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Tendenze - page 11

Imprese, “nel Bresciano le imprese che vanno meglio sono quelle che danno lavoro ai giovani”

in Aib/Associazioni di categoria/Economia/Tendenze by

La centralità dei giovani in azienda rappresenta un elemento sempre più importante nelle imprese di successo del Made in Brescia. Accanto ad esso, gli ulteriori fattori in grado di proiettare le realtà manifatturiere della provincia oltre la pandemia sono rappresentati, in particolare, da flessibilità, efficienza, 4.0 e internazionalizzazione.

A evidenziarlo è un’analisi delle performance economiche delle aziende bresciane nel 2020, lette alla luce del loro posizionamento strategico rilevato nel periodo immediatamente precedente alla pandemia. L’iniziativa è stata condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia e dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, facendo seguito alla ricerca congiunta “Indagine sul manifatturiero bresciano”, presentata nell’ottobre 2019.

In particolare, lo studio ha preso in considerazione le stesse realtà aziendali coinvolte nel 2019: complessivamente gli operatori esaminati sono 196, che danno lavoro a circa 14 mila addetti e hanno fatturato nel 2020 4,4 miliardi di euro. Il campione risulta fortemente orientato sulle imprese di piccole dimensioni, che costituiscono il 67% del totale. La composizione settoriale vede la prevalenza dei comparti metalmeccanici che, in termini occupazionali, incidono per i due terzi del panel, in coerenza con la specializzazione produttiva dell’industria locale.

La ricerca ha dapprima individuato quattro profilli aziendali, identificati attraverso il confronto tra la performance di ogni singola impresa in termini di variazione del fatturato (2020 vs 2019) e livello di marginalità (EBITDA margin 2020) rispetto all’evoluzione a livello nazionale del settore e della classe dimensionale di appartenenza. I quattro cluster possono essere così definiti:

  • Resilienti: imprese con una dinamica dei ricavi e un livello di marginalità entrambi superiori al dato nazionale;
  • Dinamiche: imprese con una dinamica dei ricavi superiore al dato nazionale e, allo stesso tempo, con un livello di marginalità inferiore;
  • Profittevoli: imprese con un livello di marginalità superiore al dato nazionale e, allo stesso tempo, con una dinamica dei ricavi inferiore;
  • In Ritardo: imprese con una dinamica dei ricavi e un livello di marginalità entrambi inferiori al dato nazionale.

Tra i principali risultati emersi dallo studio, i vantaggi competitivi rilevati nel 2019 che meglio giustificherebbero la migliore performance delle imprese Resilienti da quelle In Ritardo sarebbero da ricercare nella flessibilità, nell’efficienza e nell’innovazione organizzativa.  Per contro, il fattore prezzo sarebbe individuato come leva competitiva per le imprese In Ritardo. Sempre in tale contesto, le aziende Profittevoli risulterebbero più innovative ed efficienti rispetto alle Dinamiche, che invece si caratterizzerebbero per una maggiore flessibilità, unita a una strategia volta al contenimento dei prezzi di vendita.

Le imprese Resilienti emergono poi come le più orientate a una personalizzazione dei prodotti rispetto agli altri profili presi in considerazione, seguite, a breve distanza, dalle Profittevoli. Tali cluster si caratterizzano inoltre per una più intensa presenza al proprio interno di realtà con una gamma di prodotti personalizzati che supera il 70% dell’offerta complessiva.

Il canale estero si conferma particolarmente premiante: la cosiddetta “export propensity” (quota delle esportazioni sul totale del fatturato) nelle aziende Resilienti si attesta al 58%, contro il 39% di quelle In Ritardo. Va poi sottolineato come la presenza sui mercati esteri risulti premiante se esercitata in modo intenso: ciò garantirebbe un maggiore presidio e una più elevata diversificazione degli sbocchi commerciali.

