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Agricoltura e allevamento - page 2

“Peste suina alle porte di Brescia, bisogna abbattere subito i cinghiali”

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close photo of pig

La peste suina si avvicina pericolosamente ai confini bresciani. E gli allevatori di casa nostra sono in grandissimo allarme. Da quando, una settimana fa circa, sono state scoperte due carcasse di cinghiali infetti nel Pavese, a Bagnaria e a Ponte Nizza, nella Valle Staffora, i primi casi in Lombardia (fino a pochi giorni fa la zona rossa si estendeva alla provincia di Piacenza, mentre oggi sono undici i comuni coinvolti in provincia di Pavia). Ora la temibile infezione bussa alle porte di Brescia, distante solo 150 chilometri circa. Se l’infezione dovesse estendersi sarebbe, per l’economia agricola bresciana, un dramma e un danno enorme. Il settore suinicolo bresciano conta oltre 750 allevamenti per circa 1,2 milioni di capi e quasi trecento milioni di euro di valore complessivo alla produzione.

“Siamo oltremodo preoccupati – dichiara il consigliere di Confagricoltura Brescia Serafino Valtulini, allevatore di Orzivecchi -, le istituzioni si sono mosse ma evidentemente non basta o le azioni sono forse un po’ tardive. Non c’è più un solo minuto da perdere, come diciamo da tempo, per impedire alla peste suina di diffondersi tramite i cinghiali, che sono il primo vettore del virus: l’unico modo restano gli abbattimenti, non ci sono oggi altre strade percorribili nel breve periodo. Politica, imprese e associazioni di categoria devono lavorare unite per un unico obiettivo comune: tutelare e proteggere le zone a più alta intensità di capi suini allevati, come lo è il Bresciano”.

Lo scorso 21 giugno la commissione Agricoltura della Camera ha approvato una risoluzione sulla Psa, che prevede interventi di depopolamento del cinghiale tramite una maggiore attenzione all’attuazione del piano straordinario di contenimento della specie anche nelle aree non toccate dal virus ma vocate all’allevamento suinicolo, in modo da prevenirne l’arrivo. Non solo, il decreto legge 75 del 22 giugno ha introdotto nuove misure di contrasto alla peste suina, rafforzando la prevenzione e l’eradicazione della Psa e ampliando il raggio d’azione delle operazioni di contenimento dei cinghiali, oltre che le funzioni del commissario straordinario. A lui il compito di definire il piano straordinario delle catture a livello nazionale e regionale e la possibilità di prevedere procedure straordinarie (compreso l’affidamento a ditte specializzate) in caso di inerzia o mancato raggiungimento degli obiettivi da parte delle Regioni.

I suinicoltori di Confagricoltura Brescia si sono incontrati più volte nelle ultime settimane, chiedendo ufficialmente di “mettere in atto tutte le misure necessarie per ridurre il rischio che la malattia entri nella Pianura padana lombarda”, dove è allevato circa il 50% del patrimonio suinicolo nazionale, una delle principali filiere per le più famose Dop italiane. In caso di diffusione della peste suina anche in questo territorio, si determinerebbe un rischio sanitario diretto per la zootecnia bresciana, con danni economici pesantissimi stimati in circa 60 milioni di euro al mese in Lombardia (la sola provincia di Brescia rappresenta il primo distretto suinicolo all’interno della Lombardia, con il 31 per cento della quota produttiva regionale).

Peste Suina, allarme Cia: intervenire subito o sarà catastrofe per il mercato

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Il Centro di Referenza Nazionale, come riportato dal SIMAN – Sistema di Notifica Ufficiale delle Malattie Animali, ha confermato la positività di una carcassa di cinghiale alla Peste suina africana a Torre Bagnaria (Pavia), fatto questo che preannuncia una situazione di rischio catastrofe per il mercato suinicolo nazionale.

