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Tendenze - page 12

L’allarme degli agricoltori bresciani: costi di materie prime ed energia alle stelle

in Agricoltura e allevamento/Economia/Tendenze by

Gli agricoltori bresciani vedono nero: la situazione, negli ultimi giorni e nelle ultime ore, è passata da molto critica a insostenibile, al punto che molti dicono di essere “al collasso”. Alla corsa folle dei costi delle materie prime e dell’energia, che ha subito un’accelerata enorme con la guerra in Ucraina, mandando in difficoltà tutti i settori produttivi, da ieri si è aggiunta la preoccupazione di non poter più garantire l’alimentazione degli animali. Nel Bresciano si tratta di oltre 1,3 milioni di suini, circa 450 mila bovini e più di 7 milioni di avicoli. La causa è la decisione del Governo ungherese di stoppare l’export di grano e altri cereali e dei semi di soia e girasole, per assicurare i rifornimenti interni e contenere la crescita dei prezzi. Risoluzione che si aggiunge allo stop forzato dall’Ucraina da ormai due settimane e alla decisione della Bulgaria di aumentare, per precauzione, gli stock pubblici di cereali, riducendo i volumi delle vendite all’estero (la Commissione europea dovrebbe assicurare il regolare funzionamento del mercato unico, respingendo il protezionismo alimentare tra Stati). Ucraina e Ungheria sono i primi esportatori dei cereali per l’alimentazione animale in Italia. Un duro colpo, che si somma ai già gravi problemi del settore agricolo e che rischia di mandare in crisi gran parte delle aziende bresciane. Non è finita qui: c’è tensione anche nel mercato dei fertilizzanti, dopo la sospensione delle esportazioni dalla Russia, principale fornitore dell’Unione europea e del Brasile: a rischio sono i nuovi raccolti.

“In una situazione straordinaria servono misure straordinarie – dichiara il presidente di Confagricoltura Brescia Giovanni Garbelli -: è il momento, senza perdere un solo minuto, di spingere al massimo i raccolti di cereali e semi oleosi nell’Unione europea, modificando le regole vigenti. L’aumento della produzione è indispensabile per compensare il blocco delle importazioni da Ucraina e Russia e lo stop ungherese. A rischio è l’intera filiera, che dovrebbe prendere coscienza della drammaticità del momento. Per questo tutto il settore agroalimentare va incluso tra quelli destinatari dei provvedimenti del Governo per il caro energia: cereali e semi oleosi sono diventati un asset strategico come gas e petrolio, ma con la differenza che nell’Unione europea abbiamo il potenziale per aumentare rapidamente la produzione agricola. Vanno quindi rimossi, in vista dei nuovi raccolti, i limiti all’utilizzo dei terreni agricoli”.

A indicare quali potrebbero essere le misure da intraprendere subito è il vicepresidente di Confagricoltura Brescia Luigi Barbieri: “L’aumento dei prezzi delle materie prime è fuori controllo e scarseggia pure la disponibilità. Serve un supporto finanziario immediato alle aziende zootecniche, la proroga della moratoria dei mutui e da subito la sospensione dell’Iva sull’acquisto dei fattori produttivi, oltre a un intervento sulle filiere per il giusto riconoscimento del prezzo del latte, della carne suina e degli avicoli”.

8 marzo: ricavi in calo per le imprese femminili bresciane

in Associazioni di categoria/Confartigianato/Economia/Tendenze by
Donne e lavoro, foto generica da Pixabay

«Nessuna ripresa dopo l’anno anno nero segnato dal Covid per le “imprese in rosa” nonstante il più generale contesto di crescita nel 2021. Eppure, esaminando le risposte delle imprenditrici emerge, oltre la fatica, tutta la volontà e la resilienza tipica artigiana». Sintetizza così il presidente di Confartigianato Brescia e Lombardia Eugenio Massetti i risultati della Survey curata dell’Osservatorio di Confartigianato Lombardia e realizzata in occasione dell’8 marzo. Due parole chiave emergono dallo studio: fatica e resilienza.

Fatica, perché nonostante il 2021 sia stato l’anno della ripartenza, le MPI e imprese artigiane femminili bresciane non sono state in grado di recuperare i livelli di fatturato precrisi e hanno registrato una variazione media dei ricavi, nel 2021 rispetto al 2019, negativa del -9,7%, più pesante rispetto al -6,1% del totale. Tale risultato trova spiegazione nella maggior presenza di artigianato capitanato da donne in alcuni dei settori più colpiti dalla crisi Covid-19 come quello della moda e del benessere.

Resilienza, perché anche se più colpite dalle conseguenze della pandemia le imprenditrici artigiane bresciane si dimostrano più combattive e pronte a reagire adottando, o esprimendo l’intenzione di adottare nel prossimo futuro, una o più azioni di sviluppo per riuscire a restare sul mercato incrementando la propria capacità competitiva, come dichiarato dal 72,5% di loro, quota superiore al 59,1% totale. Le azioni per ripartire maggiormente intraprese dalle donne a capo d’impresa sono: il miglioramento della qualità del personale attraverso la formazione o nuove assunzioni e il cambiamento dell’organizzazione interna all’impresa. La scelta ad indirizzarsi principalmente verso questi due ambiti di sviluppo da evidenza di come le donne, più degli uomini, vogliono ripartire e recuperare il terreno perso partendo in primis dalle persone e non dall’integrare modifiche che riguardano prettamente l’organizzazione del business dell’azienda intervenendo su produzione, canali di vendita o clienti. La maggior fatica e il grado sempre più elevato di complessità che caratterizza il contesto in cui le imprese operano fa si che siano proprio le imprenditrici quelle per cui si rileva una quota maggiore di incerte rispetto alla capacità di recuperare quanto perso a causa della volatilità odierna e futura che caratterizza, e caratterizzerà in futuro, il mercato (60% > 57,9% totale). Seppur molto incerte le donne che gestiscono imprese artigiane interrogate rispetto alla volontà di voler investire nel 2022 rispondono in modo affermativo nel 71,8% dei casi (> 64,7% del totale). Come per le azioni di sviluppo anche rispetto alle aree di investimento si osserva una predisposizione maggiore della platea femminile a voler puntare su capitale umano e formazione.

LE IMPRESE FEMMINILI ARTIGIANE A BRESCIA. A tutti il 2021 a Brescia sono 5.423 le imprese registrate artigiane guidate da donne che operano per lo più nei settori dei servizi alla persona, dei servizi di pulizia, della moda e delle attività di ristorazione. Più di un’impresa su cinque delle imprese femminili che popolano la nostra provincia (22,3%) opera nel comparto artigiano. Nello specifico di queste 5.423 imprese 832 sono gestite da giovani donne under 35 (28% del totale imprese femminili giovanili e il 15,3% del totale imprese femminili artigiane) e 829 sono gestite da imprenditrice straniera (24,7% del totale imprese femminili straniere e 15,3% del totale imprese femminili artigiane). Confrontando i numeri riferiti all’imprenditoria femminile artigiana del 2021 con quelli del 2019 (anno pre crisi) – tenendo conto che tra le imprese registrate viene conteggiata anche la platea nascosta di imprese cessate, che in attesa di ristori, non hanno ancora chiuso – si nota una difficoltà maggiore nel recuperare i numeri pre Covid-19 per la platea di giovani donne, per quelle di nazionalità italiana e per quelle che operano nel settore della manifattura.