L’indagine ha inoltre certificato l’importante ruolo dei giovani nelle realtà più performanti: le imprese Resilienti si connotano per un’alta quota di forza lavoro giovane rispetto a quelle In Ritardo (62% contro il 45%). La relazione alla base di tale evidenza può essere letta da due prospettive fra loro complementari: da un lato, i giovani possono essere considerati una forza propulsiva per la crescita aziendale, dall’altro, le imprese più virtuose tendono necessariamente ad assumere forza lavoro giovane, in grado di garantire loro dinamicità e competitività. Emerge poi che le Resilienti siano maggiormente guidate da amministratori giovani (19%) rispetto a quelle In Ritardo (16%). Tutto ciò si riverbera nel passaggio generazionale: le imprese Resilienti sembrerebbero meno coinvolte in questo momento tipicamente molto delicato nella vita dell’azienda; il 55% non dovrà infatti affrontare nel quinquennio in corso questa transizione, contro il 41% degli operatori In Ritardo.

Da ultimo, la ricerca ha evidenziato come la diffusione delle tecnologie 4.0 sia più elevata nelle imprese Profittevoli (60%), rispetto alle Resilienti (51%), a quelle In Ritardo (47%) e alle Dinamiche (32%): tale risultato suggerisce che gli investimenti nel 4.0, almeno nei primi anni di adozione, favorirebbero maggiormente la marginalità aziendale piuttosto che le vendite, grazie all’efficientamento dei processi e all’innalzamento della produttività.

Imprese giovanili, nel Bresciano sono 10.002

in Associazioni di categoria/Camera di commercio/Economia/Tendenze by
Giovane al lavoro, foto da Pixabay

Dopo il forte rallentamento dell’iniziativa imprenditoriale generato dalla crisi pandemica, nel 2021 torna la voglia di fare impresa dei giovani bresciani. Sono10.002 le imprese giovanili iscritte al Registro Imprese di Brescia a fine settembre quasi 200 in più rispetto allo stesso periodo del 2020.

Tra gennaio e settembre 2021, le iscrizioni di nuove imprese under 35 hanno rappresentato il 30% di tutte le iscrizioni di nuove imprese ai registri camerali.

Nell’ultimo anno i giovani bresciani, hanno trovato nuove opportunità imprenditoriali nel settore delle costruzioni, stimolati dalle misure legate al Superbonus, dove le imprese under 35 sono cresciute del 3,9%.

L’impulso maggiore arriva dal web. Nell’ultimo anno sono nate 91 imprese giovanili, pari a un incremento del 42,0%, che hanno fatto del commercio al dettaglio attraverso Internet il proprio “core-bussines”. Crescono anche le attività professionali (+9,1%) dove i giovani operano nell’ambito delle ricerche di mercato e nella consulenza tecnica. Degna di nota è la crescita del 2,0% delle imprese gestite da under 35 in agricoltura.

“Il dato che evidenzia l’incremento del numero delle imprese giovanili iscritte al RI rispetto allo scorso anno è confortante ed è un ulteriore segnale del consolidamento della ripresa economica in atto ma soprattutto – commenta il Presidente della Camera di Commercio, Ing. Roberto Saccone – è testimonianza che anche tra le giovani generazioni è sempre vivo lo spirito imprenditoriale che, tradizionalmente, caratterizza il sistema economico bresciano. E’ in ogni caso sempre più necessario mettere in campo politiche per l’ulteriore incentivazione all’autoimprenditorialità giovanile, soprattutto negli ambiti più innovativi e ad alto contenuto tecnologico”

La fotografia scattata dal Servizio Studi della Camera di Commercio di Brescia mostra che a fine settembre, più di 6 giovani su 10 nel mettersi in proprio, hanno puntato su settori tradizionali, primo fra tutti il Commercio, dove si contano 2.207 imprese di under 35 (22,1% del totale), le Costruzioni (1.373 imprese pari al 13,7%), il Turismo (1.089, pari al 10,9%) e gli altri Servizi (801, pari all’8,0% del totale). Nell’industria manifatturiera operano 753 imprese giovanili (il 7,5% del totale), nell’Agricoltura si contano 718 giovani imprese (7,2%).

Un altro 15% dei giovani imprenditori bresciani fa impresa nei settori più innovativi e ad elevato utilizzo di tecnologie, quali i Servizi di informazione e comunicazione, le Attività professionali, scientifiche e tecniche e i Servizi alle imprese.

Nel complesso, più di 8 imprese su 100 sono gestite da giovani under 35, ma se si guarda all’ultimo decennio emerge che rispetto al 2011 quando l’incidenza era dell’11,6% il peso dei giovani sul tessuto imprenditoriale ha perso più di 3 punti percentuali.