Paolo Maccazzola, presidente di Cia Lombardia, chiede un intervento immediato a Regione Lombardia: “La situazione è gravissima, serve arginare questa piaga prima che si arrivi al blocco della circolazione dei prodotti di derivazione suina. Non possiamo lasciare in mano ai cacciatori e alle guardie forestali tutta la responsabilità del contenimento, servono abbattimenti fatti in maniera mirata e soprattutto in temi rapidi.”

La zona del ritrovamento è a ridosso di Varzi, località famosa per il salame doc, ma il danno per il mercato suinicolo nazionale è potenzialmente elevatissimo. “La suinicoltura è il pilatro della zootecnia italiana,  il Made in Italy è a rischio: se gli allevamenti vengono bloccati c’è il rischio del collasso” spiega il presidente di Cia Lombardia, che aggiunge  “la Lombardia è la maggior produttrice di derivati da carne suina d’Italia e tra le principali del mondo, il danno potenziale è  incalcolabile.
Regione Lombardia si era già mossa per contenere il fenomeno del rischio di diffusione della PSA, Cia Agricoltori Lombardia chiede pertanto di intensificare in tempi rapidissimi i controlli e gli abbattimenti di cinghiali.   

Non c’è tempo da perdere, se non ci si muove per tempo sarà una catastrofe” conclude Paolo Maccazzola.

Grano duro, “con questi prezzi addio alla pasta italiana”

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“Se non si riconosce valore ad un prodotto che ha elevati standard qualitativi, ma costi di produzione meno competitivi rispetto a Paesi esteri, sostenere la sovranità alimentare diventa uno slogan vuoto di significato”. Così il presidente Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini, nella riunione odierna del Tavolo frumento duro presso il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste alla presenza del ministro Francesco Lollobrigida. Secondo Cia, in Italia è sempre più a rischio la produzione agricola di grano duro -la più estesa per superficie nel Paese- materia prima per un prodotto di eccellenza del Made in Italy come la pasta. Il prezzo continua, infatti, a sprofondare, con un crollo delle quotazioni, che si aggira sui 380 euro a tonnellata, mentre nello stesso periodo del 2022 era di 550 euro/ton.I margini per le aziende agricole sono così troppo esigui ed è a rischio la prossima stagione di semine.
Cia segnala che stanno, invece, aumentando i prezzi dei prodotti trasformati all’interno della filiera e le esportazioni sono cresciute al ritmo del +5% nel 2022, per un valore totale di 3,7 miliardi. Per Cia è, dunque, necessario mettere in campo quelle azioni strutturali di cui si parla da anni per riequilibrare la catena del valore, che è oggi troppo penalizzante per gli agricoltori.

Cia pone l’attenzione sulla valorizzazione dell’origine del prodotto e chiede maggiori risorse da investire sui contratti di filiera che favoriscano le produzioni domestiche, incentivando la coltivazione del grano duro Made in Italy. Per una strategia di medio/lungo periodo Cia ritiene, inoltre, necessari forti investimenti in ricerca per aumentare le rese e favorire produzioni sempre più sostenibili anche in chiave ambientale. Il rafforzamento della filiera aumenterebbe così gli investimenti dei nostri produttori e ridimensionerebbe il ricorso all’import.

Secondo Fini bisogna dare una forte spinta propulsiva al comparto e ridurre drasticamente la dipendenza dal prodotto estero. Per implementare l’autosufficienza nazionale e aiutare le aziende a produrre più grano di qualità come richiesto dell’industria molitoria, occorre lavorare sulla trasparenza dei prezzi con il ripristino della CUN (Commissione Unica Nazionale) favorendo il dialogo interprofessionale ed è allo stesso tempo necessaria l’istituzione di Granaio d’Italia e del relativo Registro Telematico dei Cereali, che prevede azioni di contrasto verso i fenomeni speculativi. Si devono, infine, studiare con Ismea nuovi strumenti che certifichino i costi di produzione del grano duro. 

