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Tendenze - page 4

“Made in Brescia”: 144 le imprese a partecipazione estera; generano un fatturato di 4,3 miliardi

in Economia/Manifatturiero/Tendenze by

Le imprese manifatturiere bresciane a partecipazione estera ammontano a 144 unità: nel 2021 (ultimo anno disponibile) hanno realizzato un fatturato pari a 4.321 milioni di euro, un valore aggiunto di 1.104 milioni e hanno dato lavoro a oltre 11.300 addetti, a testimonianza del loro peso sul territorio.

A evidenziarlo è l’edizione 2023 della ricerca “Multinazionale Brescia”, realizzata dal Centro Studi di Confindustria Brescia e riportata da Brescia news: lo studio offre un approfondito censimento delle aziende locali partecipate da operatori stranieri (investimenti inward) e delle iniziative all’estero da parte delle realtà bresciane (investimenti outward). Il report ha riguardato, per entrambi i fronti, esclusivamente le realtà manifatturiere, con forma giuridica “società di capitali”, caratterizzate da un volume d’affari superiore a 1 milione di euro.

Sulla base di quanto emerso dallo studio, le imprese manifatturiere a partecipazione estera rappresentano il 4,6% della popolazione di riferimento, ma incidono per il 10,3% dei ricavi complessivamente generati dell’industria bresciana, per il 10,8% del valore aggiunto e per il 10,3% dell’occupazione.

Dal punto di vista delle aree geografiche di provenienza del soggetto investitore, l’Unione Europea guida la classifica delle multinazionali attive sul territorio: ben 80, per un totale di quasi 5.700 dipendenti. Al secondo posto si colloca, a distanza, il Nord America, con 30 partecipazioni e oltre 2.700 addetti. Seguono, entrambe con 15 imprese detenute, l’Asia e l’Europa non UE. Più nel dettaglio, per quanto riguarda i Paesi di provenienza, al primo posto si posiziona la Germania, che vanta 35 imprese bresciane partecipate, con oltre 2.600 addetti; seguono gli Stati Uniti (27 imprese, con più di 2.500 addetti) e la Francia (19 aziende, con oltre 800 dipendenti), in una classifica che vede la presenza, sul territorio bresciano, di investitori originari di 24 Paesi esteri.

“Il censimento realizzato dal Centro Studi permette di scattare una fotografia più ampia sul fenomeno dell’internazionalizzazione delle aziende bresciane, andando a integrare le informazioni sui flussi import/export rilevati periodicamente dall’ISTAT, con dettagli sulle multinazionali attive nel territorio – commenta Mario Gnutti, vice presidente di Confindustria Brescia delegato all’Internazionalizzazione –. In questo modo abbiamo ottenuto una rappresentazione per certi versi più completa dei reali rapporti con l’estero da parte del sistema produttivo bresciano, che i soli dati sulle importazioni ed esportazioni tendono necessariamente a sottostimare. I risultati testimoniano, una volta di più, l’integrazione del Made in Brescia nel contesto globale, oltre alla sua capacità di contaminare e, allo stesso tempo, di ricevere stimoli dall’estero. In tale contesto, va sottolineato come risultino ancora minoritarie le iniziative realizzate da realtà provenienti da aree a più recente industrializzazione: a riguardo, vanno segnalate, tra l’altro, le cinque imprese partecipate da operatori cinesi, le due indiane, le due brasiliane e l’unica turca. Si tratta comunque di una tendenza piuttosto recente e in crescita, avviata intorno alla metà del primo decennio di questo secolo, che – come Associazione – siamo chiamati a monitorare, valutando la possibilità di aprire un dialogo costruttivo e costante con tutte le realtà multinazionali, affinché la loro crescita vada di pari passo allo sviluppo sociale ed economico del territorio bresciano, in cui sono inserite”.

Per quanto riguarda i settori coinvolti, al primo posto si posizionano gli operatori dei macchinari ed apparecchiature (39 imprese partecipate, con oltre 2.100 addetti), seguiti dai prodotti in metallo (27 realtà produttive con quasi 1.900 addetti). Le multinazionali estere risultano quindi particolarmente attive nei settori tradizionalmente di punta del Made in Brescia, ovvero la filiera metalmeccanica; tuttavia, la loro presenza appare non trascurabile anche in comparti forse meno significativi dal punto di vista dell’occupazione e del fatturato prodotto, ma comunque rinomati per eccellenze e specializzazioni. È il caso dei settori alimentare e chimico, gomma e plastica, ambiti in cui il ruolo ricoperto dalle multinazionali estere nel territorio bresciano è tutt’altro che secondario.

L’analisi condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia – che, secondo una tassonomia proposta anni fa da Banca d’Italia, rientra nell’alveo delle cosiddette “statistiche non istituzionali e armonizzate” – si è inoltre focalizzata sulle iniziative all’estero da parte delle imprese manifatturiere locali. Da tale prospettiva, si contano 265 aziende che hanno avviato investimenti, di natura produttiva e/o commerciale, fuori dai confini nazionali: queste realtà rappresentano l’8,3% della popolazione di riferimento. L’impegno sui mercati esteri da parte di queste aziende è quanto mai vario: si passa da una sola partecipazione (che riguarda oltre la metà delle imprese censite), a casi di veri e propri “gruppi multinazionali”, caratterizzati da investimenti in oltre 20 realtà straniere.  Le suddette iniziative si concretizzano in 797 aziende estere, partecipate, a vario titolo, da operatori industriali bresciani. Analogamente a quanto rilevato per gli investimenti inward, anche nel caso degli outward l’Unione Europea primeggia come la principale destinazione (308 partecipate) degli investimenti da parte della manifattura locale.

L’analisi dettagliata per Paese ospitante vede primeggiare gli Stati Uniti (con 110 realtà partecipate, fra produttive e commerciali). Le altre destinazioni più seguite dal Made in Brescia sono: Germania (60), Cina (55), Francia (54), Spagna (43), India (39) e Brasile (33), in una classifica che vede ben 72 Paesi esteri coinvolti, con diversa intensità, in tale fenomeno. A riguardo va poi sottolineato che le iniziative avviate con finalità di pura delocalizzazione della produzione in aree geografiche caratterizzate da un minor costo dei fattori produttivi (in particolare il lavoro) sono oramai divenute fortemente minoritarie (se non addirittura marginali) e appartengono, dal punto di vista della data di avvio dell’operazione, perlopiù alla prima fase del processo di internazionalizzazione dell’industria bresciana, collocabile, a grandi linee, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso. La delocalizzazione è stata quindi soppiantata da strategie di più ampio respiro, in cui gli investimenti all’estero hanno l’obiettivo di servire direttamente mercati divenuti strategici.

La ricerca ha inoltre permesso di segmentare le aziende multinazionali locali per settore di attività. Il comparto dei macchinari ed apparecchiature si conferma come il più presente sui mercati esteri, sia in termini di realtà investitrici (69), sia per le società partecipate (228); al secondo posto il settore prodotti in metallo (53 iniziative per 153 presenze in Paesi esteri). Anche in questo caso non mancano le rappresentanze di comparti non metalmeccanici, come alimentare e chimico, gomma e plastica, ma con una rilevanza inferiore di quanto registrato sul versante inward.

Moda, Cieffe chiude il primo semestre a 26 milioni e fa acquisti

in Abbigliamento/Bilanci/Economia/Tendenze/Tessile by

Soncino, – Cieffe, partner strategico dei principali brand mondiali del lusso nella confezione di capi prêt-à-porter di alta gamma, chiude il primo semestre del 2023 con un fatturato di 26 milioni di euro (+ 25% vs H1 2022), che proietta i ricavi alla fine del 2023 a €50 milioni (+ 21% vs 2022) con un EBITDA di oltre il 12%. Una crescita che segue quella del 2022, chiuso con ricavi a €41 milioni e un EBITDA superiore al 10%, fatturato triplicato negli ultimi 10 anni. Indicatori in grande incremento anche rispetto al 2021, chiuso con ricavi della gestione caratteristica a 24 milioni di euro1.

Continua inoltre il percorso verso la creazione di una piattaforma produttiva integrata con l’acquisizione del 35% dello storico Maglificio Peve che, con sede a Varese, da più di 70 anni è partner dei più importanti brand di moda nella produzione di maglieria calata di qualità. Peve, che si distingue per un’attenzione particolare verso l’artigianalità Made in Italy, l’innovazione e la sostenibilità delle tecniche di produzione e dei materiali, ha chiuso il 2022 con ricavi per €5 milioni con un EBITDA pari al 12%, e con ordini in portafoglio per il 2023 pari a circa €9,5 milioni.

Un’operazione che si inserisce nella strategia di crescita anche per linee esterne di Cieffe, che ha visto la Società acquisire 4 realtà in soli due anni con l’obiettivo di creare un “ecosistema di prossimità” nell’alto artigianato industriale, unendo professionalità trasversali. Cieffe, che oggi è partner di riferimento per le produzioni dei più importanti gruppi mondiali del lusso, ha infatti l’obiettivo di creare una piattaforma integrata, che raggruppi la maggior parte delle fasi della produzione entro 150km, sposando una filosofia in controtendenza rispetto al “fast business”, che faciliti così la logistica, incrementi la sostenibilità e massimizzi il controllo della qualità per i clienti.

Con un approccio industriale di lungo termine, Cieffe intende infatti acquisire piccoli e medi laboratori di produzione, vere eccellenze del territorio e custodi di uno straordinario “saper fare”, integrandoli e valorizzando il loro DNA e il loro ruolo all’interno della piattaforma. Con l’ingresso nell’azionariato del Maglificio Peve, Cieffe oggi controlla anche il 100% di 3 laboratori, FRANC’OBOLLO SRL, NEW MOOD SRL, SILVERMACS SRL. Una strategia che ha generato valore per tutta la filiera, creando sinergie tra aziende, facendo crescere le società target, attraverso progetti di sviluppo ad hoc e aprendole così a nuovi clienti e commesse.

