In particolare le elaborazioni del Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici mostrano incrementi a doppia cifra sull’anno precedente: aumentano sia la produzione industriale (+13%) che il fatturato (+22%), oltre alla spesa delle famiglie italiane (+17,4%); fa ben sperare l’export (+31,5% in valore). Allo stato attuale, però, resta ancora elevato il gap coi livelli pre-Covid. Se le vendite estero, grazie al terzismo per le multinazionali del lusso, limitano il divario col 2019 attorno al -5% in valore (ma con un -11% in quantità nei primi 5 mesi), domanda interna, produzione industriale e fatturato restano ancora decisamente al di sotto dei livelli, già peraltro poco soddisfacenti, di due anni addietro (con divari superiori al -15%): per 7 aziende calzaturiere su 10 il fatturato è ancora nettamente inferiore”.

Per quanto riguarda l’export a livello nazionale, trend disomogenei tra i mercati esteri: recuperano i flussi verso la Svizzera, corre la Cina (grazie alle griffe), rimbalzi notevoli per Francia e USA; male invece Giappone e Regno Unito. Sul mercato interno, dopo un avvio 2021 ancora negativo, segnali confortanti per maggio e giugno, in cui gli acquisti delle famiglie hanno sfiorato i livelli 2019; si attenua l’impennata delle vendite online. 

Il lungo periodo di forte difficoltà indotta dall’emergenza sanitaria sta lasciando il segno nei dati occupazionali: 2.000 addetti in meno da inizio anno (-3.000 considerando anche la componentistica); -61 i calzaturifici attivi. La Cassa Integrazione Guadagni nella Filiera Pelle, dopo il record del 2020, segna nel primo semestre un ulteriore +3,8%, con un numero di ore autorizzate dieci volte superiore a due anni addietro

Industria calzaturiera, export lombardo in leggera flessione nel primo trimestre

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Timidi segnali di rinascita nel primo trimestre 2021 per l’industria calzaturiera grazie all’export (+0,3% in quantità e +3% a valore il totale Italia) ma i livelli pre-covid restano lontani (export -07%). Secondo gli ultimi dati elaborati dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici, dopo le flessioni senza precedenti registrate nel 2020, con una perdita di circa 1/4 del fatturato e della produzione nazionale, il graduale miglioramento nella situazione epidemiologica, con il conseguente allentamento, in Italia e in diversi Paesi, delle misure restrittive adottate per arginare i contagi, ha favorito in avvio dell’anno un ritorno a livelli di attività un po’ meno negativi rispetto ai trimestri precedenti, benché ancora ampiamente sottotono.

In Lombardia nel primo trimestre 2021 il numero di imprese (tra calzaturifici e produttori di parti) ha registrato, secondo i dati di Infocamere-Movimprese, una flessione pari a -3 unità, tra industria e artigianato, accompagnata però da un saldo positivo di +113 addetti.Sul fronte dell’export si registra una contrazione del -0,7% in valore sullo stesso periodo dell’anno precedente, tra calzature e componentistica. Le prime 5 destinazioni dell’export lombardo nel primo trimestre 2021 sono risultate: Francia (+3,6%), USA (-16,2%), Corea del Sud (-26,5%), Cina (+36,4%), Hong Kong (+0,3%). La Lombardia, con una quota del 16,9% del totale, è la terza regione italiana per fatturato export dietro al Veneto e alla Toscana. Pari al -6,8% il gap con i livelli del primo trimestre 2019 pre-pandemia.