Allevatori contro industria casearia, Cia: “Inammissibile richiesta di abbassare prezzo latte”

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Cia Agricoltori Lombardia – secondo quanto sottolinea una nota – considera “totalmente inammissibili le richieste di diverse aziende dell’industria casearia di rivedere, con un costo al ribasso, gli accordi che fissano il prezzo del latte alla stalla. Tali richieste nascono da alcune analisi delle suddette aziende che indicano una contrazione della domanda dell’8%, che giustificherebbero la necessità di un abbassamento del costo all’acquisto presso i produttori. Anche il fatto che il prezzo del latte spot sia sceso, raggiungendo oggi il prezzo di 48 centesimi al litro, secondo le aziende casearie dovrebbe essere motivo di abbassamento del costo di acquisto”.

Cia Agricoltori Lombardia, tramite il suo presidente Paolo Maccazzola, risponde a questi dati e spiega la posizione dell’associazione: “Non neghiamo la contrazione dei consumi, facciamo però notare che riguarda i consumatori diretti. Diversamente, il settore ho.re.ca mostra un aumento di consumi del 6%, una differenza quindi del 2-3% che è fisiologica nei mercati. La richiesta di rivedere gli accordi con un ribassamento dei prezzi è perciò inammissibile”.

Sul prezzo del latte spot è poi doveroso chiarire il diverso atteggiamento delle aziende casearie. Sempre Maccazzola: “Se vogliamo prendere il latte spot come indice di riferimento del mercatoallora vada fatto sempreNell’estate del 2022, ad esempio, il prezzo era di 70 centesimi al litro ma agli agricoltori veniva pagato in media 58 centesimi. Chiediamo maggiore correttezza, non solo quando conviene all’industria casearia.”

Fa inoltre notare Maccazzola che i costi di gestione per gli agricoltori non sono di certo scesi negli ultimi. “La spesa per l’energia si è sensibilmente ridotta, così come il prezzo del mais a livello internazionale, le altre materie proteiche quali i fieni, i trinciati e la soia e soprattutto il costo dei carburanti usati in agricoltura hanno mantenuto prezzi elevatissimi.”

“Non sussistono perciò le condizioni – conclude – non solo di rivedere i prezzi del latte, ma nemmeno di prendere in considerazione la proposta. “Costi di gestione e siccità sono problemi che stanno mettendo in serio pericolo l’agricoltura, le aziende alimentari dovrebbero capire che venirci incontro è fondamentale per salvare anche le loro attività.” conclude il presidente Paolo Maccazzola.
 


Cia Agricoltori Lombardia, tramite il suo presidente Paolo Maccazzola, risponde a questi dati e spiega la posizione dell’associazione: “Non neghiamo la contrazione dei consumi, facciamo però notare che riguarda i consumatori diretti. Diversamente, il settore ho.re.ca. mostra un aumento di consumi del 6%, una differenza quindi del 2-3% che è fisiologica nei mercati. La richiesta di rivedere gli accordi con un ribassamento dei prezzi è perciò inammissibile”.

Sul prezzo del latte spot è poi doveroso chiarire il diverso atteggiamento delle aziende casearie. Sempre Maccazzola: “Se vogliamo prendere il latte spot come indice di riferimento del mercatoallora vada fatto sempreNell’estate del 2022, ad esempio, il prezzo era di 70 centesimi al litro ma agli agricoltori veniva pagato in media 58 centesimi. Chiediamo maggiore correttezza, non solo quando conviene all’industria casearia.”

Fa inoltre notare il presidente Maccazzola che i costi di gestione per gli agricoltori non sono di certo scesi negli ultimi. “La spesa per l’energia si è sensibilmente ridotta, così come il prezzo del mais a livello internazionale, le altre materie proteiche quali i fieni, i trinciati e la soia e soprattutto il costo dei carburanti usati in agricoltura hanno mantenuto prezzi elevatissimi.”

Non sussistono perciò le condizioni non solo di rivedere i prezzi del latte, ma nemmeno di prendere in considerazione la proposta. “Costi di gestione e siccità sono problemi che stanno mettendo in serio pericolo l’agricoltura, le aziende alimentari dovrebbero capire che venirci incontro è fondamentale per salvare anche le loro attività.” conclude il presidente Paolo Maccazzola.
 