Marco Panzeri, CEO di Cieffe, commenta: “Abbiamo chiuso il primo semestre dell’anno con una crescita importante. L’andamento del 2023 conferma quindi che il percorso di sviluppo avviato è solido e strutturale e ci proietta verso una chiusura dell’anno con un incremento di fatturato a doppia cifra. In questi mesi continueremo a concentrarci sulla nostra strategia di crescita sostenibile anche per linee esterne, aggregando laboratori con le migliori competenze, realizzando così nuovo valore per tutta la filiera, nel rispetto delle persone e dell’ambiente. Tutto questo mantenendo sempre un approccio industriale di lungo termine per custodire, proteggere e far evolvere uno straordinario “saper fare” come quello delle tantissime piccole eccellenze che popolano il nostro territorio”.

Parte integrante della crescita di Cieffe è anche l’attenzione alla sostenibilità e alla ricerca e innovazione. L’azienda ha infatti investito 7 milioni di euro per l’ampliamento dello stabilimento di Soncino e nel biennio 2022-2023 ha stanziato 3 milioni di euro per nuovi investimenti in Ricerca & Sviluppo. Inoltre, ha creato un reparto (D4D – Design for Designers) interamente dedicato allo studio e sviluppo di nuove lavorazioni per i tessuti e di nuove modalità di creazione e progettazione degli abiti con l’obiettivo di diventare un partner sempre più strategico in tutto il processo di ideazione, progettazione e produzione delle collezioni dei suoi clienti. Grazie agli investimenti in innovazione, oggi l’azienda è in grado di realizzare modelli in 3D che le permettono di ridurre al minimo l’impatto della creazione dei prototipi sull’ambiente, riducendo lo scarto di tessuto, eliminando la necessità di spedire fisicamente il prodotto e accorciando sensibilmente i tempi di produzione. Un processo innovativo, in linea con l’attenzione di Cieffe verso la responsabilità sociale, che garantisce minori sprechi e maggiore efficienza.

Mercato immobiliare della casa: ecco le tendenze in Lombardia

in Economia/Tendenze by

I prezzi di vendita in Lombardia rallentano la propria corsa ma non si fermano del tutto, registrando un aumento dello 0,7% su base regionale nell’ultimo trimestre, mentre su base annua la crescita rimane solida: +6,7%. Rincari più pronunciati per gli affitti, pari al +3,2% nell’ultimo trimestre, mentre la crescita annua si attesta al +7,5%. Queste le principali evidenze tratte dall’Osservatorio trimestrale sul mercato residenziale lombardo ad opera di Immobiliare punto it Insighits, la proptech company del gruppo di Immobiliare punto it, il portale immobiliare leader in Italia, specializzata in analisi di mercato e data intelligence.

Comprare casa in Lombardia costa, oggi, 2.500 euro al metro quadro di media, mentre per affittarla servono 16,7 euro/mq.

Le principali evidenze di mercato

Dai principali indicatori di mercato emergono segnali di raffreddamento per quanto concerne il comparto delle compravendite, con la domanda che continua a contrarsi: -4,2% nell’ultimo trimestre (-6,9% sull’anno). Allo stesso tempo l’offerta, pur mantenendosi stabile negli ultimi dodici mesi (-0,2%) si riduce di oltre 6 punti percentuali nel trimestre.

Diversa la situazione per gli affitti, con lo stock in aumento di quasi 20 punti percentuali nel trimestre (+24,7% sull’anno) mentre la domanda, che rispetto a questo punto del 2022 è cresciuta poco meno di 5 punti percentuali, nell’ultimo trimestre vola al +15%.

I principali trend di vendita in regione

La città più cara della regione (e d’Italia), resta Milano, che raggiunge quota 5.300 euro al metro quadro di media. In un anno i prezzi nel capoluogo meneghino sono cresciuti del 3,6%, ma non hanno smesso di aumentare nemmeno nell’ultimo trimestre, registrando il +0,9%. Non è però la città che cresce di più: in un quadro tendenzialmente positivo, Varese sperimenta rincari di oltre 3 punti percentuali nel trimestre, arrivando a quota 1.650 euro al metro quadro. Tra le eccezioni al trend di crescita regionale troviamo invece Como, che vede i prezzi di vendita in contrazione del 2,9% nel trimestre scendendo a 2.611 euro al metro quadro. Cremona si afferma invece come città più economica della Lombardia, con i suoi 1.367 euro al metro quadro.

Per quanto riguarda gli ulteriori indicatori di mercato, la provincia di Milano è quella che vede l’offerta contrarsi di più: -10,5% nel trimestre, a guidare un trend regionale di segno meno. Tra le poche eccezioni troviamo la provincia di Sondrio, dove l’accumulo di stock è pari al +3,8%.

Guardando alla domanda di immobili in vendita, il comune di Como è quello che subisce la maggiore contrazione trimestrale, sfiorando il -10%. In un quadro non completamente allineato all’andamento medio regionale, il territorio di Mantova si mostra in decisa controtendenza, con il comune che vede la domanda aumentare del 18% nel trimestre, e la propria provincia al +9,4% nello stesso periodo.

I principali trend delle locazioni in regione

Come per il comparto compravendite, la città di Milano rappresenta il territorio più caro in regione, con 22,4 euro al metro quadro di canone medio. Questo dato è in crescita dell’1,7% nel trimestre, ed è aumentato di oltre 10 punti percentuali in un anno. Il trend di crescita è omogeneo per quasi tutti i territori lombardi, con le eccezioni della provincia di Brescia (-6,1%) e di tutto il territorio bergamasco (città e provincia), leggermente in negativo. Cremona si conferma la città più economica anche per gli affitti (7,7 euro al metro quadro, nonostante una crescita trimestrale di tre punti percentuali), mentre il territorio in assoluto meno costoso in regione è la provincia di Lodi (7,2 euro/mq, stabile nel trimestre).

L’offerta di immobili in locazione sul territorio non è omogenea: se da un lato si osservano importanti accumuli nella città di Como (+64,8%), in provincia di Sondrio (+56,5%), e anche la stessa città di Milano mostra aumenti importanti di disponibilità di immobili destinati all’affitto (+28,6%), si osservano importanti decumuli di stock trainati dal -17,6% della città di Varese e da tutto il territorio di Monza e della Brianza, dove sia in città sia in provincia si osserva una contrazione di oltre 14 punti percentuali.

Discorso estremamente più omogeneo per l’andamento della domanda di immobili in affitto, con il territorio di Mantova che vede una crescita intorno ai 45 punti percentuali sul trimestre sia in città sia in provincia. L’unica eccezione in tutta la regione è rappresentata dalla provincia di Bergamo, dove si osserva una contrazione di 25 punti percentuali negli ultimi tre mesi.

I prezzi di vendita in Lombardia rallentano la propria corsa ma non si fermano del tutto, registrando un aumento dello 0,7% su base regionale nell’ultimo trimestre, mentre su base annua la crescita rimane solida: +6,7%. Rincari più pronunciati per gli affitti, pari al +3,2% nell’ultimo trimestre, mentre la crescita annua si attesta al +7,5%. Queste le principali evidenze tratte dall’Osservatorio trimestrale sul mercato residenziale lombardo.

Comprare casa in Lombardia costa, oggi, 2.500 euro al metro quadro di media, mentre per affittarla servono 16,7 euro/mq.

Le principali evidenze di mercato

Dai principali indicatori di mercato emergono segnali di raffreddamento per quanto concerne il comparto delle compravendite, con la domanda che continua a contrarsi: -4,2% nell’ultimo trimestre (-6,9% sull’anno). Allo stesso tempo l’offerta, pur mantenendosi stabile negli ultimi dodici mesi (-0,2%) si riduce di oltre 6 punti percentuali nel trimestre.

Diversa la situazione per gli affitti, con lo stock in aumento di quasi 20 punti percentuali nel trimestre (+24,7% sull’anno) mentre la domanda, che rispetto a questo punto del 2022 è cresciuta poco meno di 5 punti percentuali, nell’ultimo trimestre vola al +15%.

I principali trend di vendita in regione

La città più cara della regione (e d’Italia), resta Milano, che raggiunge quota 5.300 euro al metro quadro di media. In un anno i prezzi nel capoluogo meneghino sono cresciuti del 3,6%, ma non hanno smesso di aumentare nemmeno nell’ultimo trimestre, registrando il +0,9%. Non è però la città che cresce di più: in un quadro tendenzialmente positivo, Varese sperimenta rincari di oltre 3 punti percentuali nel trimestre, arrivando a quota 1.650 euro al metro quadro. Tra le eccezioni al trend di crescita regionale troviamo invece Como, che vede i prezzi di vendita in contrazione del 2,9% nel trimestre scendendo a 2.611 euro al metro quadro. Cremona si afferma invece come città più economica della Lombardia, con i suoi 1.367 euro al metro quadro.

Per quanto riguarda gli ulteriori indicatori di mercato, la provincia di Milano è quella che vede l’offerta contrarsi di più: -10,5% nel trimestre, a guidare un trend regionale di segno meno. Tra le poche eccezioni troviamo la provincia di Sondrio, dove l’accumulo di stock è pari al +3,8%.

Guardando alla domanda di immobili in vendita, il comune di Como è quello che subisce la maggiore contrazione trimestrale, sfiorando il -10%. In un quadro non completamente allineato all’andamento medio regionale, il territorio di Mantova si mostra in decisa controtendenza, con il comune che vede la domanda aumentare del 18% nel trimestre, e la propria provincia al +9,4% nello stesso periodo.

I principali trend delle locazioni in regione

Come per il comparto compravendite, la città di Milano rappresenta il territorio più caro in regione, con 22,4 euro al metro quadro di canone medio. Questo dato è in crescita dell’1,7% nel trimestre, ed è aumentato di oltre 10 punti percentuali in un anno. Il trend di crescita è omogeneo per quasi tutti i territori lombardi, con le eccezioni della provincia di Brescia (-6,1%) e di tutto il territorio bergamasco (città e provincia), leggermente in negativo. Cremona si conferma la città più economica anche per gli affitti (7,7 euro al metro quadro, nonostante una crescita trimestrale di tre punti percentuali), mentre il territorio in assoluto meno costoso in regione è la provincia di Lodi (7,2 euro/mq, stabile nel trimestre).