UOMINI E DONNE A CONFRONTO. «Persistono le medesime disparità tra uomo e donna raccontate un anno fa, dopo un anno di pandemia, così, se non peggio rispetto agli anni precedenti. Le donne seppur fanno meglio degli uomini sul fronte istruzione e formazione, scontano gap rilevanti a loro sfavore sul fronte lavoro, conciliazione e benessere soggettivo: è fondamentale dare risposte adeguate e supporto nelle facilitazioni fiscali, nell’assistenziali per la conciliazione lavoro-famiglia e far si che possano tornare a dare il loro impulso positivo e di stimolo ad una nuova ripresa sociale ed economica» aggiunge il presidente Massetti.

Qui i dati sono a livello lombardo: la quota di donne con almeno un diploma si attesta al 69% superando di 6,8 punti quella rilevata per gli uomini (62,2%), quella di donne laureate si attesta al 38,3% superando di 10,8 punti quella rilevata per gli uomini (27,5%). Mentre la quota di coloro che partecipano alla formazione continua eguaglia quella degli uomini (pari al 7,9% in entrambi i casi). C’è però un ambito dell’istruzione in cui le donne scontano un gap a loro sfavore rispetto agli uomini, quello del digitale: per quota di donne con competenze digitali elevate (per le donne si registra una quota del 23,4% inferiore di 6,3 punti a quella degli uomini di 29,7%) e per quota di laureate in discipline scientifiche e tecnologiche, dove per le donne si rileva una quota del 10,3% inferiore 7,5 punti quella degli uomini di 17,8%. La platea femminile lombarda inoltre sconta condizioni peggiori degli uomini in tutti gli ambiti del lavoro e conciliazione con quote superiore a quelle dei colleghi maschi di 4,4 punti per il tasso di mancata partecipazione al lavoro (pari al 12,9% per le donne> dell’8,5% degli uomini), di 3,8 punti per dipendenti con bassa paga (pari all’8,9% per le donne > del 5,1% degli uomini), di 1,4 punti per occupati sovra istruiti (pari al 22,8% per le donne >del 21,4% degli uomini) e di 12,2 punti per part time involontario (pari al 16,7% per le donne> del 4,5% degli uomini). Tutto ciò comporta una disparità uomo donna anche sul fronte della soddisfazione per il proprio tempo libero: le donne che esprimono livelli elevati di soddisfazione sono il 69,8% quota inferiore di 3,3 punti rispetto a quella rilevata per gli uomini (73,1%).

Persiste inoltre una disparità del 31,1% tra la retribuzione media percepita dalle dipendenti donne rispetto a quella percepita dagli uomini, tale differenza sul territorio lombardo è più accentuata nelle province di Sondrio (-37,9%), di Lecco (-37,6%), di Bergamo (-36,2%) e a Brescia (-35,5%) con 17.335 euro annui contro i 26.887 degli uomini (media annua lavoratori dipendenti provincia di Brescia).

Per la presidente del Movimento Donne Impresa di Confartigianato Brescia Iolanda Pasini: «Le donne imprenditrici vogliono che il loro ruolo venga maggiormente riconosciuto, chiedono una reale integrazione, di essere valutate sulla base del merito, delle capacità e delle competenze. Ci auguriamo che le donne bresciane riescano in tempi brevi a conquistare ciò che per loro è più caro, come: autonomia, rispetto, cambiamento culturale, fiducia, considerazione, condivisione del tempo di cura, libertà di scelta, tutele, opportunità, sicurezza, più tempo e tranquillità. Crediamo sia necessario ripartire da una considerazione: per raggiungere la parità nel mondo del lavoro, dovremmo creare le condizioni perché ci sia reale condivisione anche nel lavoro di cura. I dati a disposizione ci permettono di illustrare l’importanza e la centralità di alcune leve fondamentali per un contesto a ‘favore di donna’ come l’istruzione e la diffusione capillare sui territori di servizi di assistenza negli ambiti della conciliazione (come i servizi per l’infanzia, asili nido), leve su cui poter e dover fare forza per incentivare una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Difatti, si osservano tassi di occupazione femminili più elevati proprio nelle realtà in cui c’è una maggiore diffusione di bambini che frequentano gli asili nido e di donne che hanno titoli di studio elevati (laurea e post-laurea)».

Lombardia, la produzione industriale chiude il 2021 in crescita del 15,6% sul 2020

in Economia/Tendenze by

Nel quarto trimestre 2021 la produzione industriale lombarda cresce del +2,3% congiunturale e chiude così l’anno in rialzo sia rispetto al 2020 (+15,6% la crescita media annua) che al 2019 (+4,3%). Fanno da traino al recupero produttivo gli ordinativi: quelli domestici sono cresciuti dell’11,0% rispetto al 2019 e quelli esteri del +14,7%.

Restano ancora in leggero ritardo le aziende artigiane manifatturiere, le quali però riprendono bene sull’anno scorso (+11,7%) registrando andamenti positivi per tutto il 2021 ma non riescono ancora a tornare sui livelli del 2019 (-1,5%).

In prima linea nella ripresa i settori della siderurgia, meccanica, chimica, gomma-plastica e minerali non metalliferi, mentre si confermano le difficoltà per il sistema moda (abbigliamento, tessile e pelli-calzature).

Rimane alta l’attenzione sui prezzi per i rincari di beni energetici, delle materie prime e dei componenti che non sono interamente trasferiti sui listini di vendita, mentre persistono ancora difficoltà nelle catene di fornitura.

Le aspettative delle aziende sull’andamento della domandarimangono positive e in linea con i livelli massimi storici, pur in leggera flessione per il mercato interno, così come per le aspettative sulla produzione. Ancora in miglioramento le aspettative occupazionali per il prossimo trimestre.

Il quadro congiunturale delinea un 2021 dinamico per la produzione lombarda che consente all’industria di recuperare pienamente il livello 2019 (+4,3%) ma purtroppo non all’artigianato che sconta ancora un differenziale negativo sul 2019 (-1,5%) – dichiara il Presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio. “La domanda rimane vivace con aspettative ancora positive, anche se caratterizzate da un ottimismo più contenuto come anche per la produzione. Rimane alta l’attenzione per l’incremento dei prezzi delle materie prime e dell’energia, generando preoccupazione negli imprenditori anche per l’incertezza sui tempi di normalizzazione delle dinamiche di costi e prezzi.”