Regione, 3,5 milioni per le aziende agricole sentinelle dell’ambiente

in Agricoltura e allevamento/Economia/Istituzioni/Regione by

Regione Lombardia finanzia, con circa 3,5 milioni di euro, 173 progetti per le aziende agricole nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale, destinati a interventi per migliorare la gestione delle acque e alla conservazione della biodiversità.

Lo comunica l’assessore all’Agricoltura, Sovranità alimentare e Foreste di Regione Lombardia, Alessandro Beduschi, annunciando i finanziamenti previsti dal PSR con i bandi 2022, rispettivamente 564.000 euro per 63 domande nell’ambito dell’operazione 4.4.01  ‘Investimenti non produttivi finalizzati prioritariamente alla conservazione della biodiversità’ e 2,8 milioni di euro per 110 domande sull’operazione 4.4.02 ‘Investimenti non produttivi finalizzati prioritariamente alla migliore gestione delle risorse idriche’.

“Con questi fondi – prosegue l’assessore Beduschi – le aziende potranno finanziare diversi progetti, come la piantumazione di siepi e filari, la realizzazione di protezioni e recinzioni per salvaguardare la presenza di specie selvatiche, ma anche per costituire ‘fasce tampone’ boscate, recuperare fontanili per poter disporre di acqua sorgiva di ottima qualità o realizzare zone umide e pozze che consentano il mantenimento della flora e della fauna o installare il cosiddetto biobed, che impedisce la dispersione nel terreno e nelle falde di prodotti fitosanitari”.

“Con le due misure finanziate – conclude Beduschi – Regione Lombardia conferma la sua attenzione alle imprese agricole che presidiano il territorio, il paesaggio e l’habitat naturale e che con i loro progetti ci confermano di voler essere protagoniste per preservare e recuperare ambienti ad alto valore naturalistico, oltre che a considerare l’acqua come un bene sempre più prezioso e da tutelare”.

RIPARTO PER PROVINCE

Provincia totale domande e importo:

– Bergamo (14 domande) 324.900 euro;

– Sondrio (29 domande) 106.495 euro;

– Milano (14 domande) 283.920 euro;

– Pavia (66 domande) 1.813.415 euro;

– Lecco (5 domande) 100.100 euro;

– Como (3 domande) 32.400 euro;

– Mantova (13 domande) 106.000 euro;

– Brescia (18 domande) 389.000 euro;

– Lodi (8 domande) 193.000 euro;

– Cremona (3 domande) 80.670 euro.

TOTALE 3.430.000 euro

8 marzo, il business delle mimose vale 12 milioni di euro

in Agricoltura e allevamento/Economia by

La mimosa è la pianta simbolo della Festa della donna e l’8 marzo, da solo, vale l’85% degli acquisti di stagione. Cia-Agricoltori Italiani stima un giro d’affari di 12mln di euro, con 10 milioni di mazzetti pronti a essere regalati ad amiche, fidanzate, mogli e colleghe. Tuttavia, Cia segnala scarsità di prodotto (-40%) dovuto a fioriture anticipate in gennaio per effetto di temperature ben al di sopra della media e un impatto negativo della siccità, soprattutto in Liguria da dove arriva il 90% della produzione nazionale. Se i produttori floricoli sono, comunque, riusciti a mantenere prezzi stabili rispetto allo scorso anno, si segnala un +20% del costo al dettaglio sulla parte commerciale. I prezzi dei “mazzetti” partono dai 6 euro fino ad arrivare a 10-12 euro mentre le piante, il cui prezzo va in base alla grandezza del vaso, variano dagli 11 fino a 50 euro. Per far fronte agli effetti del climate change, il vivaismo nazionale sta ora studiando varianti tardive di mimosa che possano soddisfare la grande richiesta in occasione della festività dell’8 marzo.