L’offerta di immobili in locazione sul territorio non è omogenea: se da un lato si osservano importanti accumuli nella città di Como (+64,8%), in provincia di Sondrio (+56,5%), e anche la stessa città di Milano mostra aumenti importanti di disponibilità di immobili destinati all’affitto (+28,6%), si osservano importanti decumuli di stock trainati dal -17,6% della città di Varese e da tutto il territorio di Monza e della Brianza, dove sia in città sia in provincia si osserva una contrazione di oltre 14 punti percentuali.

Discorso estremamente più omogeneo per l’andamento della domanda di immobili in affitto, con il territorio di Mantova che vede una crescita intorno ai 45 punti percentuali sul trimestre sia in città sia in provincia. L’unica eccezione in tutta la regione è rappresentata dalla provincia di Bergamo, dove si osserva una contrazione di 25 punti percentuali negli ultimi tre mesi.

Manifatturiero, il 43% delle imprese bresciane ha migliorato la competitività sull’estero

in Aib/Associazioni di categoria/Economia/Manifatturiero/Meccanica/Tendenze by

Nel 2022 la competitività sui mercati esteri delle imprese manifatturiere bresciane risulta in miglioramento rispetto a quanto da loro stesse indicato per il periodo pre-pandemico: nei confronti con il 2019, ben il 43% delle aziende industriali bresciane ha infatti ampliato i mercati e/o ha acquisito nuovi clienti e/o ha incrementato i volumi di vendita, a fronte dell’11% che ha invece dichiarato di avere perso (temporaneamente o definitivamente) quote di mercato.

A rilevarlo è l’approfondimento bresciano – realizzato dal Centro Studi di Confindustria Brescia – dell’edizione 2023 dell’Indagine Internazionalizzazione, condotta dalle Associazioni Territoriali lombarde del Sistema Confindustria, coordinate da Confindustria Lombardia e presentata lo scorso 12 settembre in Regione Lombardia.

Lo studio ha visto la partecipazione di quasi 180 imprese manifatturiere bresciane (80% delle quali PMI), che complessivamente fatturano 9,4 miliardi di euro e occupano quasi 18 mila addetti.

La ricerca ha evidenziato come, tra le realtà del nostro territorio, le esportazioni dirette si confermino nettamente come la modalità più diffusa di presenza all’estero (94% delle aziende intervistate), mentre iniziative che prevedono filiali commerciali o negozi direttamente gestiti interessino il 12% delle imprese. Altre forme di internazionalizzazione, considerate come più strutturate, si caratterizzano per percentuali di diffusione ancora più basse.

Lo studio ha inoltre confermato la forte proiezione internazionale del made in Brescia: nel 2022 le vendite all’estero hanno interessato il 49,3% del fatturato complessivo, con punte del 63,7% tra le realtà di medie dimensioni. Ogni azienda è mediamente presente in 24 Paesi esteri, un valore che tende a crescere all’aumentare dalla dimensione degli operatori intervistati (ben 34 Paesi serviti fra le grandi imprese). Allo stesso tempo, emerge una tendenza delle aziende a concentrare geograficamente le proprie esportazioni: la quota di fatturato generato all’estero realizzata nel primo Paese di destinazione è infatti pari al 27%. In tale contesto, le micro imprese (col 32%) emergono come le realtà potenzialmente più esposte, in quanto un calo della domanda proveniente dal loro principale Paese estero cliente provocherebbe, a parità di altre condizioni, un maggiore impatto negativo sulle vendite complessive.

Come anche certificato dai dati periodicamente forniti dall’ISTAT, i mercati europei rimangono i principali Paesi di destinazione delle vendite bresciane: il 65% dei rispondenti ha dichiarato di esportare in Germania, il 54% in Francia e il 36% in Spagna. Alla base di tali destinazioni concorrono una serie di motivazioni di carattere culturale, economico e geografico. Per quanto riguarda i Paesi prospect, ossia quelli verso i quali le imprese sono maggiormente interessate a espandersi da qui al 2025, la stabilità geopolitica sembra guidare le strategie di internazionalizzazione per il prossimo futuro: ai primi cinque posti indicati dalle aziende del campione troviamo storici Paesi partner per la manifattura bresciana (come Stati Uniti, Germania e Francia) e due territori scarsamente presidiati (Australia e Canada), tutti accumunati dal fatto di appartenere chiaramente a un ben identificato “blocco geoeconomico”, a cui le posizioni italiane sono ben allineate. Sintomatico di questa tendenza è il notevole ridimensionamento dell’interesse da parte delle nostre imprese per Cina e Russia, rispettivamente al sesto e al ventesimo posto nelle indicazioni fornite dal campione. Nell’edizione 2021 dell’Indagine, Cina e Russia si posizionavano idealmente sul podio, come seconda e terza meta per la manifattura locale. Sulle valutazioni delle aziende avrebbero quindi pesato, in particolare, l’incertezza commerciale e la politica zero Covid, ancora in atto al momento della rilevazione (nel caso della Cina) e il conflitto con l’Ucraina (nel caso della Russia).

Come anticipato, ben il 43% delle aziende industriali bresciane ha ampliato i mercati e/o ha acquisito nuovi clienti e/o ha incrementato i volumi di vendita, a fronte dell’11% che ha dichiarato di aver perso (temporaneamente o definitivamente) quote di mercato. Si tratta di un segnale particolarmente incoraggiante, che troverebbe primaria giustificazione nella qualità e nel contenuto innovativo dei prodotti offerti (indicati dal 73% delle realtà che hanno aumentato o mantenuto le quote di mercato). Allo stesso tempo, le imprese bresciane devono la propria brillante performance all’estero a un mix di altri fattori, che comprende, in particolare, la competitività di prezzo (32%), la maggiore flessibilità rispetto ai competitor (31%) e la bassa rischiosità percepita dalla clientela (23%). In tale contesto, solamente l’11% dichiara la propria competitività sul versante della sostenibilità, fattore che, verosimilmente, diverrà sempre più cruciale nelle future scelte di acquisto da parte di imprese e famiglie.

Il 39% delle aziende bresciane ha poi modificato le proprie catene di fornitura con l’estero (o è in procinto di farlo). Tra coloro che hanno effettivamente cambiato fornitori nel corso del 2022, la maggior parte (il 62%) si è rivolta ad altri fornitori siti in Unione Europea. Il meccanismo di sostituzione dei fornitori esteri ha poi favorito i player italiani, sia lombardi (23%), sia provenienti da altre regioni (23%). Le motivazioni alla base di tali sostituzioni vanno ricercate, in primo luogo, in una mera logica di costo (indicata dal 54% delle aziende che hanno modificato le catene di fornitura). Ma risultano comunque significative le scelte compiute in virtù di un minore rischio di fornitura (33%), di una maggiore disponibilità dei prodotti (33%), nonché di una maggiore competitività in termini di qualità e contenuto innovativo dei prodotti (31%).

“Anche per la realtà bresciana appare evidente quanto già sottolineato nel report regionale, in merito a una distanza tra i fattori determinanti per la tenuta competitiva delle imprese e le logiche con cui esse scelgono i propri fornitori – commenta Mario Gnutti, vice presidente di Confindustria Brescia con delega all’Internazionalizzazione –: nel primo caso prevale la focalizzazione sul contenuto qualitativo e innovativo, mentre nel secondo si favorisce il contenimento dei costi. Tutto ciò indicherebbe che l’elevata qualità delle merci esportate dalle imprese manifatturiere bresciane sia in buona parte da attribuire alle stesse e alla loro capacità di creare valore. Purtroppo, non basta: la volontà di puntare sulla qualità deve essere accompagnata da adeguate scelte politiche a livello europeo, che continuino a garantire la competitività delle imprese. Negli ultimi anni, sotto questo punto di vista, siamo stati penalizzati su diversi fronti: penso ad esempio alle tematiche energetiche. Ora serve un cambio di rotta.”

Da ultimo, l’indagine ha approfondito quali macro trend andranno a influenzare maggiormente le scelte strategiche delle imprese nel quadro internazionale. A riguardo, gli scenari geopolitici (51% delle risposte) emergono chiaramente come il principale fattore che guiderà le decisioni degli imprenditori, con riferimento alle logiche di presenza all’estero.

Le imprese bresciane frenano nel secondo semestre

in Economia/Evidenza/Manifatturiero/Servizi/Tendenze by

“La frenata dell’economia europea, iniziata nel quarto trimestre del 2022  – commenta il Presidente della Camera di Commercio di Brescia, Ing. Roberto Saccone – è poi proseguita. Anche in Italia la ripresa si è fermata, come dimostrato dalla la contrazione del Pil del secondo trimestre.

La domanda interna sta, peraltro, decelerando In tutti i maggiori Paesi, in particolare nei settori legati ai beni di consumo e alle costruzioni (pesa, in particolar modo, l’effetto dell’aumenti dei tassi d’interesse).

Il calo della domanda di prodotti determina, in molti Paesi, una flessione delle importazioni e, di conseguenza, una contrazione del commercio mondiale.

Per quanto riguarda la provincia di Brescia – prosegue Roberto Saccone – il quadro congiunturale del secondo trimestre evidenzia una dinamica in rallentamento dell’attività produttiva: la produzione industriale ha registrato una contrazione dopo nove trimestri consecutivi di crescita.

L’artigianato manifatturiero prosegue anche nel secondo trimestre con una dinamica migliore dell’industria ma il ritmo di crescita continua nel percorso discendente già evidenziato nei trimestri scorsi

L’andamento del fatturato delle imprese bresciane del commercio al dettaglio evidenzia una tendenza ancora positiva ma in forte rallentamento: la variazione rispetto ai primi tre mesi dell’anno è stata pari a +0,4%,

Il fatturato delle imprese dei servizi chiude con risultati negativi: la variazione rispetto ai primi tre mesi dell’anno è stata pari a – 0,7%, mentre su base annua il calo è stato più intenso (-1,0%).