In dieci anni le imprese giovanili sono diminuite del 30% (corrispondenti a 4.200 imprese in meno) a fronte del calo del 3% che ha interessato l’imprenditoria bresciana nel suo complesso.

A contribuire alla perdita di oltre 4mila imprese giovanili hanno contribuito i settori più tradizionali delle costruzioni, del commercio e dell’industria manifatturiera.

Il settore delle costruzioni ha visto in dieci anni diminuire di oltre il 60% lo stock di imprese under 35 esistenti passate da 3.456 a settembre del 2011 a 1.373 nel 2021. Con la conseguenza che l’età media del settore si è innalzata, nel 2011 quasi 17 imprese su 100 operanti nelle costruzioni era gestito da under 35 nel 2021 la quota è calata al 7,5%.

Nel commercio, il numero delle imprese giovanili è calato del 22% (620 esercizi in meno) e nelle attività di alloggio e ristorazione del 23% (322 imprese in meno).

Consistenti anche le riduzioni fatte registrare dalle attività manifatturiere (-559 imprese pari a un calo del 42,6%) dove nel 2011 l’imprenditoria giovanile pesava per il 7,6% per passare ad appena il 5,0% nel 2021.

In termini relativi i cali più importanti si registrano nelle attività immobiliari (-38%) e nel comparto degli altri servizi (-24,9%).

Ad espandersi (+166 imprese nell’intero periodo, +30,6% in termini relativi) è stato il settore delle attività professionali scientifiche e tecniche (comparto in cui rientrano le attività di consulenza gestionale e di direzione aziendale; di pubblicità e ricerche di mercato; la consulenza in materia di sicurezza etc.).

Sul fronte organizzativo la tipologia che è stata più interessata dal calo della base imprenditoriale giovanile è stata l’impresa individuale (-3.180 unità, pari al un calo del 30,7%) che, comunque, resta la tipologia preferita dai giovani per fare impresa (71,7% del totale). Nello stesso decennio i giovani nell’aprire una impresa hanno cercato una certa solidità strutturale come è evidente dall’aumento delle società di capitale (+4,5%) che contano il 20,4% delle imprese giovanili contro il 13,7% del 2011.

Sotto il profilo dimensionale, negli ultimi dieci anni è diminuita sensibilmente la numerosità della classe fino a 5 addetti (-30,2%), che è anche la più consistente considerato che concentra il 93% delle imprese under 35 attive in provincia. Ma importante, in termini relativi, è il calo della classe 50-249 addetti (-30,0%).

La forte contrazione del numero delle imprese giovanili registrata negli ultimi dieci anni ha interessato tutto il territorio nazionale. In Italia il numero delle imprese under 35 è diminuito di oltre di 157 unità pari al 23,1%. In Lombardia sono diminuite del 21,8%.

E’ importante osservare che le imprese che escono dallo stock delle imprese giovanili non necessariamente hanno chiuso l’attività, una parte, infatti, esce dalla categoria delle “giovanili” per il superamento del limite di età dei titolari o degli amministratori.

Resta, tuttavia, il fatto nel 2011 le imprese giovanili rappresentavano in provincia l’11,6% dell’intero universo imprenditoriale bresciano, mentre a fine settembre 2021 si attestano all’8,4%.

La componente demografica certamente ha contribuito col calo della natalità: tra il 2021 e il 2011 la popolazione bresciana tra 18-34 anni, ovvero la fascia di età dei potenziali imprenditori, è diminuita del 6,7%. Ne deriva che nel 2011 i giovani tra i 18-34 anni rappresentavano il 19% della popolazione bresciana, nel 2021 la quota è scesa al 17,7%.

Il calo della natalità e dell’iniziativa imprenditoriale ha ridimensionato la partecipazione dei giovani bresciani al sistema produttivo bresciano: nel 2011 si contavano circa 60 under 35 ogni mille giovani tra i 18-34 anni, nel 2021 la quota è calata a 45,4.

Brescia, il settore Moda si rafforza, “ma rimangono criticità”

in Abbigliamento/Commercio/Economia/Tendenze by
Moda, foto da Pixabay

Nel 2020 le imprese bresciane attive nel settore Sistema moda hanno evidenziato risultati economici cautamente ottimistici, soprattutto se contestualizzati alla luce della crisi globale generata dalla pandemia da Covid-19.