Nella situazione complessivamente difficile per l’agricoltura a causa di siccità e aumento costi delle materie prime, l’associazione dei Florovivaisti Italiani di Cia segnala un buon livello di export. A causa degli eccessivi costi di trasporto si è, infatti, ridotta l’importazione in Europa di fiori dal Sud America e dall’Africa. La concorrenza di quei Paesi -dove spesso non vengono rispettati i diritti dei lavoratori e si produce con pesticidi vietati nell’Ue- è uno dei gravi problemi della floricoltura italiana. Significativo il caso delle rose vendute nelle catene della grande distribuzione che arrivano per la quasi totalità dal Kenya o delle orchidee, provenienti al 90% da Taiwan.

Cia ricorda, infine, come le vendite di mimosa abbiano tradizionalmente un effetto trainante per la commercializzazione di altre specie di fiori primaverili come anemoni, ranuncoli e margherite, con la possibilità di compensare la riduzione del 25% degli acquisti prodotti floricoli da parte dei consumatori, causata da un’inflazione che da mesi viaggia a doppia cifra.

Montichiari, nel fine settimana torna Fazi: ecco le iniziative di Confagricoltura

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Tre intere giornate per parlare di agricoltura a 360 gradi: va in scena, nel fine settimana 21-23 ottobre, la 94esima edizione della Fiera agricola zootecnica Fazi di Montichiari, durante la quale Confagricoltura Brescia lascerà una forte impronta, organizzando diversi momenti di approfondimento, dibattito e incontri. A fare da denominatore comune sarà lo stand, situato all’interno del padiglione 5 centrale, pronto ad accogliere soci, amici e colleghi.

Tanti i momenti forti della tre giorni, a partire dai due convegni organizzati da Confagricoltura Brescia per parlare di altrettanti temi nodali per il settore primario di quest’ultimo periodo: la Politica agricola comune Pac e la crisi idrica. Il primo sarà venerdì 21 alle 10.30 in sala Scalvini, dal titolo “Nuova Pac, l’agricoltura bresciana tra incertezze e allarmi“. A intervenire saranno i vertici nazionali ed europei di Confagricoltura, a partire da Vincenzo Lenucci, direttore dell’area Politiche europee e internazionali, e Cristina Tinelli, responsabile dell’area Relazioni internazionali e Unione europea. A commentare la situazione saranno Fabio Rolfi, assessore regionale all’Agricoltura, e il presidente di Confagricoltura Brescia Giovanni Garbelli. “La prima versione della Pac era fortemente penalizzante per le aziende agricole – afferma il leader dell’organizzazione -. Confagricoltura negli scorsi mesi ha lavorato tantissimo, su più fronti e livelli, per far modificare alcuni degli aspetti centrali, come gli ecoschemi, ottenendo alcuni risultati. La Pac, oggi, vede qualche miglioramento, anche se c’è ancora molto da fare e cambiare”. Il secondo convegno sarà sabato 22 alle 11 per parlare di “Risparmio idrico: quali soluzioni per l’agricoltura moderna?”. Tanti gli interventi, tra cui quelli di Isabella Ghiglieno dell’Università di Brescia, Riccardo Magistrali di Netafim Italia e Andrea Azzoni, vicedirettoredg regionale Agricoltura. A trarre le conclusioni sarà il presidente Garbelli: “La stagione agricola è finita, ma il tema della carenza idrica è ancora attualissimo. Non dobbiamo abbassare la guardia, per non ritrovarci nella difficile situazione dell’estate scorsa, ma bisogna piuttosto lavorare da subito e trovare le soluzioni migliori per l’agricoltura bresciana”.

Variegati gli incontri che si susseguiranno allo stand, tra cui spicca quello di venerdì 21 alle 17 con il “contadino digitale” Matt the farmer, socio di Confagricoltura Brescia, che racconterà il suo innovativo modo di comunicare l’agricoltura nei tempi moderni, offrendo qualche spunto e consiglio ai giovani dell’Anga, presenti allo stand per un loro momento di incontro. Sempre venerdì, ma alle 15, allo stand si parlerà di Certificazione aziendale, prospettive e opportunità, con il Conast, mentre il sabato pomeriggio sarà dedicato alle degustazioni: alle 15 con il miele e alle 16.30 con l’olio extravergine. Infine per l’intera giornata di domenica torna allo stand di Confagricoltura Brescia il farming simulator, il trattore virtuale tutto da provare che tanto apprezzamento ha ricevuto anche nel corso di Futura Expo a Brixia Forum.