Il quadro congiunturale bresciano è pertanto coerente con il contesto internazionale e nazionale divenuto negli ultimi mesi sempre più critico.

Le preoccupazioni degli imprenditori bresciani riguardano il rallentamento del commercio mondiale, la recessione tedesca che assorbe il 20% delle esportazioni bresciane, l’aumento dei tassi d’interesse che incidono sugli investimenti e l’inflazione galoppante che pesa sul potere d’acquisto dei consumatori e sulle vendite dei beni di consumo.

In tale contesto, le notizie positive provengono dai costi dell’energia e delle materie prime, rientrati dai picchi sperimentati lo scorso anno”.

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L’industria manifatturiera – Nel secondo trimestre la produzione industriale delle imprese manifatturiere bresciane diminuisce dello 0,5% rispetto allo stesso periodo del 2022, si tratta del primo valore negativo da fine 2020 ovvero il periodo in cui le imprese facevano fronte alle criticità causate dalla pandemia da Covid-19. La dinamica congiunturale della produzione, al netto degli effetti stagionali, resta stabile (0,0%). Il numero indice si assesta 128,1 oltre 14 punti sopra i valori pre-pandemici, a conferma della robustezza della fase di crescita da poco conclusa.

Il risultato bresciano è leggermente inferiore a quello lombardo: a livello regionale la produzione industriale è rimasta stabile rispetto al primo trimestre, mentre nel confronto con lo stesso periodo dello scorso anno è aumentato dello 0,5%.

In rallentamento la produzione della Meccanica (-1,9% su base tendenziale), della Siderurgia (-5,6%), dei Minerali non metalliferi (-4,8%) della Carta- Stampa (-9%) e della Gomma-plastica (-7,9%).

Tra i settori industriali, chiude con risultati positivi, rispetto al secondo trimestre dello scorso anno, il comparto dei mezzi di trasporto.

Il fatturato riporta una variazione negativa (-0,5% tendenziale; -1,4% congiunturale) dopo un lungo periodo di crescita sostenuto dal forte aumento dei prezzi. L’allentamento delle tensioni sui prezzi è confermato dai risultati del trimestre: i prezzi dei prodotti finiti, infatti, aumentano appena dello 0,9% (su base congiunturale) proseguendo il percorso di rallentamento dopo il picco segnato nel primo semestre del 2022. Anche la dinamica dei prezzi delle materie prime si conferma positiva ma su livelli più contenuti (+1,0%) rispetto ai valori massimi raggiunti lo scorso anno.

Segnali di difficoltà arrivano sul fronte della domanda sia domestica che estera. Gli ordini provenienti dall’Italia segnano una battuta d’arresto ( -1,1% su base congiunturale; – 2,2% su base tendenziale).

Gli ordinativi provenienti dai mercati esteri diminuiscono dell’1,5% sul primo trimestre e dello 0,2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, si tratta del primo valore negativo dopo dieci trimestri di crescita che sconta il rallentamento del commercio mondiale e della manifattura tedesca primo partner commerciale delle industrie bresciane.

Positiva la dinamica dell’occupazione che al di là delle oscillazioni legate agli effetti stagionali conferma la tendenza di fondo già evidenziata nel biennio 2021-2022. In aumento la quota di imprese che dichiara di avere utilizzato la CIG che passa dal 6,5% del trimestre scorso all’11,6% del periodo osservato.

Le aspettative delle imprese industriali bresciane per il terzo trimestre dell’anno, al dì là delle chiusure estive degli stabilimenti, riflettono l’attuale clima di incertezza: le previsioni per il prossimo futuro vedono una prevalenza di attese di diminuzione per tutte le variabili (-8,4 per produzione; -4,8 per domanda estera; -16,1 per domanda interna) a esclusione dell’occupazione dove prevalgono le attese di stabilità.

Le preoccupazioni degli industriali bresciani riguardano il rallentamento del commercio mondiale, la recessione tedesca che assorbe il 20% delle esportazioni bresciane, l’aumento dei tassi d’interesse che incidono sugli investimenti e l’inflazione galoppante che pesa sul potere d’acquisto dei consumatori e sulle vendite dei beni di consumo.

Artigianato manifatturiero – L’artigianato manifatturiero bresciano prosegue anche nel secondo trimestre con una dinamica migliore dell’industria ma il ritmo di crescita continua nel percorso discendente già evidenziato nei trimestri scorsi. La produzione artigiana cresce su base annua dello 0,6% mentre rispetto al primo trimestre diminuisce dello 0,2% portando il numero indice al 108,6, valore che comunque si colloca sopra i livelli pre-pandemici di oltre 10 punti.

I segnali di rallentamento nella produzione artigiana sono percepiti anche a livello lombardo dove i livelli produttivi nell’ultimo trimestre non sono cresciuti (+0,0% quella congiunturale; +1,1% la variazione tendenziale).

Sul fronte settoriale, chiudono con risultati positivi, rispetto al secondo trimestre dello scorso anno, il comparto Alimentare (+10,6%), la Carta-Stampa (+5,6%) e la Gomma-Plastica (+3,6%).

In rallentamento la produzione della Siderurgia (-1,7%), dell’Abbigliamento (-4,4%) e del Tessile (-14,6%), mentre resta stabile per la meccanica (+0,07%).

I prezzi di materie prime (+3,9% congiunturale) e prodotti finiti (+3,2%) mostrano un incremento ancora importanti e più marcati rispetto al comparto industriale, ma anche per l’artigianato è evidente un fenomeno di rientro dei tassi di crescita.

Benché i prezzi dei listini siano ancora in crescita la dinamica del fatturato arretra leggermente (-0,2% congiunturale), nel contempo gli ordinativi domestici si contraggono (-1,8% tendenziale) per la prima volta dopo da fine 2020. Diminuisce anche la domanda estera (-0,7%) che comunque non rappresenta una destinazione marginale per gli artigiani (la quota estera rappresenta il 7% del fatturato totale).

Sul fronte occupazionale il trimestre in esame riporta una variazione, al netto degli effetti stagionali, leggermente positiva (+0,6%) confermando la lieve tendenza alla crescita già registrata nel 2022. La percentuale di imprese che dichiara di aver fatto ricorso alla Cassa Integrazione è in aumento dal 4,3% del primo trimestre al 6% attuale.

Il raffreddamento della dinamica produttiva unitamente al calo degli ordini interni, che rappresentano la principale destinazione, hanno deteriorato il clima di fiducia degli imprenditori artigiani. Le previsioni per il terzo trimestre sono pessimistiche per produzione e domanda interna. Meno negative le attese sui mercati esteri e sull’occupazione.

Il commercio al dettaglioL’andamento del fatturato delle imprese bresciane del commercio al dettaglio evidenzia una tendenza ancora positiva ma in forte rallentamento: la variazione rispetto ai primi tre mesi dell’anno è stata pari a +0,4%, mentre nel confronto con lo stesso trimestre dello scorso anno la crescita è stata pari a +0,6 (a fronte dell’incremento del 6,5% del secondo trimestre del 2022). Sebbene contenuto l’incremento ha consentito al numero indice del fatturato di attestarsi a quota 105,6, circa diciassette punti sopra i livelli medi del 2019.

Nel confronto regionale la dinamica bresciana è stata peggiore di quella osservata in Lombardia (+2,6% la variazione tendenziale regionale e +0,5% quella congiunturale).

Il forte rallentamento del fatturato è stato attenuato da un nuovo aumento dei prezzi dei listini che nel trimestre osservato crescono su base congiunturale del 3,7% pressoché in linea con il trimestre scorso. Le dinamiche inflattive che stentano a rientrare, evidentemente, impattano sulla domanda dei consumatori compromettendo la crescita del settore.

Il rallentamento è maggiormente evidente nel comparto non specializzato (ambito nel quale rientra la grande distribuzione) che riporta una flessione del volume d’affari, su base annua, dello 0,4%. Mentre incrementi importanti del volume d’affari si registrano nel comparto alimentare (+5,6%), la cui domanda, nonostante il calo del potere d’acquisto dei consumatori, stenta a essere ridotta.

L’occupazione delle imprese del commercio al dettaglio, dopo il rallentamento che aveva caratterizzato la seconda metà del 2022 e lo stallo dei primi tre mesi dell’anno chiude il trimestre con una variazione del numero di addetti tra inizio e fine trimestre, al netto degli effetti stagionali, pari a +0,2%.

La frenata del trimestre osservato preoccupa gli imprenditori del commercio al dettaglio che esprimono un importante peggioramento delle aspettative per il prossimo trimestre: i saldi tra attese di crescita e diminuzione per quanto riguarda il fatturato svoltano in territorio negativo (-2,5); rimangono positivi ma in ridimensionamento le attese sull’occupazione (1,9 vs 6,1 del trimestre scorso). Si confermano negative le previsioni sugli ordini ai fornitori (-3,8).

Servizi – Il fatturato delle imprese dei servizi, dopo il rallentamento del trimestre scorso, chiude con risultati negativi: la variazione rispetto ai primi tre mesi dell’anno è stata pari a – 0,7%, mentre su base annua il calo è stato più intenso (-1,0%). Si tratta di una dinamica peggiore di quella osservata in Lombardia (+4,6% la variazione tendenziale regionale).

L’andamento del fatturato resta condizionato dall’aumento dei prezzi dei listini che nel trimestre osservato mostra una decelerazione (+1,5% su base trimestrale dopo il +2,7% dei primi tre mesi dell’anno) favoriti dall’allentamento delle tensioni sul fronte dei costi.

Tra i comparti segnano un nuovo aumento del fatturato i servizi alla persona (+4,7%) e i servizi alle imprese (+0,7%). In calo il fatturato, su base annua, del commercio all’ingrosso e delle attività di alloggio e ristorazione.