“I dati del quarto trimestre 2021 sono molto positivi; in quei mesi si respirava un’aria entusiasmante e i dati lo confermano. Oggi la nuova pandemia, quella energetica, rischia di frenare completamente una ripresa che sembrava essere senza precedenti. Paradossale non riuscire a produrre nonostante i tanti ordinativi – dichiara l’Assessore allo Sviluppo Economico Regione Lombardia Guido Guidesi. “Spero che tutti i ritardi di intervento, rispetto alla calmierazione dei costi dell’energia, vengano affrontati in modo emergenziale perché di emergenza stiamo parlando.”

 “Oggi, ancora una volta e nonostante il momento storico che stiamo vivendo, certifichiamo il dato importante di un modello lombardo che, con grande intraprendenza, cresce e si conferma motore trainante dell’intero Paese”  commenta il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana.

“Se da una parte, dunque, possiamo commentare positivamente l’andamento del quarto trimestre, dall’altra esprimiamo preoccupazione per i costi dell’energia che inevitabilmente si ripercuotono sul nostro sistema imprenditoriale e sulle famiglie”.

LE DINAMICHE SETTORIALI

La maggior parte dei settori nell’industria chiudono il 2021 con un significativo recupero dei livelli produttivi. A consuntivo la crescita media annua 2021/2019 vede le buone performance di Minerali non metalliferi (+7,8%), Gomma-plastica (+7,7%) e Chimica (+7,3%). Seguono tra i comparti positivi la Meccanica (+6,6%) e la Siderurgia (+6,1%). In crescita – sebbene meno accentuata – anche Alimentare (+3,8%), Mezzi di trasporto (+2,5%), Legno-mobilio (+2,5%) e Industrie Varie (+1,9%). La fase di ripresa si è avviata anche per i restanti settori ma con minor intensità non consentendo loro di registrare un dato a consuntivo 2021 migliore di quello del 2019. Il settore della Carta-stampa si ferma a -1,0%, seguito dal comparto moda che appare più in affanno: Pelli-calzature (-4,9%), Tessile (-8,6%) e in fondo l’Abbigliamento (-15,8%).

Meno positivo il quadro dell’artigianato con sette settori che segnalano un risultato a consuntivo ancora negativo rispetto al 2019. Il gap risulta più contenuto per l’Alimentare (-3,4%), la Carta-stampa (-4,4%), il Tessile (-5,5%) e le manifatturiere Varie (-7,9%). Ancora a due cifre il dato negativo per abbigliamento (-11,6%) e Pelli-calzature (-26,7%).

FATTURATO E ORDINATIVI

Il fatturato dell’industria a prezzi correnti segna un ottimo risultato, legato anche agli incrementi di prezzo inflazionistici in atto, con una crescita media annua del +12,1% rispetto al 2019. La dinamica congiunturale rimane caratterizzata da una sensibile crescita (+3,6%). Per le imprese artigiane il fatturato cresce invece solo dello 0,2% rispetto al 2019. Anche in questo caso la dinamica congiunturale è positiva (+3,2%), ma le accelerazioni dei trimestri precedenti nettamente inferiori rispetto all’industria hanno portato a un consuntivo poco entusiasmante.

La crescita media annua sul 2019 degli ordinativi dell’industria è a due cifre sia per il mercato interno (+11,0%) che estero (+14,7%). La dinamica congiunturale non presenta sorprese con un’accelerazione degli ordini interni (+5,0%). Rallenta invece, ma resta sempre in territorio positivo, l’incremento degli ordini dall’estero: +3,9%. Risultati più contenuti per l’artigianato rispetto al 2019: ancora un segno negativo per gli ordini interni (-4,4%) e un incremento del 2,0% per l’estero. Positivo il dato congiunturale con un +2,6% per il mercato interno e un +1,1% per l’estero. La quota di fatturato estero sul totale rimane elevata per le imprese industriali (38,7%) ma resta poco rilevante ed è in calo per le imprese artigiane (7,5%).

PREZZI

I prezzi delle materie prime presentano una dinamica congiunturale in forte rialzo con dati che confermano quanto ormai riscontrato da più fonti. L’accelerazione per l’industria, iniziata a fine 2020 (+2,1%) è proseguita nel corso del 2021 fino a toccare il record di +10,6% a fine anno. Anche l’artigianato mostra una dinamica simile, passando dal +2,6% di fine 2020 al +14,1% di quest’ultimo trimestre. L’incremento medio annuo dei prezzi delle materie prime si attesta al +29,3% per l’industria e del 37,8% per l’artigianato.

I prezzi dei prodotti finiti seguono ancora a distanza l’incremento delle materie prime registrando a fine anno un +5,4% congiunturale per l’industria e un +6,9% per l’artigianato. In questo caso gli incrementi medi annui sono più contenuti e pari a +11,7% per l’industria e +14,3% per l’artigianato.

OCCUPAZIONE

L’occupazione per l’industria presenta saldo positivo (+0,2%) e diminuisce il ricorso alla CIG:la quota di aziende che dichiara di aver utilizzato ore di cassa integrazione scende al 9,1% mentre la quota sul monte rimane ferma a livelli minimi (0,8%).

Saldo occupazionale positivo identico per l’artigianato (+0,2%), con ricorso alla CIG in diminuzione: Cala al 10,9% la quota delle aziende che dichiara di aver utilizzato la cassa integrazione e la quota sul monte ore scende allo 0,8% come per l’industria.

Brescia torna ad assumere: ecco i dati

in Economia/Istituzioni/Lavoro/Provincia di Brescia/Tendenze by
Donne e lavoro, foto generica da Pixabay

Nel 2021, dopo la netta flessione registrata nel 2020 sotto i colpi della prima fase della pandemia, il mercato bresciano del lavoro segna una netta ripresa alla luce dell’incremento significativo delle persone avviate al lavoro. Infatti, i dati di fonte SISTAL Regione Lombardia registrano 160.663 persone avviate al lavoro nel 2021 a fronte delle 135.587 dell’anno precedente, con un incremento di 25.076 mila unità, pari al + 18,5%.

“Si tratta di un incremento rilevante – dichiara Filippo Ferrari, Consigliere provinciale delegato al Lavoro – che tuttavia acquista un significato ancora maggiore se consideriamo che le 160.663 persone avviate al lavoro in provincia di Brescia nel 2021 superano nettamente il valore registrato nel 2019 (149.201) con un incremento, rispetto all’anno che precede la pandemia, di 12.462 unità, pari al +8,3%. Anche tornando al il 2018 lo scarto è netto: +12.705 persone avviate al lavoro, pari al +8,6%. È un rimbalzo positivo non di poco conto se consideriamo che il 2018 e il 2019 sono ancora anni di ripresa dell’economia locale dopo la crisi del 2009 e la flessione nel 2014”.

Il dato riferito agli avviati, cioè le singole persone, trova conferma anche considerando gli avviamenti al lavoro, ovvero le pratiche amministrative, che, in un mondo del lavoro sempre più precario, per alcuni lavoratori possono essere più di una nel corso del trimestre. Le pratiche di avviamento al lavoro in provincia di Brescia, nel 2021, sono state 214.936, anche in questo caso in netto aumento sia rispetto alle 176.285 del 2020 (+38.657, + 21,9%) che rispetto alle 195.581 del 2019 (+19.355, +9,9%). Trova quindi inequivocabile conferma il dato generale che vede nel 2021 una crescita netta rispetto al 2020 con valori decisamente superiori a quelli del biennio pre-pandemia.