Nutriscore, agricoltori contro Ue: sistema fuorviante

in Agricoltura e allevamento/Economia by

La Ue deve dotarsi di un sistema di etichettatura chiaro e scientifico sugli alimenti, quindi alternativo al Nutriscore che confonde i consumatori e penalizza erroneamente le produzioni tipiche e di qualità, a partire dal Made in Italy. Lo dichiara Cia-Agricoltori Italiani, che torna sul dibattito aperto, quando si avvicina la data in cui la Commissione dovrà decidere sull’etichettatura fronte-pacco da adottare a livello comunitario.

“In questo momento c’è bisogno di un nuovo scatto a livello politico per bloccare ipotesi come questa -spiega il presidente nazionale di Cia, Cristiano Fini-. Le indicazioni in etichetta devono essere oggettive, finalizzate a informare e non a condizionare le scelte alimentari. Con il Nutriscore, invece, si creano più danni che benefici, mettendo a rischio l’agroalimentare tradizionale. A fronte di una comunicazione intuitiva basata su tre colori, l’etichetta a semaforo finisce per risultare fuorviante, inducendo le famiglie a considerare il rosso come un divieto”.

Secondo Fini, “un giudizio semplicistico e distorto sul singolo alimento o sulla singola bevanda alcolica può cancellare l’assunto universalmente riconosciuto dal mondo scientifico che non esistono cibi ‘buoni’ e ‘cattivi’, ma piuttosto regimi alimentari corretti o meno, a seconda del modo in cui vengono integrati quotidianamente i prodotti tra loro”.

Per questo, aggiunge il presidente di Cia, “ribadiamo il nostro no assoluto al Nutriscore. Con un sistema simile, non si parla più di stili di vita salutari, di alimentazione di qualità, ma semplicemente di alimentazione a basso valore nutritivo. Con buona pace della nostra Dieta Mediterranea”.    

Agricoltura, dalla Regione 17,4 milioni alle imprese contro il caro-energia

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L’assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi Fabio Rolfi ha annunciato che la Regione Lombardia ha avviato le procedure per la modifica del Programma di sviluppo rurale 2014-2020 per attivare la misura 22 che prevede un sostegno temporaneo eccezionale a favore di agricoltori e PMI particolarmente colpiti dalle conseguenze della guerra.

“L’aumento dei prezzi dell’energia, dei concimi e dei mangimi – ha sottolineato l’assessore – sta mettendo in ginocchio intere filiere. Oggi Regione Lombardia avvia le procedure per una misura specifica volta a fornire un sostegno temporaneo eccezionale. Una previsione di spesa di 17,4 milioni di euro per due settori che più di altri stanno sentendo gli effetti della guerra in Ucraina: il suinicolo e quello del bovino da latte di montagna. Metteremo in campo le stesse modalità di intervento fatte ai tempi del Covid: liquidità immediata a burocrazia zero per far respirare le imprese”. “Abbiamo l’obiettivo di aprire il bando – ha detto – già nelle prossime settimane”.

La Regione Lombardia ha un sistema agricolo che dipende significativamente dalla fornitura di energia, prodotti fitosanitari, concimi e mangimi. Pertanto, le imprese agricole lombarde registrano problemi in termini di redditività. La misura prevede per le aziende suinicole un sostegno da 7.000 euro (per imprese fino a 500 uba) e 15.000 euro per le imprese con più di 500 uba allevati. Per le aziende di latte situate in montagna il contributo è di 5.000 euro (fino a 30 uba allevati) o 10.000 euro (oltre i 30 uba).

Per quanto riguarda il settore suinicolo, la scelta è motivata dalla stima dei maggiori costi che impattano sulle imprese agricole e che sfiorano i 103.000 euro per le aziende che allevano granivori. Inoltre, per il settore suinicolo nel 2022, come indicato dallo studio Crefis dell’Università Cattolica di Piacenza, si sta assistendo a un significativo calo di tutti gli indici di redditività.