Il dato occupazionale al netto degli effetti stagionali si conferma positivo (+0,5% su base congiunturale) ma in decelerazione rispetto alla dinamica dei trimestri scorsi.

I risultati negativi del trimestre si traducono in un importante deterioramento del clima di fiducia degli imprenditori dei servizi bresciani: le previsioni sul volume d’affari e sull’occupazione per il terzo trimestre dell’anno, sebbene positive, evidenziano un netto peggioramento.

I dati presentati derivano dall’indagine congiunturale realizzata da Unioncamere Lombardia ed elaborati dal Servizio Studi della Camera di Commercio.

Il campione industria comprende imprese con più di 10 addetti, mentre i campioni artigianato, commercio e servizi comprendono imprese con più di 3 addetti.

Nel secondo trimestre 2023 per l’indagine congiunturale sono state realizzate 841 interviste, così distribuite per settore:

Tab. 1. Campione indagine congiunturale 2° Trimestre 2023

Provincia di Brescia

Comparto Campione
INDUSTRIA277
ARTIGIANATO200
COMMERCIO158
SERVIZI206
TOTALE841

Il campione industria comprende aziende con più di 10 addetti, mentre il campione dell’artigianato, dei servizi e del commercio comprende imprese con più di 3 addetti.

Le informazioni ottenute dall’indagine sono disaggregabili per settore di attività economica in:

  • 13 settori (Siderurgia, Minerali non metalliferi, Chimica, Meccanica, Mezzi di trasporto, Alimentare, Tessile, Pelli calzature, Abbigliamento, Legno mobilio, Carta editoria, Gomma plastica e Varie) per l’industria e l’artigianato manifatturiero;
  • 4 settori(commercio all’ingrosso, alberghi e ristoranti, servizi alle persone e servizi alle imprese) per i servizi;
  • 3 settori di attività economica (specializzato alimentare, specializzato non alimentare, non specializzato) per il commercio al dettaglio.

L’Industria delle calzature cresce, ma non mancano le ombre

in Abbigliamento/Economia/Tendenze by

Si chiude in positivo, ma con più di un’ombra sull’evoluzione futura, il primo semestre del 2023 per il comparto calzaturiero italiano, con una crescita del fatturato (+7,4%) e dell’export (+10,2% in valore nei primi 5 mesi). Sono però le quantità a soffrire: -6,8% quelle esportate e -5,7% quelle realizzate (secondo l’indice Istat della produzione industriale). Battuta d’arresto in maggio e giugno per gli acquisti delle famiglie, con una prima metà dell’anno su ritmi molto blandi (-1,2% in spesa e -3,4% in volume). Questa, in sintesi, la fotografia scattata dal Centro Studi Confindustria Moda divulgata al Micam, il salone internazionale della calzatura in corso a fieramilano (Rho).

In Lombardia nel primo semestre 2023 il numero di imprese attive (tra calzaturifici e produttori di parti) ha registrato, secondo i dati di Infocamere-Movimprese, un calo di -11 aziende sullo scorso dicembre, tra industria e artigianato, accompagnato da un saldo positivo di +207 addetti. Per quanto riguarda le ore di cassa integrazione guadagni autorizzate da INPS nella prima metà dell’anno per le imprese lombarde della filiera pelle, si registra una flessione del -33,3% rispetto allo stesso periodo del 2022: sono state autorizzate oltre 630mila ore, un numero ancora superiore del +49,5% rispetto alla situazione pre-emergenziale del 2019.

Sul fronte dell’export – grazie anche al ruolo di fondamentale snodo logistico-distributivo che la regione svolge (in particolare Milano, per la vicinanza con la Svizzera e i depositi delle multinazionali del lusso) – si registra un aumento del +39,2% in valore sul primo semestre 2022, tra calzature e componentistica (con un +87,2% sui livelli pre-pandemia di gennaio-giugno 2019). Nella prima metà del 2023 sono stati esportati beni per 1,7 miliardi di euro. Le prime 5 destinazioni dell’export lombardo, che coprono il 56% del totale regionale, sono risultate: Svizzera (+222,3%), USA (+21,5%), Francia (+13,7%), Cina (+21,5%) e Corea del Sud (+21,1%).

Rimbalzo nei flussi verso Russia e Ucraina: +50,2% complessivo rispetto ai livelli dello scorso anno, già colpiti dallo scoppio della guerra.

La Lombardia, grazie anche a queste dinamiche puramente distributive, è divenuta la prima regione italiana per export calzaturiero, superando Veneto e Toscana, con una quota del 25% sul totale Italia.

Dopo un primo trimestre chiuso con un +49,5% su gennaio-marzo 2022, la seconda frazione ha registrato un +29,7% tendenziale.

Giovanna Ceolini, Presidente di Assocalzaturifici, commenta così lo scenario nazionale: “Il rallentamento ampiamente previsto si è infine palesato nel secondo trimestre dell’anno in corso. Al forte rimbalzo del 2021 registrato dopo il crollo procurato dai lockdown e al proseguimento del recupero nel corso del 2022 – pur su ritmi comprensibilmente meno sostenuti, via via che i livelli di attività si normalizzavano – ha fatto seguito, dopo un avvio 2023 ancora favorevole in gran parte delle variabili congiunturali, una marcata decelerazione. A cominciare dalle esportazioni, da sempre il volano del settore, che nel bimestre aprile-maggio hanno evidenziato, dopo gli incrementi a doppia cifra dei mesi precedenti, solo una debole tenuta in valore (+1%), accompagnata da una battuta d’arresto in volume (-14,9%). Nei primi 5 mesi registrano incrementi in valore tutte le principali destinazioni dell’export, ad eccezione della Svizzera – tradizionale hub logistico, in sensibile arretramento dovuto verosimilmente a diverse strategie di distribuzione adottate dalle griffe, senza transito nei depositi elvetici – che segna un -13,6% (con un -29% nelle paia), del Regno Unito (-2,6%) e del Canada (stabile, -0,5%, ma in forte calo in quantità)”.

Sempre a livello nazionale, indicazioni sinora decisamente premianti, malgrado le recenti preoccupazioni per il rallentamento dell’economia nazionale, provengono dalla Cina (+20,4% in volume e +43,4% in valore), dove il prezzo medio, di gran lunga il più elevato tra quello dei principali mercati di sbocco della calzatura made in Italy, indica chiaramente come tali numeri siano legati soprattutto alle performance delle grandi multinazionali del lusso, in un mercato non di facile approccio per le aziende con marchio proprio.

“Si registra inoltre – continua Ceolini – sempre in ottica nazionale, un rimbalzo in Russia e Ucraina (+37% e +56% in valore rispettivamente), anche se va tenuto conto che il raffronto avviene su un periodo in cui l’inizio del conflitto aveva fatto crollare le vendite verso i due mercati coinvolti. I livelli attuali, nonostante il rimbalzo sul 2022, sono assai vicini (+1,2%) a quelli dei primi 5 mesi 2021, peraltro già molto colpiti dalla pandemia, in cui non c’era la guerra. Infine, il saldo commerciale, trainato dalle vendite estere, ha sfiorato nei primi 5 mesi i 2,5 miliardi di euro (+14,2%)”.

Sviscerando sempre nel dettaglio il report coi dati riferiti all’Italia intera, emerge che nei primi 5 mesi dell’anno l’export di calzature si è attestato a 87,9 milioni di paia, operazioni di pura commercializzazione incluse: 6,4 milioni di paia in meno rispetto al gennaio-maggio 2022 (-6,8%). Il prezzo medio al paio, salito a 62,47 euro, segna un +18,2%.

Analizzando le macroaree, sia i partner dell’UE, cui sono dirette 2 scarpe su 3 vendute oltreconfine, che le destinazioni extra-UE evidenziano una crescita in valore e un calo nelle quantità; quelli intra-UE, però, presentano andamenti migliori (-4,5% in volume e +14% in valore) rispetto agli sbocchi più lontani (-10,9% e +7% rispettivamente nel complesso). Nell’ambito dei mercati comunitari, oltre alla Francia – che occupa saldamente il primo posto nella graduatoria generale dell’export, sia in quantità che in valore, e che registra un +19,6% in valore e un -2,9% in volume – tra le principali destinazioni figurano la Germania (quarta, ma seconda per volumi, che cresce del +8,4% in valore ma con un -15,5% nelle quantità), la Spagna e i Paesi Bassi (con crescite interessanti sia in volume che in valore), il Belgio (con aumenti modesti) e la Polonia (+10,2% in valore ma -5,2% in quantità).

Frena il Nord America: malgrado la sostanziale tenuta in valore, USA e Canada evidenziano contrazioni superiori al -20% nelle paia. Trend penalizzante anche nel Regno Unito (-2,6% in valore, con -13,8% in quantità), già in difficoltà sia nel 2021 che nel 2022. Performance incoraggianti, invece, nel Far East, cresciuto globalmente del +29,4% in valore e del +7,1% in quantità. Evoluzione favorevole negli Emirati Arabi (+37,7% in valore) e in Turchia (che registra incrementi superiori all’80% sia in volume che valore, nonostante la svalutazione della lira).

Il dettaglio per tipologia merceologica mostra andamenti disomogenei in valore e cali generalizzati in volume, con l’eccezione delle pantofole (che, al contrario, crescono in volume ma flettono in valore). Il comparto delle calzature con tomaio in pelle – primo per importanza con un’incidenza del 63% sulle vendite estere in valore – presenta un aumento prossimo al +13% (con un -5,3% nelle paia a confronto con gennaio-maggio 2022 e un -15,2% sui livelli pre-Covid del 2019).

Sul fronte dei consumi interni, secondo il Fashion Consumer Panel di Sita Ricerca per Assocalzaturifici, dopo un avvio d’anno all’insegna del recupero i tre mesi successivi hanno visto una netta riduzione degli acquisti di calzature da parte delle famiglie italiane, con flessioni particolarmente significative in maggio e giugno. Complessivamente la seconda frazione dell’anno ha registrato cali del -9,8% in termini di paia e del -7,9% in valore, annullando i progressi dei mesi precedenti e portando in terreno negativo il cumulato dei primi 6 mesi.