La ripresa è ancora distante, sebbene l’attenuarsi della virulenza pandemica riesca a farci intravedere la luce in fondo al tunnel – spiega Siro Badon, Presidente di Assocalzaturifici commentando i dati nazionali del settore – Se sul fronte estero il rimbalzo di marzo è bastato per riportare i risultati del trimestre almeno sui valori della prima frazione 2020, non così sul mercato interno, dove la chiusura dei negozi nei centri commerciali nel weekend, misura rimossa solo lo scorso maggio, ha indotto un ulteriore calo negli acquisti delle famiglie rispetto ai primi 3 mesi di un anno addietro. I tempi di recupero non saranno brevi, con pesanti conseguenze sulla selezione tra le imprese e la tenuta occupazionale. In particolare, la produzione nazionale evidenzia nel primo trimestre una flessione del -6,4% su gennaio-marzo 2020 e addirittura un -30% circa sull’analogo periodo 2019 pre-pandemia. Sul mercato interno, gli acquisti mostrano un calo del -3,5% in quantità e del -6,9% in termini di spesa, con un divario superiore al -20% su due anni addietro”.

Il report di Assocalzaturifici indica come anche il prezzo medio al paio degli acquisti delle famiglie italiane sia diminuito nel primo trimestre del -3,5%, a causa del maggior peso, sul totale, di calzature leisure e pantofoleria, dal valore medio più contenuto rispetto a quelle per occasioni formali. Solo le calzature sportive e le sneakers evidenziano un recupero nei consumi (+7,8% in volume), seppur decisamente parziale.

Sul fronte dell’export, nei dati nazionali emerge l’incremento dei flussi verso Svizzera (+13% in quantità) e Francia (+8% in quantità), entrambe legate al terzismo effettuato per le griffe internazionali del lusso, e fuori dall’Europa la crescita della Cina (+44,4% in volume e +74,8% in valore sui primi 3 mesi 2020), che ha interessato in particolare l’alto di gamma (il prezzo medio verso questo mercato è cresciuto del 21%) premiando quindi soprattutto i grandi marchi del fashion. A favorire queste performance, l’espansione economica del Paese, il revenge spending dei consumatori dopo le restrizioni subìte durante l’emergenza sanitaria, e l’ingresso diretto di merci che in precedenza transitavano da Hong Kong (che registra infatti una contrazione dell’11,4% delle calzature in arrivo dall’Italia). Le esportazioni attuali verso la Cina risultano ben al di sopra dei livelli 2019 pre-Covid (+11,2% in volume e +24% in valore). “A queste performance positive – continua Badon – fanno da contraltare i ritmi blandi per alcuni importanti tradizionali mercati di sbocco, come Germania (-0,8% in quantità), USA (che dopo aver perso il 30% nel corso del 2020 segnano nel primo trimestre un modesto +3,5% in volume, con un -8,6% in valore) e Spagna (-5,9% in quantità), cui si aggiunge il crollo delle vendite nel Regno Unito (in caduta di oltre il 40% su gennaio-marzo dello scorso anno)”. Il saldo commerciale dei primi 3 mesi risulta in attivo per 1,13 miliardi di euro (+11,2%), sebbene ancora inferiore del -4,3% rispetto a due anni addietro.

A livello territoriale emerge un andamento disomogeneo. Tra le principali regioni esportatrici, recupero considerevole in valore per la Toscana (+28,7% su gennaio-marzo 2020) e trend comunque positivi per Veneto (+6,2%), Piemonte (+11,5%), Puglia (+2,5%) e Campania (+2,2%). Le Marche (-11,7% globalmente, con Fermo e Ascoli di nuovo in calo, -16,5% e -22,7% rispettivamente, e un timido +4,5% per Macerata) e l’Emilia Romagna (-32,1%, con il crollo dei flussi di Piacenza legati alla logistica, -80%, e Forlì-Cesena invariata, +0,5%) presentano invece arretramenti. Pressoché stabile la Lombardia (-0,7%). Tutte comunque, ad eccezione del Piemonte, risultano ancora al di sotto dei valori di export 2019 pre-Covid. Nella graduatoria per province, exploit di Firenze (+44%, con un +16% anche sul primo trimestre 2019), saldamente al primo posto (con una quota del 18,2% sul totale nazionale). Nella lettura di tali dati vanno comunque considerate le distorsioni prodotte in caso di discrepanza tra provincia/regione di produzione e di successiva spedizione. Questo spiega la forte crescita recente (grazie a nuovi insediamenti logistici, spesso legati alle vendite online o a depositi delle multinazionali del lusso) dell’export da territori in cui, tradizionalmente, la produzione calzaturiera non è radicata; così come i crolli improvvisi.

