Ecologia e ambiente, foto generica da Pixabay

Una criptovaluta per salvare il pianeta: il progetto di Free Seas SB

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Una criptovaluta per salvare il pianeta. Niente Ethereum e Bitcoin, ma CfER, acronimo di Coin for Enviromental Regeneration: una nuova moneta elettronica che servirà a finanziare progetti di rigenerazione ambientale, recuperando aree ed ecosistemi danneggiati da materiali e sostanze inquinanti. Sarà – secondo quanto informa BsNews / Brescia news – la prima piattaforma italiana per progettare, sostenere e, appunto, finanziare progetti di questo tipo: l’idea è targata Free Seas srl Società Benefit, start-up innovativa con sede a Trento ma che parla anche bresciano, nata nel giugno del 2019 ad opera di un gruppo di imprenditori e professionisti, che condividono la necessità di dare una risposta concreta a problemi ambientali, che devono essere affrontati in tempi brevi. La società ha ottenuto la configurazione di Società Benefit nel luglio di un anno fa, a conferma del suo costante impegno per il miglioramento dell’ambiente.Un organo importante, di cui Free Seas SB intende dotarsi, disciplinato all’interno dello statuto e da uno specifico regolamento, è un Comitato Scientifico che sovrintende alla qualità e congruità dei progetti avviati con la missione aziendale.

Il team di Free Seas SB si compone dei trentini Diego e Lavinia Albertini, dei bresciani Pietro Francesco Noci, Paride Gregorini, Marco Bogarelli e Ludovico Seppi.Un sistema digitale per progetti di rigenerazione ambientale

L’iniziativa di Free Seas SB prevede di definire un sistema digitale di emissione crediti (token) per il finanziamento di progetti di rigenerazione ambientale, basato sulla quantificazione di impatto, analisi costi-benefici e tokenizzazione dei costi. Il rilascio di token darà valore ai progetti in modo proporzionale alla rigenerazione attuata su territori, aria, acqua e foreste: l’obiettivo, a lungo termine, è la creazione di un mercato italiano del credito per la rigenerazione ambientale, in cui i token – che attestano la rigenerazione avvenuta – vengano accettati come credito fiscale (o altra forma incentivante) per imprese e privati virtuosi, in quanto concreto investimento a beneficio della collettività.

Come funzionerà il sistema (in blockchain) dei CfER

L’ambiente, in cui si sviluppa questo modello, è l’ormai celebre blockchain. Ovvero: una tecnologia di registro su rete capace di collegare blocchi di dati (blocks) in concatenazione (chain) per mezzo di crittografia avanzata. Ogni nuova trascrizione di informazione sul registro, per essere approvata, deve ricevere la totalità del consenso della rete: ogni trascrizione approvata diventa quindi parte costituente di un blocco, che viene registrato per validazione della rete stessa, risultando quindi immutabile. Attraverso la propria piattaforma, Free Seas SB emetterà 13 miliardi di token: non saranno mai emessi nuovi token, e gli stessi finanzieranno i progetti di rigenerazione di porzioni di ambiente ammalorate da elementi inquinanti. I token CfER potranno essere acquistati sia con valuta corrente che con criptovaluta.

Già avviata la prima raccolta fondi

Free Seas SB propone dunque il primo standard italiano, basato su blockchain, per il miglioramento dell’ambiente, con una criptovaluta “green”: in questi giorni è stata lanciata la prima raccolta fondi – tutte le informazioni su free-seas.it o eppela.com – per finanziare la costruzione della piattaforma basata su blockchain Algorand, per realizzare un progetto pilota di raccolta rifiuti in mare, incentivando, con l’assegnazione di token CfER, la raccolta dei rifiuti (plastica per la maggior parte) da parte dei pescherecci ed il loro successivo conferimento. Buona la prima? Con questa raccolta fondi verrà effettivamente validato lo schema di valutazione dell’impatto generato da un’emergenza ambientale, in modo che sia replicabile, e avviata tecnicamente la piattaforma tecnologica (in blockchain) su cui si basa l’economia di CfER. Il quadro in tal senso è purtroppo chiaro: in tutta la penisola si contano 12.482 siti ambientali a rischio, e di questi 58 sono considerati di “livello nazionale” con “grave rischio sanitario”.

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