In merito alla demografia delle imprese, l’onda lunga dell’eccezionale crisi innescata dalla pandemia ha portato in Italia ad un saldo negativo di -122 realtà calzaturiere, tra industria e artigianato, nei primi 6 mesi dell’anno (pari al -3,2% rispetto a fine dicembre, secondo i dati diffusi da Infocamere-Movimprese) dopo il pesante arretramento rilevato a consuntivo 2022. Per quanto riguarda il numero degli addetti, è proseguito il positivo rimbalzo innescatosi lo scorso anno: a fine giugno si contavano 73.665 addetti (il +1,8% rispetto a dicembre). Il divario con il consuntivo 2019 è però ancora di oltre 1.200 unità. 

Nei primi 6 mesi del 2023 sono state autorizzate da INPS per le aziende della Filiera Pelle 7,5 milioni di ore di cassa integrazione guadagni, in flessione del -5,6% rispetto alla prima metà dello scorso anno, ma il balzo delle ore nel secondo trimestre (+44%) – assieme al peggioramento del quadro economico generale – preannunciano nuove tensioni.

Attese molto caute, infine, per la seconda parte dell’anno, stante il clima di incertezza generale e la debolezza di molte economie mondiali. Gli operatori del campione si attendono in media nel terzo trimestre un fatturato in calo sull’analogo periodo dell’anno precedente (-2,8%), per la prima volta dopo la ripartenza post-pandemia.

La manifattura lombarda tiene, ma crescono i segnali d’allarme

in Economia/Manifatturiero/Tendenze by

“La manifattura lombarda tiene e continua a primeggiare in Italia e in Europa, ennesima certificazione della capacità di tenuta lombarda; nonostante le influenze esterne negative che stanno compromettendo una situazione che potrebbe essere migliore”. Così Guido Guidesi, assessore allo Sviluppo Economico di Regione Lombardia, commenta i dati congiunturali elaborati da Unioncamere Lombardia nel secondo trimestre 2023 per industria e artigianato.

A causa della recessione tedesca che assorbe il 14% delle esportazioni lombarde e con l’aumento dei tassi di interesse, investimenti e consumi subiscono una frenata per cui tutti gli indicatori risultano a ‘zero virgola’: dalla produzione al fatturato agli ordini interni ed esteri, solo il dato tendenziale del fatturato è in positivo (+1,9%) con gli ordini esteri a +2,0%. Una situazione che attesta comunque la regione Lombardia stabile e con risultati migliori rispetto alla media nazionale.

Il comparto artigiano registra una performance simile con una variazione nulla sul trimestre precedente ma con un miglior risultato tendenziale (+1,1%). Tra i settori più performanti spiccano abbigliamento (+5,8% produzione su base annua) e pelli-calzature (+8,6%) a cui si aggiunge l’exploit dei mezzi di trasporto (+13,4%). Positivo anche il settore alimentare (+2,8%) e meccanico (+1,7%): sono le imprese di maggiore dimensione e a più alto contenuto tecnologico a sostenere il manifatturiero.

“Certamente – ha aggiunto l’assessore Guidesi – bisogna tenere ben presente il tema dell’accesso al credito che sta provocando l’erosione dei depositi e la rinuncia, pur temporanea, agli investimenti, limitando le imprese lombarde nella competizione internazionale, oltre a mettere notevolmente a rischio la crescita. Non è più rimandabile un intervento europeo attraverso il ripristino di un fondo di garanzia per l’accesso alla liquidità per investire funzionalmente al raggiungimento degli obiettivi che la stessa Europa, attraverso la Commissione, ha prefissato. È inoltre preoccupante lo stallo degli ordini interni che rappresenta un segno delle difficoltà dettate da inflazione e disponibilità della liquidità con l’aumento dei tassi di interesse sui finanziamenti in essere. È evidente anche il peso della recessione in Germania, Paese con cui abbiamo molteplici rapporti commerciali. Continueremo a lavorare ‘a sistema’ per fare in modo che le influenze esterne negative non compromettano ulteriormente i tendenziali di crescita”.

“I riscontri da parte degli imprenditori lombardi evidenziano un’economia che resiste nonostante le problematiche economiche che minacciano l’economia mondiale – ha specificato Gian Domenico Auricchio, presidente di Unioncamere Lombardia – i risultati del secondo trimestre descrivono un quadro meno negativo rispetto al nazionale: la nostra produzione registra variazioni molto contenute a testimonianza di un sistema capace di tenere anche in situazioni difficili con la moda come fiore all’occhiello”.

“Nel secondo trimestre la produzione manifatturiera lombarda si conferma in territorio positivo ma crescono i segnali di rallentamento che si erano intravisti a inizio anno – ha sottolineato ancora Francesco Buzzella, presidente Confindustria Lombardia -. Il nostro manifatturiero continua quindi a performare nonostante uno scenario internazionale preoccupante che vede la recessione tedesca, l’aumento del costo del denaro e l’instabilità geopolitica tra le principali fonti di preoccupazione per chi fa impresa. A penalizzare la performance delle imprese è però soprattutto il mercato interno: gli ordini in calo devono essere un campanello d’allarme in particolare legato all’inflazione. È evidente che ulteriori aumenti dei tassi di interesse non potranno che comprimere ulteriormente gli investimenti delle imprese, per questo Confindustria Lombardia auspica che le istituzioni facciano valere sui tavoli competenti il peso del 14% di quota capitale dell’Italia presso la BCE, al fine di interrompere discutibili scelte di politica monetaria che rischiano di compromettere non gli investimenti nei prossimi anni ma anche i percorsi di transizione obbligata che le imprese si trovano ad affrontare”.

“I segnali globali confermano una stabilizzazione della crescita dopo la fase di stallo pandemico ma ritmo, robustezza ed uniformità di questa tendenza sono certamente resi più fragili dai noti fattori dei costi delle materie prime, dell’energia, di un calo piuttosto lento dell’inflazione e dalle correlate politiche di rialzo dei tassi ad opera della Commissione europea” ha chiosato Giovanni Buzzini, presidente di CNA Lombardia – “Dobbiamo essere consapevoli che il mondo della micro impresa e dell’artigianato vivono un fisiologico anticipo delle difficoltà e un ritardo dei vantaggi di ogni fase. Resta notevole la nostra preoccupazione per le performance della Germania, alla quale molte delle nostre filiere sono agganciate in un virtuoso processo di internazionalizzazione. La fiducia è molto debole e questo genera prudenza anche nella dinamica degli investimenti. È come se, superato il traumatico ‘fermo tecnico’ della domanda globale concomitante con il Covid, si sia ora smaltita l’euforia post-pandemica e si sia preso atto di una miscela di fattori che non consentono di irrobustire la crescita sorreggendone la corsa con un adeguato livello di fiducia”.

“Nel secondo trimestre – ha commentato in una nota il presidente di Confindustria Lombardia Francesco Buzzella – la produzione manifatturiera lombarda si conferma in territorio positivo ma crescono i segnali di rallentamento che si erano intravisti a inizio anno. Il nostro manifatturiero continuano quindi a performare nonostante uno scenario internazionale preoccupante che vede la recessione tedesca, l’aumento del costo del denaro e l’instabilità geopolitica tra le principali fonti di preoccupazione per chi fa impresa. A penalizzare la performance delle imprese è però soprattutto il mercato interno: gli ordini negativi devono essere un campanello d’allarme in particolare legato all’inflazione. E’ evidente che ulteriori aumenti dei tassi di interesse non potranno che comprimere ulteriormente gli investimenti delle imprese, per questo Confindustria Lombardia auspica che le istituzioni facciano valere sui tavoli competenti il peso del 14% di quota capitale dell’Italia presso la BCE, al fine di interrompere discutibili scelte di politica monetaria che rischiano di compromettere non solo i prossimi anni di investimenti ma anche i percorsi di transizione obbligata che le imprese si trovano ad affrontare”.

Allarme di Confartigianato: anche a Brescia meno prestiti e più cari

in Associazioni di categoria/Confartigianato/Economia/Finanza/Tendenze by

Meno prestiti e più cari. Le imprese lombarde su base annua anno sborsato un miliardo e mezzo in più. A stimarlo l’Osservatorio di Confartigianato Lombardia sulla base dello stock dei prestiti concessi. Maggiore costo su base annua sul credito erogato alle MPI pari a 583 milioni di euro solo per Milano, seguita da Brescia con 230 milioni di euro. Contestualmente si accentuano situazioni di stretta sul credito: dopo la provincia in testa alla negativa classifica e cioè Lecco con -7,7%, c’è la nostra con il -7,3%, seguita da Cremona (-6,7%).

«Sono in calo e si pagano maggiori costi sui prestiti. Per le micro e piccole imprese è l’ennesimo segnale. C’è un rischio frenata. Oltre 1 miliardo e mezzo di extra costo per il credito delle MPI lombarde, di cui 230 milioni solo nella nostra provincia. Un numero oggettivamente impressionante, che pesa di più laddove le imprese sono più impegnate negli investimenti per crescere. È un tema sul quale non si sta ponendo sufficiente attenzione, ma che rischia di frenare lo sviluppo delle nostre imprese. La marginalità viene contratta all’osso e dunque anche la volontà di mettere in atto quelle misure utili ad aumentare la propria competitività: evoluzioni di processo, acquisto di nuovi macchinari, rivoluzione degli spazi di lavoro. Ma tutto questo costa e le MPI rischiano di non poterselo permettere, contraendo così drammaticamente la propria capacità di stare sul mercato ed esprimere tutto il loro valore» spiega Eugenio Massetti, Presidente di Confartigianato Imprese Brescia e Lombardia.