Infine, per quanto riguarda la demografia delle imprese, a fine marzo si contavano in Italia 4.097 calzaturifici attivi, tra industria e artigianato (55 in meno su dicembre 2020, corrispondenti al -1,3%) e 71.644 addetti (-238, pari al -0,3%). Considerando anche i produttori di componentistica per calzature, i saldi negativi sul consuntivo 2020 salgono a -123 aziende e -587 addetti. Dati che suscitano qualche timore per la tenuta occupazionale dei mesi a venire, soprattutto quando verrà meno il blocco dei licenziamenti. Le ore di cassa integrazione guadagniautorizzate da INPS nei primi 4 mesi dell’anno per le aziende della Filiera Pelle restano su livelli eccezionalmente alti, 24 milioni, malgrado il -6,8% su gennaio-aprile dello scorso anno. Nell’analogo periodo di due anni addietro, prima dello scoppio dell’emergenza sanitaria, le ore erano 2,8 milioni; e 10,3 milioni nel 2010, in piena crisi economica mondiale. Campania (+53%), Emilia Romagna (+28,5%) e Umbria (+92%) le regioni con un ulteriore aumento sul 2020. La Toscana (-2,2%) quella col maggior numero di ore autorizzate nel trimestre (6,1 milioni), seguita dalla Campania (5,1 milioni) e dalle Marche (3,7 milioni di ore).

In Lombardia 2,2 milioni le ore autorizzate, in calo del -2,5% sui primi 4 mesi 2020.

Moda, nel Bresciano le imprese del settore sono 3.700

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Moda a Milano: tra produzione, commercio e design sono oltre 13 mila le imprese attive nel settore e circa 100 mila gli addetti coinvolti per un giro d’affari di oltre 20 miliardi di euro, circa un quinto del fatturato italiano delle imprese della moda, che supera i cento miliardi, secondo i dati della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, in una elaborazione Monza Brianza Lodi su dati registro imprese, Aida – Bureau van Dijk e Istat 2019 e 2018.

La moda in Italia conta 219 mila imprese e 833 mila addetti per un giro d’affari di oltre cento  miliardi all’anno. Nel design eccelle Milano con oltre 2 mila imprese seguita da Torino con 1.200 attività mentre nel commercio, tra ingrosso e dettaglio, nelle prime posizioni ci sono Napoli con circa 15 mila imprese e Roma con 11 mila. Milano, oltre ad essere prima per design, è al terzo posto in Italia per il commercio con 7 mila imprese e al quarto per il manifatturiero moda, con 4 mila imprese, dopo Prato e Firenze con 6 mila e Napoli con 5 mila.

Sono 33 mila le imprese attive nel settore della moda in Lombardia, di cui oltre 13 mila nella produzione moda, 16 mila nel commercio e quasi 5 mila nel design. Occupano circa 200 mila addetti per un business di oltre 35 miliardi di euro all’anno. Dopo Milano, che è prima con oltre 13 mila imprese, vengono Brescia (3.705), Bergamo (3.254) e Varese (3.168). Circa 2.500 le imprese, invece, a Como e Monza Brianza. Per addetti, dopo Milano,  vengono Bergamo con circa 20 mila, Brescia, Como e Varese con circa 15 mila e Monza Brianza con quasi 10 mila.