I dati relativi agli avviati al lavoro nel 2021, cioè le persone, segnalano un gap di genere che rimane elevato poiché a fronte di 93.796 maschi (58,4%) le femmine sono 66.867 (41,6%) percentuali analoghe a quelle registrate nel 2020.

Rilevante rimane la quota di lavoratori non di origine italiana (extracomunitari e comunitari) tra le persone avviate al lavoro poiché, nel 2021, sono stati oltre 48 mila, il 30,2% del totale. Si tratta di un dato di poco inferiore al quello del 2020 (32%) e del 2019 (32,2%) comunque, conferma la costante e significativa presenza di migranti nei flussi di entrata (e uscita) del mercato del lavoro bresciano.

Anche nel 2021, come oramai da tempo, la maggior parte delle pratiche di avviamento al lavoro interessa attività del commercio e dei servizi alle imprese e alle persone (123.574, pari al 54,5% del totale). Rilevante rimane anche la quota di avviamenti al lavoro nelle attività industriali in senso stretto (56.222, pari al 26,2%) che registrano flussi in entrata nel mercato del lavoro più che dimezzati rispetto al terziario ma, tuttavia, in crescita rispetto ai 40.141 del 2020, valore che corrisponde al 22,9% dello stesso periodo.

Quote decrescenti di pratiche di avviamento al lavoro si registrano per le costruzioni (24.268, 11,3%) e l’agricoltura (10.868, 5%). Nel 2020 gli avviamenti al lavoro nelle costruzioni furono in quantità inferiore, sia in valore assoluto (18.869) che come percentuale sul totale delle pratiche (10,7%) mentre il bilancio si inverte in agricoltura dove gli avviamenti al lavoro nell’anno della pandemia furono maggiori sia in valore assoluto (12.396) che in percentuale sul totale (7%).

Nel 2021 la maggior parte delle pratiche di avviamento al lavoro, quasi i due terzi del totale, si definisce per contratti di lavoro a tempo determinato (127.021, pari al 59,1% del totale) mentre le pratiche relative ad avviamenti al lavoro con contratti a tempo indeterminato sono state 41.587, pari al 19,3% del totale; un valore di poco superiore alle 35.234 relative a lavoro in somministrazione (16,4%). Decisamente minore il numero delle pratiche di avviamento al lavoro con contratti di apprendistato (9.071, pari al 4,2) e ai lavori a progetto (2.716, 1,3%).

Complessivamente, nel 2021, gli avviamenti al lavoro con forme contrattuali flessibili o precarie, ovvero tempo determinato, o somministrazione, o lavoro a progetto, sono state 164.278 pari al 76,4% del totale a fronte delle 50.658 (23,6%) attribuite a forme di lavoro permanenti (tempo indeterminato + apprendistato). Nel 2021 per ogni pratica di avviamento al lavoro con contratti “permanenti” ce ne sono 3,2 relative a contratti flessibili e/o precari.  Nello scorso anno, con i numeri compressi dalla pandemia, le pratiche di avviamento al lavoro “flessibili” furono 130.771 (74,2% del totale) mentre quelle “permanenti” si fermarono a quota 45.514 pari al 21,8% del totale, con un rapporto nell’ordine di 2,9 pratiche precarie per ogni pratica “permanente”.

Giova tuttavia ricordare che nel 2019, prima della pandemia, le pratiche di avviamento al lavoro riferite a tipologie contrattuali “permanenti” furono il 27% del totale a fronte del 73% relativo a tipologie “flessibili” con un rapporto tra le due tipologie di 2,7 a 1. Possiamo quindi evidenziare, nella fase positiva del rimbalzo dei flussi in entrata nel mercato del lavoro bresciano, una ulteriore tendenza alla precarizzazione delle tipologie contrattuali. Ci sono quindi tutti gli elementi per affermare che il mercato del lavoro bresciano è in ripresa: più inserimenti al lavoro, quindi, con il terziario che muove quasi i due terzi del lavoro in entrata e sempre più nel segno della flessibilità.

Brescia, produzione industriale a +14,8%: recuperati i livelli pre-Covid

in Aib/Associazioni di categoria/Economia/Tendenze/Uncategorized by

Il 2021 si chiude per il Made in Brescia con una crescita media annua della produzione pari al 14,8%, dopo la pesante caduta del 2020 (-16,2%). La dinamica rilevata nello scorso anno è la più intensa da quando è disponibile la serie storica ed è giustificata dalla vivacità dell’industria locale, che ha saputo velocemente interamente recuperare quanto perduto durante il lockdown nella primavera 2020.

A evidenziarlo è l’indagine congiunturale del Centro Studi di Confindustria Brescia sui dati relativi al 4° trimestre 2021.

Con riferimento al solo periodo tra ottobre e dicembre, l’attività produttiva ha registrato una variazione rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (tendenziale) ancora in significativo incremento (+13,0%), che tuttavia è frutto principalmente dei recuperi sperimentati nei primi mesi dell’anno. Nella seconda metà del 2021, il sistema produttivo bresciano è stato protagonista di un movimento più contenuto, giustificato da un fisiologico rallentamento e dall’emergere di alcuni fattori che hanno limitato la produzione, quali la scarsità delle più rilevanti materie prime e semilavorati, nonché gli ingenti rincari del costo dell’energia, che hanno impattato significativamente sui comparti più energivori.

Nel dettaglio, la produzione industriale evidenzia un aumento sul trimestre precedente (congiunturale) di +4,1%, in parte influenzato dalla ripresa dell’attività, dopo la pausa nel mese di agosto. La crescita media annua rilevata nel 2021 è frutto di quanto ereditato dal 2020 (+4,9%) e di una componente propria pari a +9,4%. La variazione trasmessa al 2022 è positiva (+3,2%): ciò sta a indicare che la crescita nell’anno in corso troverà beneficio, dal punto di vista algebrico, dalla dinamica rilevata nel 2021.

“Il recupero nel 2021 dei volumi persi a causa della pandemia è un dato di partenza incoraggiante e le prospettive per il Made in Brescia dal lato della domanda sono positive, aspetto che contribuirà a dare sostegno ai livelli produttivi – commenta Franco Gussalli Beretta, Presidente di Confindustria Brescia –. Tuttavia, i recenti e ingenti rincari degli input energetici rischiano di compromettere questa situazione, determinando una serie di incognite sulla competitività delle nostre imprese per i mesi a venire e incidendo in modo importante sulle marginalità. In questo senso ci stiamo muovendo come associazione per cercare una soluzione comune al problema, pur nella consapevolezza di come la dinamica sia legata a fattori mondiali.”