Premessa – La stretta monetaria sta proseguendo, rischiando di mettere il freno a mano all’economia italiana e dell’Eurozona, quest’ultima già caduta in recessione tecnica. L’inflazione scende, con una stabilizzazione dei prezzi dell’energia, ma che rimangono del 53% superiori a quelli del 2019. Intanto la Bce ha rialzato ancora i tassi di 25 punti base. Ottavo rialzo in dodici mesi, per complessivi 400 punti base per contenere l’inflazione. Intanto nel corso dell’anno si propagheranno effetti restrittivi sulla propensione ad investire, mentre una politica monetaria della Bce più restrittiva rispetto a quella della Fed potrebbe apprezzare l’euro sul dollaro, influenzando la competitività dell’export. Vi sono inoltre altri diffusi segnali di rallentamento del ciclo economico: nei primi cinque mesi dell’anno flette il volume delle esportazioni, l’elevata inflazione erode il potere di acquisto delle famiglie, la produzione manifatturiera segna un calo, così come quella delle costruzioni, e sono negativi gli indicatori del mercato immobiliare.

Il costo del credito – A maggio 2023 a livello nazionale i tassi sui prestiti alle imprese sono saliti al 4,81%, con un aumento di 362 punti base su base annua. Un livello così alto del costo del credito non si registrava dalla Grande crisi, nel novembre del 2008. Nel confronto internazionale, in Italia si registrano tassi di interesse per le imprese più elevati tra i maggiori paesi Ue: a fronte del tasso medio del 4,81% in Italia, l’Eurozona segna un 4,56%. L’analisi del costo del credito a livello regionale evidenza che a marzo 2023 il tasso di interesse bancario attivo (TAE) pagato dal totale delle imprese lombarde si attesta al 4,74%, il più basso rilevato tra le regioni (Lombardia 20^ nel ranking nazionale), in aumento di 208 punti base rispetto a quello di giugno 2022, 9 mesi prima della stretta monetaria.

A livello settoriale a marzo 2023 costi del credito più elevati vengono sostenuti dalle imprese delle Costruzioni (5,63%), a cui seguono i Servizi, con un tasso del 4,72%, e il Manifatturiero, con un tasso del 4,60%. Mentre tra giugno 2022 e marzo 2023 rialzi più elevati dei tassi di interesse bancari attivi si osservano per il Manifatturiero (+216 p.b.), seguito dai Servizi (+208 p.b.) e dalle Costruzioni (+172 p.b.).

Mentre secondo le ultime valutazioni disponibile, in Lombardia il tasso pagato dalle piccole imprese a dicembre 2022 è del 6,97% superiore di 314 punti base al 3,83% delle medio grandi imprese e di 77 punti base sopra al costo del credito sostenuto dalle piccole imprese a giugno 2022 (6,20%). Per la nostra regione, sulla base dell’incremento tendenziale dei tassi sulle consistenze dei prestiti alle imprese, si stima un maggiore costo su base annua sul credito erogato alle MPI (micro e piccole imprese fino a 50 addetti) di 1.587 milioni di euro, l’impatto più pesante della stretta monetaria rilevato tra le regioni italiane. Sulla base dello stock dei prestiti concessi si stima a livello provinciale un maggiore costo su base annua sul credito erogato alle MPI pari al 583 milioni di euro a Milano, pari a 230 milioni di euro a Brescia, pari a 175 milioni di euro a Bergamo, pari a 104 milioni di euro a Monza – Brianza, pari a 101 milioni di euro a Varese, pari a 81 milioni di euro a Mantova, pari a 76 milioni di euro a Como, pari a 69 milioni di euro a Cremona, pari a 60 milioni di euro a Pavia, pari a 48 milioni di euro a Lecco e pari a 30 milioni di euro a Sondrio e a Lodi.

Il trend dei prestiti – Evidenti i segnali di tensioni sulla domanda di credito con i prestiti alle piccole imprese, che in Lombardia, come a livello nazionale, risultano in calo da marzo 2022. A marzo 2023 (ultimo dato disponibile) la dinamica del credito concesso alle piccole imprese lombarde – corretta soprattutto per le cartolarizzazioni – scende del -4,6% (era del -3,3% a dicembre 2022). Flessione in linea con quella rilevata a livello nazionale (-4,4%) ma in controtendenza rispetto al +0,2% registrato per il totale imprese lombarde.

Prestiti a livello provinciale – Situazioni di tensione sul credito più pesanti si rilevano a Lecco (-7,7%), Brescia (-7,3%) e Cremona (-6,7%). Tutte e tre figurano tra le province italiane che performano peggio in termini di trend del credito erogato alle imprese. A livello settoriale, sempre con riferimento a variazioni tendenziali non corrette, la dinamica dello stock dei prestiti concessi a marzo 2023 risulta in riduzione nelle Costruzioni (- 6,9%) e nel Manifatturiero (-5,4%) mentre è in controtendenza nei Servizi (+1%).Nel dettaglio esaminando il trend del credito per settore e territorio si osserva che nel Manifatturiero perdono di più in termini di prestiti concessi, contribuendo a determinare la flessione del credito rilevata a livello regionale (-5,4%), Lecco (-8,0%), Brescia (-7,9%) e Monza e Brianza (-7,1%); nelle Costruzioni contribuiscono maggiormente al risultato lombardo le contrazioni dei prestiti più marcate rilevate per le imprese di Lodi (-25,2%), Lecco (-16,7%), Como (-15,3%), Cremona (- 14,4%) e Bergamo (-13,8%) e Brescia -12,3%; e nei Servizi la dinamica positiva regionale è correlata alla crescita dei prestiti del +4,3% rilevata per Milano (a cui sono indirizzati il 65% dei prestiti concessi alle imprese dei Servizi) e del +1,5% rilevata per Monza-Brianza (5,4% stock prestiti del settore), mentre Brescia anche nei Servizi si segna -6,1%.

«Non parliamo di un rischio futuro: già oggi i segnali di tensioni sulla domanda di credito sono evidenti con i prestiti alle piccole imprese in calo. Numeri che rivelano la prudenza e anche la fatica delle MPI che hanno già dovuto far fronte all’aumento delle materie prime e dell’energia» conclude il presidente Massetti.

Brescia, nel 2° trimestre 2023 cala la produzione industriale (-0,4%)

in Economia/Tendenze by

Nel 2° trimestre del 2023 l’attività produttiva del made in Brescia ha registrato una contrazione, andando così a interrompere la striscia positiva iniziata nel 2021. Nel dettaglio, la variazione rispetto al trimestre precedente è pari a -1,0% (congiunturale), mentre l’evoluzione nei confronti dello stesso periodo del 2022 (tendenziale) mostra un segno negativo (-0,4%), il primo dall’ultimo trimestre 2020, quando l’industria bresciana stava ancora fronteggiando le problematiche causate dalla pandemia da Covid-19.

A evidenziarlo è l’indagine congiunturale del Centro Studi di Confindustria Brescia sui dati relativi al periodo aprile-giugno 2023.

I segnali di indebolimento rilevati nelle precedenti rilevazioni si sono quindi intensificati, andando addirittura a tradursi in una flessione della produzione. La dinamica rilevata a livello locale è in coerenza con un contesto nazionale e internazionale divenuto, negli ultimi mesi, sempre più aspro per quanto riguarda il comparto manifatturiero. A seguito delle evoluzioni sopra indicate, il tasso acquisito, ovvero la variazione media annua che si avrebbe se l’indice della produzione non subisse variazioni fino alla fine del 2023, è pari a +2,0%.

Come anticipato, la performance negativa registrata dal settore manifatturiero locale nel trimestre primaverile sconta alcuni fattori di freno, tra cui spiccano, in particolare: il generalizzato rallentamento dell’attività produttiva a livello mondiale (con l’indice PMI globale che a giugno si è attestato abbondantemente sotto la soglia che delimita la crescita dalla contrazione, ai minimi da sei mesi), la sempre più debole dinamica della Germania, principale partner commerciale per la manifattura bresciana (con la più recente rilevazione dell’indice PMI ai valori più bassi da oltre tre anni), la debolezza del commercio internazionale (in contrazione dello 0,9% nei primi quattro mesi del 2023 sullo stesso periodo dell’anno scorso), l’inedito rialzo del costo del denaro, sulla scia delle misure da parte della BCE, in chiave anti-inflazione. In tale contesto, buone notizie provengono dal costo degli input energetici, con le quotazioni del gas naturale largamente rientrate dai picchi sperimentati l’anno scorso.

“Ci aspettavamo un rallentamento, alla luce dei numerosi segnali provenienti dall’economia mondiale nelle ultime settimane – commenta Franco Gussalli Beretta, presidente di Confindustria Brescia –; le prospettive restano incerte anche per il prossimo futuro, in particolare per la flessione della domanda proveniente dalla Germania. Si tratta di incognite che, inevitabilmente, incideranno anche nella futura rilevazione legata al periodo tra luglio e settembre, al di là della tradizionale chiusura della maggior parte degli stabilimenti nel periodo estivo. Al momento, registriamo invece una tenuta del comparto Automotive: in considerazione dell’importanza che il settore riveste per la nostra provincia, si tratta certamente di un segnale incoraggiante, anche se nei prossimi mesi è previsto un rallentamento anche in tale ambito.”

Tornando alla rilevazione, nel periodo considerato il 31% degli operatori intervistati ha dichiarato una crescita dell’attività rispetto al trimestre precedente, a fronte del 31% che si è espresso per il mantenimento dei volumi prodotti e del 38% che invece ha segnalato una flessione degli stessi.

§  La disaggregazione della variazione della produzione per classe dimensionale mostra generalizzate flessioni: -0,5% per le imprese micro, -0,7% per le piccole, -1,3% per le medie e -2,5% per le grandi.

§  Con riferimento alla dinamica congiunturale per settore, l’attività produttiva ha evidenziato evoluzioni diversificate. Consuntivi positivi provengono dalle realtà dell’alimentare (+4,8%) e del sistema moda (+3,7%); il legno e minerali metalliferi si caratterizza invece per una crescita modesta (+0,2%). Per contro, i comparti meccanica (-1,3%), metallurgia (-3,5%), chimico, gomma e plastica (-5,3%) hanno evidenziato flessioni, anche significative, dell’attività.

