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Contratto metalmeccanici: ancora uno sciopero

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di Fabio Astori – Ieri a Brescia è stata la seconda giornata di “mobilitazione” promossa dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori metalmeccanici, a supporto del rinnovo contrattuale (si sarebbe potuto dire un tempo), per contrastare il rinnovamento contrattuale (è più appropriato dire oggi).
Questa volta infatti non parliamo solo di rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale dei Metalmeccanici ma di Rinnovamento. In questa parola si può trovare il senso profondo della proposta di Federmeccanica, per un cambiamento sostanziale anche nelle relazioni industriali, nella consapevolezza che niente è e sarà più come prima.
La crisi infatti ha lasciato dietro di noi macerie: dal 2007 ad oggi il settore ha perso il 30% della produzione industriale, il 25% delle aziende ha chiuso o ha ridotto l’attività, quasi 300mila lavoratori hanno perso il posto di lavoro. Ora ognuno deve fare la propria parte, nessuno escluso.
Ieri però il mondo non si è fermato ad aspettare che le aziende metalmeccaniche italiane ricominciassero a produrre. Il mercato globalizzato ha continuato indifferente nei suoi ritmi più o meno sincopati di offerte, ordini, reclami che costantemente animano la rete. E’ ormai questa la realtà con cui si confrontano le imprese, non solo quelle di New York, Mosca, Pechino o Canberra, ma anche quelle di Lumezzane, Vestone, Breno o Poncarale. Così è anche per la mia azienda, che produce a Montichiari e consegna in tutto il mondo. Eppure anch’io ieri mi sono fermato, perché ancora una volta ho cercato di capire. Mi sono chiesto innanzitutto se fosse stato valutato l’effetto economico e sociale dello sciopero, con i suoi danni alle imprese e ai lavoratori, all’economia e al mercato del lavoro, tanto più nell’attuale contesto di bassa crescita ed incertezza occupazionale. Ho espresso più volte le mie perplessità al riguardo, ma porto rispetto comunque per quei lavoratori che hanno deciso di astenersi dal lavoro pagando la loro scelta con la perdita della retribuzione.
Diverso invece è il discorso per quelli che lo sciopero lo hanno promosso (senza rimetterci nulla!) e affermano di risolvere così i problemi di un’Italia impegnata in una faticosa ripresa. E così avanti con gli slogan, sintetici e a volte geniali, certo così facili da usare che basta un attimo e più nessuno si chiede se sono del tutto veri. In un curioso strabismo che fa apparire semplice una realtà complessa, che spinge all’adesione verso la protesta senza quantificarne il prezzo. Insomma, muro contro muro, e poi si vedrà.
La verità è che non si cambia la realtà della globalizzazione, non si confutano le leggi dell’economia limitandosi a puntare i piedi e a dire no. Tutti quei discorsi suonano incomprensibili se non si contrappone un’altra prospettiva, se non si delinea il tracciato certo di una strada alternativa e sostenibile. E’ proprio lì, quando viene il momento di fare proposte e di agire per concretizzarle, che le contraddizioni emergono e la lucidità di pensiero dei sindacalisti-oratori si smarrisce. E mentre le imprese cercano ogni giorno, tra mille problemi, di trovare la via per mantenersi competitive, il sindacato è impegnato a divulgare i soliti “bollettini”, con dati di adesione agli scioperi che puntualmente non trovano riscontro nella realtà.
Qualche giorno fa, sulla stampa locale, è apparso un interessante intervento di un docente della facoltà di Economia, nel quale si dava conto delle diverse possibilità di azione, e opportunità, legate alla contrattazione aziendale. “Accordi aziendali via per lo sviluppo” il titolo, con uno stimolante interrogativo nel testo: “pay for performance” o “pay for competence”?
Ma se la contrattazione aziendale è la via per lo sviluppo, cosa è e come deve essere la contrattazione nazionale?
La risposta di Federmeccanica è una proposta di “rinnovamento” che prevede un salario di garanzia, formazione generalizzata, assistenza sanitaria integrativa e previdenza complementare.
Siamo infatti i primi a voler aumentare le retribuzioni. E’ il nostro obiettivo. Vogliamo farlo però in una maniera “sana” attraverso la condivisione dei risultati raggiunti. Anche questa è partecipazione: responsabilizzazione, condivisione di obiettivi e risultati. La risposta delle organizzazioni sindacali, invece, dopo oltre 20 incontri dall’inizio della trattativa, è sempre la solita richiesta di “pay for nothing”: aumenti salariali fissi e per tutti, ormai insostenibili per molte imprese e penalizzanti per la competitività del Paese.

* Vice Presidente Relazioni Industriali Associazione Industriale Bresciana

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