Le prospettive a breve termine rimangono positive, nonostante le molteplici nubi recentemente addensatesi sullo scenario previsivo: le aziende che stimano un miglioramento della situazione nei prossimi tre mesi sono il 45%. Quelle che prevedono di mantenere i livelli attuali sono il 44%, mentre l’11% stima un calo dell’attività. In tale contesto, i maggiori elementi di incertezza riguardano, tra l’altro, la nuova ondata pandemica (che frena i consumi nei servizi) e la persistente scarsità di commodity industriali e i prezzi abnormi dell’energia (che minano i margini aziendali). È opportuno inoltre ricordare come importanti segmenti dell’industria locale siano a rischio di dover sospendere l’attività per eccesso di costi che vanno a erodere la marginalità, nonostante la forte domanda proveniente dalla clientela. Infine, non vanno dimenticate le inedite pressioni inflattive (che limitano il potere d’acquisto delle famiglie) e le crescenti tensioni geopolitiche nell’ex Unione Sovietica.

Imprese, “nel Bresciano le imprese che vanno meglio sono quelle che danno lavoro ai giovani”

in Aib/Associazioni di categoria/Economia/Tendenze by

La centralità dei giovani in azienda rappresenta un elemento sempre più importante nelle imprese di successo del Made in Brescia. Accanto ad esso, gli ulteriori fattori in grado di proiettare le realtà manifatturiere della provincia oltre la pandemia sono rappresentati, in particolare, da flessibilità, efficienza, 4.0 e internazionalizzazione.

A evidenziarlo è un’analisi delle performance economiche delle aziende bresciane nel 2020, lette alla luce del loro posizionamento strategico rilevato nel periodo immediatamente precedente alla pandemia. L’iniziativa è stata condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia e dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, facendo seguito alla ricerca congiunta “Indagine sul manifatturiero bresciano”, presentata nell’ottobre 2019.

In particolare, lo studio ha preso in considerazione le stesse realtà aziendali coinvolte nel 2019: complessivamente gli operatori esaminati sono 196, che danno lavoro a circa 14 mila addetti e hanno fatturato nel 2020 4,4 miliardi di euro. Il campione risulta fortemente orientato sulle imprese di piccole dimensioni, che costituiscono il 67% del totale. La composizione settoriale vede la prevalenza dei comparti metalmeccanici che, in termini occupazionali, incidono per i due terzi del panel, in coerenza con la specializzazione produttiva dell’industria locale.

La ricerca ha dapprima individuato quattro profilli aziendali, identificati attraverso il confronto tra la performance di ogni singola impresa in termini di variazione del fatturato (2020 vs 2019) e livello di marginalità (EBITDA margin 2020) rispetto all’evoluzione a livello nazionale del settore e della classe dimensionale di appartenenza. I quattro cluster possono essere così definiti:

  • Resilienti: imprese con una dinamica dei ricavi e un livello di marginalità entrambi superiori al dato nazionale;
  • Dinamiche: imprese con una dinamica dei ricavi superiore al dato nazionale e, allo stesso tempo, con un livello di marginalità inferiore;
  • Profittevoli: imprese con un livello di marginalità superiore al dato nazionale e, allo stesso tempo, con una dinamica dei ricavi inferiore;
  • In Ritardo: imprese con una dinamica dei ricavi e un livello di marginalità entrambi inferiori al dato nazionale.

Tra i principali risultati emersi dallo studio, i vantaggi competitivi rilevati nel 2019 che meglio giustificherebbero la migliore performance delle imprese Resilienti da quelle In Ritardo sarebbero da ricercare nella flessibilità, nell’efficienza e nell’innovazione organizzativa.  Per contro, il fattore prezzo sarebbe individuato come leva competitiva per le imprese In Ritardo. Sempre in tale contesto, le aziende Profittevoli risulterebbero più innovative ed efficienti rispetto alle Dinamiche, che invece si caratterizzerebbero per una maggiore flessibilità, unita a una strategia volta al contenimento dei prezzi di vendita.

Le imprese Resilienti emergono poi come le più orientate a una personalizzazione dei prodotti rispetto agli altri profili presi in considerazione, seguite, a breve distanza, dalle Profittevoli. Tali cluster si caratterizzano inoltre per una più intensa presenza al proprio interno di realtà con una gamma di prodotti personalizzati che supera il 70% dell’offerta complessiva.

Il canale estero si conferma particolarmente premiante: la cosiddetta “export propensity” (quota delle esportazioni sul totale del fatturato) nelle aziende Resilienti si attesta al 58%, contro il 39% di quelle In Ritardo. Va poi sottolineato come la presenza sui mercati esteri risulti premiante se esercitata in modo intenso: ciò garantirebbe un maggiore presidio e una più elevata diversificazione degli sbocchi commerciali.

L’indagine ha inoltre certificato l’importante ruolo dei giovani nelle realtà più performanti: le imprese Resilienti si connotano per un’alta quota di forza lavoro giovane rispetto a quelle In Ritardo (62% contro il 45%). La relazione alla base di tale evidenza può essere letta da due prospettive fra loro complementari: da un lato, i giovani possono essere considerati una forza propulsiva per la crescita aziendale, dall’altro, le imprese più virtuose tendono necessariamente ad assumere forza lavoro giovane, in grado di garantire loro dinamicità e competitività. Emerge poi che le Resilienti siano maggiormente guidate da amministratori giovani (19%) rispetto a quelle In Ritardo (16%). Tutto ciò si riverbera nel passaggio generazionale: le imprese Resilienti sembrerebbero meno coinvolte in questo momento tipicamente molto delicato nella vita dell’azienda; il 55% non dovrà infatti affrontare nel quinquennio in corso questa transizione, contro il 41% degli operatori In Ritardo.

Da ultimo, la ricerca ha evidenziato come la diffusione delle tecnologie 4.0 sia più elevata nelle imprese Profittevoli (60%), rispetto alle Resilienti (51%), a quelle In Ritardo (47%) e alle Dinamiche (32%): tale risultato suggerisce che gli investimenti nel 4.0, almeno nei primi anni di adozione, favorirebbero maggiormente la marginalità aziendale piuttosto che le vendite, grazie all’efficientamento dei processi e all’innalzamento della produttività.

Imprese giovanili, nel Bresciano sono 10.002

in Associazioni di categoria/Camera di commercio/Economia/Tendenze by
Giovane al lavoro, foto da Pixabay

Dopo il forte rallentamento dell’iniziativa imprenditoriale generato dalla crisi pandemica, nel 2021 torna la voglia di fare impresa dei giovani bresciani. Sono10.002 le imprese giovanili iscritte al Registro Imprese di Brescia a fine settembre quasi 200 in più rispetto allo stesso periodo del 2020.

Tra gennaio e settembre 2021, le iscrizioni di nuove imprese under 35 hanno rappresentato il 30% di tutte le iscrizioni di nuove imprese ai registri camerali.

Nell’ultimo anno i giovani bresciani, hanno trovato nuove opportunità imprenditoriali nel settore delle costruzioni, stimolati dalle misure legate al Superbonus, dove le imprese under 35 sono cresciute del 3,9%.