Fashion, le imprese del settore Moda nel Bresciano sono 4mila

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Moda a Brescia

Al via la Milan Fashion Week, dal 19 al 25 febbraio. Tra le sedi della manifestazione Palazzo Giureconsulti della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi, in piazza Mercanti angolo piazza Duomo. Milano guida in Italia per le circa 2 mila imprese del design. Le imprese della moda nel territorio milanese sono 13.196, stabili rispetto allo scorso anno. Cresce l’export di tessili milanese e supera nei primi nove mesi del 2018 i 5 miliardi in nove mesi, +6% in un anno. Le imprese della moda milanesi danno lavoro a 91 mila addetti su 192 mila in Lombardia e 846 mila nazionali e hanno un giro d’affari che supera i 20 miliardi di euro. La città delle sfilate pesa il 6% del settore italiano in termini di imprese e l’11% per addetti ma oltre il 20% dei ricavi. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati del Registro delle Imprese e Aida – Bureau van Dijk e su dati Istat.

Nella moda traina il design, +2,3% in Italia le 18 mila imprese. Milano prima con 2 mila, +4% in un anno. In Lombardia oltre 4 mila imprese, + 1%.

Lombardia, 34 mila imprese nella moda. Per numero complessivo di imprese Milano domina con 13 mila, seguita da Brescia con quasi 4 mila, Bergamo e Varese con oltre 3 mila. Superano le 2 mila anche Como e Monza e Brianza. Sono 362 a Lodi. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi su dati del registro delle imprese al 2018.

Le imprese della moda in Italia: sono 221 mila, di cui 34 mila in Lombardia, prima regione, seguita da Campania con 32 mila e Toscana con 28 mila. Tra le province prima Napoli con  21 mila (+0,5% in un anno), seguita da Roma con 15 mila e Milano con 13 mila. Vengono poi Firenze, Prato, Bari e Torino.

Lombardia, quasi 34 mila imprese nella moda. Per numero complessivo di imprese Milano domina con 13 mila, seguita da Brescia con quasi 4 mila, Bergamo e Varese con oltre 3 mila. Superano le 2 mila anche Como e Monza e Brianza. Sono 365 a Lodi. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi su dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2018.

Le imprese della moda in Italia: sono 222 mila, di cui 34 mila in Lombardia, prima regione, seguita da Campania con 32 mila e Toscana con 28 mila. Tra le province prima Napoli con quasi 21 mila, seguita da Roma con 15 mila e Milano con 13 mila. Vengono poi Firenze, Prato, Bari e Torino. In Italia le imprese maschili pesano nel settore moda per il 58%.

Export lombardo di moda nel mondo: sfiora i 10 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2018, +3,6% rispetto all’anno precedente, una crescita superiore a quella italiana (+2,3%). Rappresenta un quarto del totale italiano che è di 39 miliardi. Milano leader in Lombardia e in Italia per export: con un valore di 5,2 miliardi nei primi nove mesi, +6,4% rispetto allo scorso anno. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati Istat. In Lombardia seguono Como con 1,1 miliardi, Bergamo con quasi 756 milioni, Varese con 704 milioni (+3%) e Mantova con 665 milioni. In fote crescita Lodi che passa da 40 a 59 milioni +47,1% e Pavia da 147 a 178 milioni, +21,1%. In crescita anche Cremona (+5,1%). Gli Stati Uniti diventano nel 2018 il maggior partner per l’export lombardo con 979 milioni, +11,2%. Seguono Francia con 911 milioni, Hong Kong con 818, Cina con 713 (+13,6%) e Germania con 652. Crescita a due cifre anche per Austria (+21,9%), Croazia (+21,4%), Canada (+17,3%), Emirati Arabi Uniti (+16,7%) e Giappone (+14,1%).