La scelta di concentrare l’intervento sull’allevamento bovino da latte nell’ambito montano è motivata dal fatto che in questo contesto le aziende hanno una minore redditività (il rapporto Reddito netto/ricavi nella montagna alpina è sceso al 16,9%) e i costi espliciti, tra i quali gli alimenti acquistati, hanno una più alta incidenza sui ricavi (pari all’83,1% nel 2021). A causa della siccità sono aumentate le difficoltà di reperimento dei foraggi e mangimi e incrementati i costi di trasporto, con un peggioramento di tale incidenza. L’area montana alpina è un ambito fortemente specializzato nell’allevamento da latte e ciò comporta ridotti margini di manovra per far fronte all’incremento dei costi.

“Tante realtà di montagna – ha spiegato l’assessore – sono già ai margini della redditività e rischiano la chiusura. Al di là dell’aspetto economico c’è un rischio serio collegato all’abbandono dei territori, con conseguenze anche di carattere ambientale”. “Tutelare le nostre imprese agricole – ha concluso l’assessore – significa tutelare i consumatori e la sicurezza alimentare di ciò che mangiamo. Siamo la prima regione agricola d’Italia e intendiamo tutelare le nostre filiere di qualità”.

Agricoltura, in Lombardia via ai pagamenti Pac: anticipi per 170.000.000 di euro

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Regione Lombardia ha iniziato i pagamenti dell’anticipo Pac (Politica agricola comune) a 14.640 aziende agricole: 168,4 milioni di euro totali che saranno erogati alle imprese entro il 31 luglio. Si tratta di una straordinaria iniezione di liquidità per il comparto agricolo lombardo in un momento di difficoltà, causata dalla perdurante crisi idrica e dai rincari energetici che hanno colpito il comparto.

ANTICIPO CONFERMATO – L’assessorato regionale competente evidenzia come si sia riusciti ancora una volta a liquidare l’anticipo Pac nel mese di luglio, proprio nel periodo in cui gli agricoltori sono in campo e hanno maggiore necessità di risorse. In un momento di particolare difficoltà del settore. In alcune zone della regione, è andata persa la metà del raccolto.

UN AIUTO PER IL RILANCIO DELLE IMPRESE – L’emissione di queste risorse servirà ad anticipare i finanziamenti che le imprese riceveranno nell’ambito della Politica Agricola Comune e grazie all’anticipo sarà possibile sostenere e rilanciare il comparto agricolo lombardo, vero motore economico del Paese.

SALDO A NOVEMBRE – L’anticipo Pac alle imprese agricole viene erogato sotto forma di prestito per anticipare i finanziamenti che le imprese ricevono nell’ambito della Politica Agricola Comune. La Regione Lombardia eroga a luglio una quota pari al 70% delle risorse che, in base alla normativa comunitaria, le imprese ricevono a partire dal mese di novembre.

L’anticipo della Pac è stato reintrodotto dalla Regione Lombardia nel 2019 e ora è realtà a livello nazionale. Gli agricoltori non potevano permettersi ritardi, soprattutto quest’anno.

LE RISORSE EROGATE PER PROVINCIA – Bergamo 1.563 aziende, 9.417.394,27 euro; Brescia 3.420 aziende, 28.058.498,19 euro;  Como 221 aziende, 1.152.064,84 euro; Cremona 2.262 aziende, 33.569.465,55 euro; Lecco 88 aziende, 429.022,79 euro; Lodi 606 aziende, 10.565.762,23 euro;
Mantova 2.080 aziende, 22.854.720,01 euro; Milano 891 aziende, 12.907.744,08 euro; Monza E Brianza 103 aziende, 711.982,34 euro; Pavia 3.155 aziende, 47.586.207,68 euro; Sondrio 72 aziende, 268.043,34 euro; Varese 179 aziende, 879.974,23 euro.

Totale Lombardia: 14.640 aziende, 168.400.879,55 euro.

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