L’impulso maggiore arriva dal web. Nell’ultimo anno sono nate 91 imprese giovanili, pari a un incremento del 42,0%, che hanno fatto del commercio al dettaglio attraverso Internet il proprio “core-bussines”. Crescono anche le attività professionali (+9,1%) dove i giovani operano nell’ambito delle ricerche di mercato e nella consulenza tecnica. Degna di nota è la crescita del 2,0% delle imprese gestite da under 35 in agricoltura.

“Il dato che evidenzia l’incremento del numero delle imprese giovanili iscritte al RI rispetto allo scorso anno è confortante ed è un ulteriore segnale del consolidamento della ripresa economica in atto ma soprattutto – commenta il Presidente della Camera di Commercio, Ing. Roberto Saccone – è testimonianza che anche tra le giovani generazioni è sempre vivo lo spirito imprenditoriale che, tradizionalmente, caratterizza il sistema economico bresciano. E’ in ogni caso sempre più necessario mettere in campo politiche per l’ulteriore incentivazione all’autoimprenditorialità giovanile, soprattutto negli ambiti più innovativi e ad alto contenuto tecnologico”

La fotografia scattata dal Servizio Studi della Camera di Commercio di Brescia mostra che a fine settembre, più di 6 giovani su 10 nel mettersi in proprio, hanno puntato su settori tradizionali, primo fra tutti il Commercio, dove si contano 2.207 imprese di under 35 (22,1% del totale), le Costruzioni (1.373 imprese pari al 13,7%), il Turismo (1.089, pari al 10,9%) e gli altri Servizi (801, pari all’8,0% del totale). Nell’industria manifatturiera operano 753 imprese giovanili (il 7,5% del totale), nell’Agricoltura si contano 718 giovani imprese (7,2%).

Un altro 15% dei giovani imprenditori bresciani fa impresa nei settori più innovativi e ad elevato utilizzo di tecnologie, quali i Servizi di informazione e comunicazione, le Attività professionali, scientifiche e tecniche e i Servizi alle imprese.

Nel complesso, più di 8 imprese su 100 sono gestite da giovani under 35, ma se si guarda all’ultimo decennio emerge che rispetto al 2011 quando l’incidenza era dell’11,6% il peso dei giovani sul tessuto imprenditoriale ha perso più di 3 punti percentuali.

In dieci anni le imprese giovanili sono diminuite del 30% (corrispondenti a 4.200 imprese in meno) a fronte del calo del 3% che ha interessato l’imprenditoria bresciana nel suo complesso.

A contribuire alla perdita di oltre 4mila imprese giovanili hanno contribuito i settori più tradizionali delle costruzioni, del commercio e dell’industria manifatturiera.

Il settore delle costruzioni ha visto in dieci anni diminuire di oltre il 60% lo stock di imprese under 35 esistenti passate da 3.456 a settembre del 2011 a 1.373 nel 2021. Con la conseguenza che l’età media del settore si è innalzata, nel 2011 quasi 17 imprese su 100 operanti nelle costruzioni era gestito da under 35 nel 2021 la quota è calata al 7,5%.

Nel commercio, il numero delle imprese giovanili è calato del 22% (620 esercizi in meno) e nelle attività di alloggio e ristorazione del 23% (322 imprese in meno).

Consistenti anche le riduzioni fatte registrare dalle attività manifatturiere (-559 imprese pari a un calo del 42,6%) dove nel 2011 l’imprenditoria giovanile pesava per il 7,6% per passare ad appena il 5,0% nel 2021.

In termini relativi i cali più importanti si registrano nelle attività immobiliari (-38%) e nel comparto degli altri servizi (-24,9%).

Ad espandersi (+166 imprese nell’intero periodo, +30,6% in termini relativi) è stato il settore delle attività professionali scientifiche e tecniche (comparto in cui rientrano le attività di consulenza gestionale e di direzione aziendale; di pubblicità e ricerche di mercato; la consulenza in materia di sicurezza etc.).

Sul fronte organizzativo la tipologia che è stata più interessata dal calo della base imprenditoriale giovanile è stata l’impresa individuale (-3.180 unità, pari al un calo del 30,7%) che, comunque, resta la tipologia preferita dai giovani per fare impresa (71,7% del totale). Nello stesso decennio i giovani nell’aprire una impresa hanno cercato una certa solidità strutturale come è evidente dall’aumento delle società di capitale (+4,5%) che contano il 20,4% delle imprese giovanili contro il 13,7% del 2011.

Sotto il profilo dimensionale, negli ultimi dieci anni è diminuita sensibilmente la numerosità della classe fino a 5 addetti (-30,2%), che è anche la più consistente considerato che concentra il 93% delle imprese under 35 attive in provincia. Ma importante, in termini relativi, è il calo della classe 50-249 addetti (-30,0%).

La forte contrazione del numero delle imprese giovanili registrata negli ultimi dieci anni ha interessato tutto il territorio nazionale. In Italia il numero delle imprese under 35 è diminuito di oltre di 157 unità pari al 23,1%. In Lombardia sono diminuite del 21,8%.

E’ importante osservare che le imprese che escono dallo stock delle imprese giovanili non necessariamente hanno chiuso l’attività, una parte, infatti, esce dalla categoria delle “giovanili” per il superamento del limite di età dei titolari o degli amministratori.

Resta, tuttavia, il fatto nel 2011 le imprese giovanili rappresentavano in provincia l’11,6% dell’intero universo imprenditoriale bresciano, mentre a fine settembre 2021 si attestano all’8,4%.

La componente demografica certamente ha contribuito col calo della natalità: tra il 2021 e il 2011 la popolazione bresciana tra 18-34 anni, ovvero la fascia di età dei potenziali imprenditori, è diminuita del 6,7%. Ne deriva che nel 2011 i giovani tra i 18-34 anni rappresentavano il 19% della popolazione bresciana, nel 2021 la quota è scesa al 17,7%.

Il calo della natalità e dell’iniziativa imprenditoriale ha ridimensionato la partecipazione dei giovani bresciani al sistema produttivo bresciano: nel 2011 si contavano circa 60 under 35 ogni mille giovani tra i 18-34 anni, nel 2021 la quota è calata a 45,4.

Brescia, il settore Moda si rafforza, “ma rimangono criticità”

in Abbigliamento/Commercio/Economia/Tendenze by
Moda, foto da Pixabay

Nel 2020 le imprese bresciane attive nel settore Sistema moda hanno evidenziato risultati economici cautamente ottimistici, soprattutto se contestualizzati alla luce della crisi globale generata dalla pandemia da Covid-19.

A evidenziarlo è lo strumento dell’Indice Sintetico Manifatturiero – ISM, frutto della collaborazione tra il Centro Studi di Confindustria Brescia e OpTer (Osservatorio per il territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Nel dettaglio, tale indice, applicato ai bilanci 2020 di quasi 130 realtà bresciane attive nel comparto, fornisce una lettura sintetica di come la crisi da Covid-19 abbia impattato sull’economia di tale settore. Nel 2020 la quota di aziende che si posizionano nella classe A (quella che include gli operatori più virtuosi) si attesta al 28% del totale, scendendo di due punti percentuali rispetto a quella registrata nell’anno precedente. Qualche preoccupazione riguarda la quota della classe D (in cui fanno parte le aziende verosimilmente più fragili) che sale di ben quattro punti percentuali (dal 5% al 9%).