Moda, nei primi sei mesi del 2018 sono 20 le nuove aziende bresciane

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Moda, foto da Pixabay

Disegnatori di modelli orafi o cartamodelli, sartorie artigianali, laboratori che producono materiali e tessuti in fibre tecniche, stilisti, ricamatori di alta moda, produttori di borse di lusso o abbigliamento sportivo, progettisti di costumi, assemblatori di cinture in pelle e realizzatori di caschi customizzati: sono oltre mille le imprese di giovani nate nei settori del manifatturiero moda e del design nei primi sei mesi del 2018 in Italia, il 15% delle quali (162) in Lombardia, secondo i dati elaborati dalla Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su fonte registro imprese. Pesano circa il 27%, oltre un quarto, di tutte le imprese nate nel comparto nello stesso periodo. Si tratta soprattutto di imprese del settore abbigliamento, 434, poi del design, 423, ma ci sono anche 143 imprese specializzate in articoli in pelle e 71 in tessile.

Le giovani imprese della moda hanno aperto soprattutto a Firenze, Milano e Prato, circa 70 imprese in ciascun territorio, poi a Napoli, Torino e Padova. In termini di peso sul totale delle imprese del settore iscritte nel 2018, è a Crotone, Vibo Valentia, Catanzaro, Rieti e Imperia che, invece, giovani incidono di più.

Moda e nuove imprese di giovani in Lombardia. Sono 162 le imprese di giovani specializzate nei settori della moda e iscritte nei primi sei mesi del 2018 in regione su 612 in totale, il 27%. Milano è prima con 67 nuove imprese giovani, seguita da Bergamo e Brescia (circa 20), Mantova, Como e Monza Brianza. Per peso delle imprese giovani sul totale prime sono Sondrio e Lecco con quasi una nuova iscritta su due. Tra i settori prevale il design, circa la metà del totale (80 imprese su 162) seguito dalla produzione di abbigliamento (59 imprese iscritte).

Cotonella, Maurizio Zannier passa il timone al figlio Marco

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I vertici di Cotonella

Cambio ai vertici per la società Cotonella, storica azienda dell’underwear con sede a Sonico in provincia di Brescia. Il Presidente e fondatore dell’azienda Maurizio Zannier ha ceduto la Presidenza del Consiglio di Amministrazione della Società al figlio Marco Zannier, 37 anni.

Marco, sposato e padre di due figli, lavora nell’azienda di famiglia da più di 15 anni, dove ha ricoperto diversi ruoli chiave nei settori acquisti, commerciale e sviluppo retail, oggi eredita il timone dell’azienda fondata dal padre in Valle Camonica nel 1972.

La nomina della nuova governance mira a favorire il passaggio generazionale e a rafforzare la strategia di sviluppo dell’azienda nel pieno rispetto della tradizione familiare.

Cotonella S.p.A. è un’azienda con più di 45 anni di storia tutt’oggi controllata interamente dalla famiglia Zannier: nel CDA sono presenti oltre a Marco e a Maurizio Zannier anche Donatella Colombi e Silvia Zannier rispettivamente moglie e figlia del fondatore.

Moda, a Brescia le imprese del settore sono 3.876

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Moda a Brescia

Sono oltre 13 mila le imprese attive a Milano nel settore moda, tra produzione, commercio e design, su 34 mila in Lombardia e 224 mila in Italia secondo i dati del Servizio Studi, Statistica e Programmazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su fonte registro imprese e Aida – Bureau van Dijk. Danno lavoro a 91 mila addetti su 192 mila in Lombardia e 846 mila nazionali e hanno un giro d’affari che supera i 21 miliardi di euro su 35 lombardi e circa 110 italiani. La città delle sfilate pesa il 6% del settore italiano in termini di imprese e l’11% per addetti ma oltre il 20% dei ricavi. E il settore continua a crescere a Milano, +0,7% in un anno.

Il settore moda in Lombardia. 34 mila imprese, 192 mila addetti e ricavi per circa 35 miliardi di euro, sono questi i numeri della moda lombarda. Sono quasi 14 mila le imprese attive nella produzione, oltre 4 mila nel design e 16 mila nel commercio. La Lombardia pesa il 15% nazionale per imprese e il 23% per addetti. Tra i territori, dopo Milano che è prima, vengono Brescia (3.876 imprese e 15 mila addetti), Bergamo (3.365 imprese e 18 mila addetti), Varese (3.285 imprese e 16 mila addetti), Como (2.533 imprese e 16 mila addetti) e Monza Brianza (2.335 imprese e 9 mila addetti). E se il settore rallenta nel 2017, segnano una crescita Sondrio (+1,4%), Milano (+0,7%) e Monza Brianza (+0,4%).