§  Il tasso diutilizzo della capacità produttiva si è attestato all’80%, invariato rispetto alla rilevazione precedente, e di poco inferiore di quanto misurato nel secondo trimestre del 2022 (81%).

§  Le vendite sul mercato italianosono aumentate per il 25% delle imprese, rimaste invariate per il 40% e diminuite per il 35%. Le vendite verso i Paesi comunitari sono cresciute per il 24% degli operatori, calate per il 32% e rimaste stabili per il 44%; quelle verso i Paesi extra UE sono aumentate per il 24%, diminuite per il 31% e rimaste invariate per il 45% del campione.

§  I costi di acquisto delle materie prime sono diminuiti per il 41% delle imprese, con una flessione media dell’1,8%; si tratta della prima variazione negativa dal primo trimestre 2020, a conferma del raffreddamento dell’economia globale, dopo la forte frenata dei rincari recentemente sperimentata. Nello stesso periodo i prezzi di vendita dei prodotti finiti sono stati rivisti al ribasso dal 29% degli operatori, per una contrazione media pari a -1,1%. Tali evoluzioni confermerebbero quindi l’assestamento delle tensioni rilevate negli ultimi anni; tuttavia, va rilevato che appare ancora prematuro ipotizzare una reale inversione di tendenza e che la perdita di marginalità cumulata a partire dal terzo trimestre 2020 è senza precedenti: +38% i prezzi di vendita, contro +129% dei costi di acquisto. 

§  Con riferimento ai fattori che limitano la produzione, il 33% delle aziende non segnala alcun problema in particolare, una quota in flessione di 2 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2022. Le rimanenti risposte si concentrano sulla domanda insufficiente (47%, la quota più alta dal 2020), sulla scarsità di manodopera (13%) e sulla scarsità di materie prime e macchinari (5%, il valore più basso dalla fine del 2020). In tale contesto, non si evidenziano (ancora) problematiche degne di nota relative alla stretta creditizia recentemente innescata (grazie, in particolare, all’elevata liquidità accumulata negli ultimi anni) e, il “caro energia”, che aveva colpito importanti segmenti produttivi nei mesi scorsi, di fatto non è più indicato dalle realtà intervistate. 

§  Le previsioni per i prossimi mesi sono all’insegna dell’incertezza e riflettono, al di là della tradizionale chiusura della maggior parte degli stabilimenti nel periodo estivo, i fattori di criticità prima evidenziati. Nel dettaglio, l’attività è prevista in aumento da 26 imprese su 100 e in calo dal 29%, a fronte della maggioranza relativa degli operatori (45%) che propenderebbe per il mantenimento degli attuali livelli produttivi. I settori con le prospettive più positive sarebbero alimentare, chimico, gomma e plastica, legno e minerali non metalliferi. Segnali non particolarmente incoraggianti giungerebbero invece dalla metallurgia e dal sistema moda.

§  Gli ordini provenienti dal mercato domestico sono in crescita per il 21% delle aziende, stabili dal 49% e in calo dal 30%. Quelli da parte degli operatori comunitari, sono in aumento dal 20% delle imprese, invariati per il 52% e in flessione per il 28%. Quelli in arrivo dai mercati extra UE sono in crescita per il 27%, stabili per il 48% e in contrazione per il 25%.

§  I giorni di produzione assicurata si attestano a 77, con una forte variabilità fra e nei settori considerati. Tutto ciò indicherebbe un’elevata eterogeneità di “visione” da parte delle imprese intervistate, di fronte a una fase ciclica che si conferma essere nuovamente complessa e densa di incognite.

Intelligenza artificiale, rischio e opportunità per le imprese bresciane

in Associazioni di categoria/Confartigianato/Economia/Tendenze by

Il lancio a novembre 2022 di ChatGPT, il software di simulazione di una conversazione con un essere umano basato su Intelligenza artificiale (IA) e machine learning (apprendimento automatico) sviluppato da OpenAI, ha intensificato il dibattito mondiale sulle prospettive dei sistemi di IA e l’impatto sul mondo del lavoro.

Come emerge da un recente studio pubblicato dall’Osservatorio MPI di Confartigianato Lombardia la nostra regione è prima per quota di lavoratori in ingresso maggiormente esposti all’impatto dell’intelligenza artificiale. In questo contesto anche l’artigianato bresciano sarà coinvolto in maniera importate e comincia ad interrogarsi – e preoccuparsi – ma potrebbe avere il tempo di metabolizzare le criticità per farsi trovare pronto all’appuntamento.

IMPATTO IA SUL MERCATO DEL LAVORO. Nel dettaglio in Lombardia sono 334.770 le entrate di lavoratori relative alle 173 professioni per cui si rileva una esposizione sopra la media (con livello esposizione alto o medio-alta), pari ad un terzo, precisamente al 32,5% (+7 punti rispetto alla quota nazionale del 25,4%), del totale entrate delle imprese. In particolare, per 242.260 entrate si registra un’alta esposizione all’impatto dell’intelligenza artificiale, pari al 23,5% del totale entrate delle imprese (quota superiore al 17,4% rilevato a livello nazionale). Nel confronto con le altre regioni, dopo la Lombardia c’è il Lazio (32%), Piemonte e Valle d’Aosta (27%).

Tra le province lombarde si osservano quote più elevate di entrate con maggior esposizione all’impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione per Milano (con il 42,6% di entrate maggiormente esposte all’impatto dell’intelligenza artificiale) a cui segue Monza-Brianza (31,9%), Varese (28,4%) e Lecco (27,3%). Va meglio per la nostra provincia: a Brescia la quota di entrate esposte ad un impatto dell’intelligenza artificiale sull’occupazione è del 21,2% inferiore alla media nazionale del 25,4% e del 32,5% lombardo.

Capitolo trattato dallo studio: la propensione agli investimenti in AI. In Lombardia la quota di imprese con almeno 10 addetti che ha effettuato un investimento in ambito di applicazione dell’intelligenza artificiale si attesta al 9,8% si posiziona 2^ nel ranking nazionale. Mentre a livello provinciale tra le prime 10 su 107 che hanno effettuato almeno un investimento in intelligenza artificiale troviamo Milano (con l’11,8%, che si posiziona 2^ nel ranking nazionale), Bergamo (con il 10,1%, che si posiziona 7^) e Brescia (con il 9,5%, che si posiziona 10^).

«Rischi, ma anche opportunità – spiega Eugenio Massetti, Presidente di Confartigianato Imprese Brescia e Lombardia – Potremo cogliere le potenzialità della diffusione di sistemi di IA e di automazione e integrare, nonché evolvere, i processi per generare benefici all’impresa e alla comunità in cui, in particolar modo quando parliamo di piccole imprese e di artigianato, l’apparato produttivo italiano ha radici ben salde. Sarà più probabile una polarizzazione della qualità del lavoro e l’attivazione di una domanda sempre crescente, e continua, di formazione».

IL RISCHIO AUTOMAZIONE. Qui, il comparto artigiano bresciano è al 5° posto nazionale. L’Osservatorio di Confartigianato ha infatti considerato e parametrato oltre all’impatto dell’intelligenza artificiale, il rischio di automazione e le conseguenze dell’adozione delle tecnologie delle imprese e il suo impatto sul sistema produttivo e occupati e vi emerge in maniera più preoccupante il rischio anche nella nostra provincia. In Lombardia nel 2021 il 23% degli addetti delle imprese opera in settori ad alto rischio automazione, pari a 985 mila addetti. Quota che per l’artigianato sale al 37,5%, pari a 182 mila addetti che operano in settori ad elevato rischio di disoccupazione tecnologica: 14,4 punti percentuali sopra alla media del totale imprese. In particolare, le imprese artigiane si addensano maggiormente in settori manifatturieri e dei servizi relativamente più esposti alla sostituzione del lavoro con macchine. Tra le 116mila imprese lombarde ad alto rischio automazione che impiegano 985mila addetti vi si trovano attività di servizi di ristorazione, fabbricazione di prodotti in metallo, trasporto, attività di servizi per edifici e paesaggio, abbigliamento, tessile, legno, stampa, tra le maggiori ad alto rischio.

In relazione alla composizione settoriale dell’occupazione delle imprese sul territorio si evidenzia per il totale imprese la quota più elevata di occupati in settori ad alto rischio automazione in provincia di Lecco (34,7%), Bergamo (32,9%), Mantova (32,9%) e Brescia (31,1%); rispettivamente al 5°, al 9° e al 17° posto della classifica nazionale su 107 province. Nel comparto artigiano, maggiormente esposto al rischio automazione, il peso degli occupati a maggior rischio robot sul totale lo rileviamo a Lecco (42,6%), Brescia (42,3% sul totale imprese artigianato della nostra provincia e un totale di 34.506 addetti coinvolti) e Mantova (40,2%); rispettivamente al 4°, 5° e 14° posto della classifica nazionale.

«In questo contesto anche l’artigianato sarà coinvolto in maniera importante ed è fondamentale farsi trovare pronti – prosegue Massetti. Nello scenario che ci si prospetta la conoscenza, data dall’istruzione e dalla formazione continua, rappresenta l’anticorpo che permetterà di non essere travolti dai cambiamenti veloci determinati dalla metamorfosi digitale, ma di cogliere benefici e potenzialità derivanti dallo sviluppo dell’automazione. Caratteristiche tipiche delle MPI consentiranno di sfruttare la transizione digitale come una leva di competitività, in particolare: la flessibilità, softskill di rilevante importanza, da cui deriva la capacità di reazione di fronte a situazioni imprevedibili e la creatività, il saper inventare nuove soluzioni per soddisfare specifiche esigenze, entrambe capacità difficili da replicare in una macchina che ‘per natura’ rielabora idee altrui».

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