L’ISM è stato poi implementato per effettuare un confronto tra gli effetti sui bilanci delle imprese della crisi da Coronavirus, con la “Grande Recessione” del 2009, pur nella consapevolezza della diversa natura dei due fenomeni presi in considerazione. La recente crisi ha colpito duramente il settore Sistema Moda ma la marginalità industriale, a differenza del 2009, ha tenuto molto bene. Tutte le principali voci del Conto Economico, ad eccezione del fatturato, nel 2020 hanno avuto andamenti di gran lunga migliori rispetto a quelli rilevati un decennio prima. Nel 2020 i ricavi complessivi del comparto locale hanno subito una contrazione del 17,1%, a fronte di una riduzione del 14,7% sperimentata nel 2009. Il Margine operativo lordo, indicatore che esprime la redditività lorda industriale, ha evidenziato nel 2009 una caduta del 36,5%, contro il -16,7% nel 2020. Anche il Reddito operativo registra un forte calo 29,6%, solo in parte paragonabile a quello rilevato nel 2009 (-96,0%).

Seppure le conseguenze della crisi da Covid siano state pesanti per questo settore, lo strumento dell’ISM permette facilmente di vedere come il Sistema moda nell’ultimo decennio abbia vissuto un periodo di significativo rafforzamento, che ha permesso di reggere piuttosto bene all’urto della crisi economica. Tra il 2020 e il 2009 l’aggregato che accorpa le imprese nelle classi A e B cresce, passando dal 39% al 65%. Dall’altra parte la quota delle aziende verosimilmente più fragili non subisce variazioni (9% sia nel 2020 che nel 2009). Ciò denoterebbe un settore oggi relativamente più forte, ma ancora caratterizzato al suo interno da una certa polarizzazione. In generale, vanno apprezzati gli sforzi compiuti dalle aziende in questi anni alla ricerca di un maggiore grado di patrimonializzazione e verso un posizionamento nelle fasce di mercato a più alto valore aggiunto.

“Alla luce dei dati emersi da ISM restiamo positivi in vista del futuro. Il Covid è stato un evento traumatico, ma allo stesso tempo ha dato una spinta importante a molte aziende del nostro comparto – spiega Luigi Franceschetti, presidente del settore Abbigliamento, Magliecalze, Calzaturiero e Tessile di Confindustria Brescia –. Penso, in particolare, a tutto l’ambito dei processi informatici e dell’e-commerce. Migliorando questi due aspetti, e coniugandoli con la forza del “Made in Italy” tipica del settore, è stato possibile reggere in modo decisamente migliore l’impatto della crisi mondiale rispetto a quanto avvenne con la grande recessione del 2009. Le prospettive sul 2022 sono quindi incoraggianti, anche se restano alcune incognite legate a questioni di carattere mondiale come i rincari dell’energia. Un tema che coinvolge soprattutto i nostri subfornitori, ma che rischia di ripercuotersi sull’intera filiera.”

L’allarme di Coldiretti: agricoltori bresciani strozzati dai costi

in Agricoltura e allevamento/Economia/Tendenze by

L’aumento dei costi energetici si trasferisce in abbondanza sui bilanci delle imprese agricole già soffocate dagli aumenti dei costi relativi e  fertilizzanti e gasolio, da imballaggi delle macchine agricole fino ai trasporti, non compensati da prezzi di vendita adeguati. Occorre urgentemente garantire la sostenibilità finanziaria delle aziende e delle stalle in modo che  prezzi riconosciuti ad agricoltori e allevatori non scendano sotto i costi di produzione. E’ quanto afferma Valter Giacomelli, presidente di Coldiretti Brescia  nel sottolineare che molte imprese agricole stanno vendendo sottocosto anche per effetto di pratiche sleali che si ripercuotono sulla fascia più debole della filiera.

La pandemia Covid – rileva Coldiretti – sta innescando un nuovo cortocircuito sul fronte delle materie prime: l’emergenza per l’Europa si estende dal gas ai prodotti agricoli alimentari dove a tirare la volata sono i prezzi internazionali dei cereali cresciuti del 23,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre i lattiero caseari salgono del 19%, lo zucchero aumenta di oltre il 40% ed i grassi vegetali sono balzati addirittura del 51,4% rispetto all’anno scorso. Il settore agricolo nazionale – sottolinea la Coldiretti –  ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria in alcuni settori ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais fino all’atteso piano proteine nazionale per l’alimentazione degli animali in allevamento per recuperare competitività rispetto ai concorrenti stranieri.

Con la pandemia da Covid – continua Coldiretti – si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza per gli effetti dei cambiamenti climatici che spinge la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per garantire l’alimentazione delle popolazione.  Secondo l’analisi di Nikkei Asia su dati del dipartimento americano dell’agricoltura (USDA) – afferma la Coldiretti – la Cina entro la prima metà dell’annata agraria 2022 avrà accaparrato il 69% delle riserve mondiali di mais per l’alimentazione del bestiame ma anche il 60% del riso e il 51% di grano alla base dell’alimentazione umana nei diversi continenti, con conseguenti forti aumenti dei prezzi in tutto il pianeta e carestie. Gli effetti sono confermati dalle quotazioni delle materie prime alimentari che hanno raggiunto a livello mondiale il massimo da oltre dieci anni, trainati dai forti aumenti per oli vegetali, zucchero e cereali sulla base dell’analisi Coldiretti dell’Indice Fao a novembre 2021 che ha raggiunto il valore massimo dal giugno 2011 per effetto di un incremento del 27,3% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

L’aumento delle quotazioni – sottolinea Coldiretti – conferma che l’allarme globale provocato dal Covid ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico rappresentato dal cibo e dalle necessarie garanzie di qualità e sicurezza ma anche le fragilità presenti in Italia sulle quali occorre intervenire per difendere la sovranità alimentare, ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali e creare nuovi posti di lavoro.

“Il PNRR è fondamentale per affrontare le sfide della transizione ecologica e digitale e noi siamo pronti per rendere l’agricoltura protagonista utilizzando al meglio gli oltre 6 miliardi di euro a disposizione” afferma il Presidente nazionale della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che l’Italia può contare su una risorsa da primato mondiale ma deve investire per superare le fragilità presenti, difendere la sovranità alimentare e ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali.

“Per questo abbiamo elaborato e proposto – continua Prandini – progetti concreti nel Pnrr per favorire l’autosufficienza alimentare e una decisa svolta verso la rivoluzione verde, la transizione ecologica e il digitale. Puntiamo sui contratti di filiera per rafforzare i rapporti tra agricoltori e trasformatori per il vero Made in Italy con un budget da 1,2 miliardi. E vogliamo puntare sulle energie rinnovabili utilizzando tutte le risorse a disposizione per i pannelli fotovoltaici da mettere sui tetti con consumo di suolo zero. Sulla logistica serve agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. Una mancanza che ogni anno – conclude Prandini – rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export al quale si aggiunge il maggior costo della “bolletta logistica” legata ai trasporti e alla movimentazione delle merci”.