Il settore della moda in Italia. Si tratta di 224 mila imprese con 846 mila addetti e un business di circa 110 miliardi. Il settore manifatturiero tra tessili, abbigliamento, pelletteria e calzature, conta su oltre 82 mila imprese, il design quasi 18 mila e oltre 120 mila il commercio. Se Napoli (con 21 mila attività), Roma (15 mila) e Milano (13 mila) sono prime per numero totale di imprese coinvolte nel settore, Firenze e Prato sono prime nel Paese per imprese specializzate del manifatturiero (circa 6.500 ciascuna), Napoli e Roma per commercio (rispettivamente circa 15.600 e 11.400 imprese) mentre Milano e Torino sono prime per design con 1.900 e 1.200 imprese. Milano è anche prima per giro d’affari con oltre 21 miliardi, il 20% nazionale, seguita da Vicenza e Firenze con circa 7 miliardi l’una.

Moda, in Lombardia è soprattutto un affare da uomini

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Moda a Brescia

Verso Milano Moda Uomo, dal 12 al 15 gennaio. Quanto pesa la moda al maschile nelle imprese? Su 34 mila in Lombardia tra produzione, commercio e design oltre 21 mila sono guidate da uomini, il 62% del totale, soprattutto nell’attività di design, tre su quattro (75%) e nella produzione, quasi due su tre (63,4%). Superano la media regionale Milano (66%), Varese e Como (65%). Nel design superano l’80% a Cremona e Pavia e nella produzione arrivano al 70% a Varese e Como. Più forte la presenza femminile nel commercio dove le donne rappresentano il 43% e gli uomini il 57% ma non a Milano dove le imprese al maschile sono comunque quasi due su tre (64%). Per numero complessivo di imprese Milano domina con 13 mila, seguita da Brescia con quasi 4 mila, Bergamo e Varese con oltre 3 mila. Superano le 2 mila anche Como e Monza e Brianza. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi su dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2017 e 2016.

Le imprese della moda in Italia: sono 224 mila, di cui 34 mila in Lombardia, prima regione, seguita da Campania con 32 mila e Toscana con 28 mila. Tra le province prima Napoli con quasi 21 mila, seguita da Roma con 15 mila e Milano con 13. Vengono poi Firenze, Prato, Bari e Torino. Milano eccelle però nel design con quasi 2 mila attività specializzate. In Italia le imprese maschili pesano nel settore moda per il 58%.

Export lombardo di moda nel mondo: 9,6 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2017, +4,3% rispetto all’anno precedente, una crescita di poco superiore a quella italiana (+3,8%). Milano leader in Lombardia e in Italia per export: con un valore di quasi 5 miliardi nei primi nove mesi, +9% rispetto allo scorso anno. Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi su dati Istat. In Lombardia seguono Como con 1,1 miliardi, Bergamo con quasi 765 milioni (+6%), Varese con 683 milioni (+2,1%) e Mantova con 633 milioni. In crescita anche Brescia (+2,4%) e Cremona (+5,4%). Stabili Monza Brianza e Lodi. Principali clienti lombardi sono: Francia, Stati Uniti e Hong Kong. Tra i primi, crescita a due cifre per Stati Uniti (+10%), Cina (+21%), Corea (+18%) e Russia (+16%).

L’export italiano di moda supera i 38 miliardi di euro in nove mesi. Milano è prima con 4,9 miliardi e rappresenta il 13% del totale. Seguono Firenze (10,5%), Vicenza (8,6%), Treviso (4,9%) e Prato (4,2%). Sul 3% si attestano Reggio Emilia, Bologna, Verona, Como e Biella.

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