Manifatturiero, indagine Aib: dopo la pandemia il Sistema Brescia sta meglio del 2009

in Aib/Associazioni di categoria/Economia/Manifatturiero/Tendenze by

Dopo la pandemia, il Sistema Brescia sta meglio rispetto al 2009, quando si trovò ad affrontare la grande recessione mondiale: nello scorso anno, la manifattura bresciana ha mostrato significativi segnali di tenuta, a conferma della sua generale robustezza. Un aspetto importante, in particolare di fronte alle grandi incognite costituite da rincaro dei costi energetici, difficoltà di reperimento delle materie prime e incertezze sul futuro dell’automotive.

A evidenziarlo è lo strumento dell’ISM – Indice Sintetico Manifatturiero, presentato nello scorso mese di febbraio (con analisi dei bilanci 2019) e frutto della collaborazione tra il Centro Studi di Confindustria Brescia e OpTer (Osservatorio per il territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che restituisce in un unico valore lo stato di salute delle società di capitali attive nell’industria.

Il primo focus realizzato da Confindustria Brescia (allegato al presente comunicato) riguarda il settore Chimico, gomma, plastica; l’analisi proseguirà nelle prossime uscite – a cadenza settimanale – concentrandosi su altri 4 comparti manifatturieri presenti sul territorio: Alimentare (30 dicembre), Sistema Moda (6 gennaio), Meccanica (13 gennaio) e Metallurgia (20 gennaio).

Nel dettaglio, ISM – applicato ai bilanci 2020 di quasi 3 mila realtà industriali bresciane – mostra un leggero indebolimento rispetto alla situazione rilevata nel 2019. Nel 2020 la quota di aziende che si posizionano nella classe A (quella che include gli operatori più virtuosi) si attesta al 28% del totale, in leggero calo rispetto al 29% registrato nell’anno precedente. Una contrazione ha riguardato anche la classe B, passata dal 36% al 34%, mentre la classe D (che comprende le imprese potenzialmente più fragili) ha visto crescere la propria incidenza, dal 3% al 6%.

La segmentazione al 2020 dell’ISM per classe dimensionale, conferma alcune evidenze già emerse in precedenti lavori, ovvero come lo stato di salute delle imprese vada a migliorare, a livello aggregato, con l’aumentare della dimensione aziendale. Se si prende in considerazione la quota delle realtà che si posizionano nella classe A, essa è pari al 41% nelle grandi imprese (quelle con un fatturato oltre i 50 milioni di euro), scende al 34% nelle medie, al 29% nelle piccole e si riduce addirittura al 25% nelle micro (quelle con ricavi al di sotto dei 5 milioni).  Allo stesso tempo, l’incidenza degli operatori in classe D aumenta dall’1% delle grandi all’8% delle micro.

L’ISM è stato poi implementato per effettuare un confronto tra gli effetti sui bilanci delle imprese della crisi da Coronavirus, con la “Grande Recessione” del 2009, pur nella consapevolezza della diversa natura dei due fenomeni presi in considerazione. Emerge, in questo senso, come il Conto Economico della manifattura bresciana nel 2020 sia stato meno penalizzato rispetto a quanto riscontrato nel 2009. A titolo, esemplificativo, nel 2020 il fatturato complessivo del made in Brescia ha subito una contrazione del 9,5%, a fronte di un crollo di quasi il 30% sperimentato nel 2009. Anche gli altri principali saldi intermedi del Conto Economico mostrano dinamiche coerenti con quanto sopra riscontrato: il Margine operativo lordo, indicatore che esprime la redditività lorda industriale, ha evidenziato nel 2009 una flessione tre volte più intensa rispetto a quella del 2020. Analoghe considerazioni valgono anche per il Risultato ante imposte, che nell’ultimo anno è diminuito del 25,5%, mentre nel 2009 aveva evidenziato una pesante caduta pari al 70,5%.

Tutto ciò si ripercuote sui punteggi prodotti dall’ISM: l’aggregato che accorpa le imprese nelle classi A e B, fra il 2008 e il 2009 ha riscontrato una flessione del 6%, passando da una quota del 53% al 47%. Tra il 2019 e il 2020 lo stesso aggregato è sceso solo di 3 punti percentuali (da 65% a 62%). Va inoltre evidenziato come nel 2009 più di un operatore su dieci si posizionasse nella classe D, a conferma della significativa gravità che caratterizzava il comparto manifatturiero locale.

Da ultimo, ISM consente di sottolineare i progressi realizzati in questi anni dal sistema industriale bresciano e di come esso si sia affacciato alla crisi del 2020 da una situazione più rafforzata di quanto non lo fosse alla vigilia della “Grande Recessione”. Ciò è evidente dal confronto tra il posizionamento delle imprese nei due anni pre-crisi (2008 e 2019): il “blocco” delle imprese nelle classi A e B è passato dal 53% nel 2008 al 65% nel 2019, un salto di ben 12 punti percentuali. Tale miglioramento trae giustificazione da possibili molteplici fattori; uno fra tutti risulta essere la maggiore patrimonializzazione delle imprese. Come già descritto in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’ISM, avvenuta nel febbraio del 2021, nel 2008 l’incidenza dei mezzi propri sul totale del capitale investito era pari al 29,8%, mentre nel 2019 tale quota ha raggiunto il 44,8%.

“Le indicazioni generali provenienti dalla manifattura bresciana sono decisamente incoraggianti, come testimoniano i dati elaborati attraverso ISM – commenta Franco Gussalli Beretta, Presidente di Confindustria Brescia – . Questo strumento, sviluppato in collaborazione con l’Università Cattolica, ci consentirà sempre più, anche in futuro, di tenere monitorato lo stato di salute delle nostre imprese. Un aspetto fondamentale, anche in considerazione di alcune grandi incognite che caratterizzano l’economia mondiale nel breve e medio periodo, quali il rincaro dei costi dell’energia, le difficoltà di reperimento delle materie prime e le incertezze sul futuro dell’automotive.”

“Grazie a OpTer, la collaborazione tra l’Università Cattolica e il Centro Studi Confindustria Brescia si è, negli ultimi anni, ulteriormente intensificata – aggiunge Giovanni Marseguerra, Ordinario di Economia Politica all’Università Cattolica e Direttore di OpTer –. ISM, che è un modello costruito ad hoc sulle imprese manifatturiere bresciane, ci consente di realizzare un monitoraggio puntuale sull’evoluzione del sistema produttivo e così di supportare efficacemente il nostro sistema imprenditoriale che, come dimostra l’analisi presentata oggi, sta dimostrando di reggere bene l’onda d’urto della crisi generata dalla pandemia”.

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