A evidenziarlo è lo strumento dell’Indice Sintetico Manifatturiero – ISM, frutto della collaborazione tra il Centro Studi di Confindustria Brescia e OpTer (Osservatorio per il territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Nel dettaglio, tale indice, applicato ai bilanci 2020 di quasi 130 realtà bresciane attive nel comparto, fornisce una lettura sintetica di come la crisi da Covid-19 abbia impattato sull’economia di tale settore. Nel 2020 la quota di aziende che si posizionano nella classe A (quella che include gli operatori più virtuosi) si attesta al 28% del totale, scendendo di due punti percentuali rispetto a quella registrata nell’anno precedente. Qualche preoccupazione riguarda la quota della classe D (in cui fanno parte le aziende verosimilmente più fragili) che sale di ben quattro punti percentuali (dal 5% al 9%).

L’ISM è stato poi implementato per effettuare un confronto tra gli effetti sui bilanci delle imprese della crisi da Coronavirus, con la “Grande Recessione” del 2009, pur nella consapevolezza della diversa natura dei due fenomeni presi in considerazione. La recente crisi ha colpito duramente il settore Sistema Moda ma la marginalità industriale, a differenza del 2009, ha tenuto molto bene. Tutte le principali voci del Conto Economico, ad eccezione del fatturato, nel 2020 hanno avuto andamenti di gran lunga migliori rispetto a quelli rilevati un decennio prima. Nel 2020 i ricavi complessivi del comparto locale hanno subito una contrazione del 17,1%, a fronte di una riduzione del 14,7% sperimentata nel 2009. Il Margine operativo lordo, indicatore che esprime la redditività lorda industriale, ha evidenziato nel 2009 una caduta del 36,5%, contro il -16,7% nel 2020. Anche il Reddito operativo registra un forte calo 29,6%, solo in parte paragonabile a quello rilevato nel 2009 (-96,0%).

Seppure le conseguenze della crisi da Covid siano state pesanti per questo settore, lo strumento dell’ISM permette facilmente di vedere come il Sistema moda nell’ultimo decennio abbia vissuto un periodo di significativo rafforzamento, che ha permesso di reggere piuttosto bene all’urto della crisi economica. Tra il 2020 e il 2009 l’aggregato che accorpa le imprese nelle classi A e B cresce, passando dal 39% al 65%. Dall’altra parte la quota delle aziende verosimilmente più fragili non subisce variazioni (9% sia nel 2020 che nel 2009). Ciò denoterebbe un settore oggi relativamente più forte, ma ancora caratterizzato al suo interno da una certa polarizzazione. In generale, vanno apprezzati gli sforzi compiuti dalle aziende in questi anni alla ricerca di un maggiore grado di patrimonializzazione e verso un posizionamento nelle fasce di mercato a più alto valore aggiunto.

“Alla luce dei dati emersi da ISM restiamo positivi in vista del futuro. Il Covid è stato un evento traumatico, ma allo stesso tempo ha dato una spinta importante a molte aziende del nostro comparto – spiega Luigi Franceschetti, presidente del settore Abbigliamento, Magliecalze, Calzaturiero e Tessile di Confindustria Brescia –. Penso, in particolare, a tutto l’ambito dei processi informatici e dell’e-commerce. Migliorando questi due aspetti, e coniugandoli con la forza del “Made in Italy” tipica del settore, è stato possibile reggere in modo decisamente migliore l’impatto della crisi mondiale rispetto a quanto avvenne con la grande recessione del 2009. Le prospettive sul 2022 sono quindi incoraggianti, anche se restano alcune incognite legate a questioni di carattere mondiale come i rincari dell’energia. Un tema che coinvolge soprattutto i nostri subfornitori, ma che rischia di ripercuotersi sull’intera filiera.”

L’allarme di Coldiretti: agricoltori bresciani strozzati dai costi

in Agricoltura e allevamento/Economia/Tendenze by

L’aumento dei costi energetici si trasferisce in abbondanza sui bilanci delle imprese agricole già soffocate dagli aumenti dei costi relativi e  fertilizzanti e gasolio, da imballaggi delle macchine agricole fino ai trasporti, non compensati da prezzi di vendita adeguati. Occorre urgentemente garantire la sostenibilità finanziaria delle aziende e delle stalle in modo che  prezzi riconosciuti ad agricoltori e allevatori non scendano sotto i costi di produzione. E’ quanto afferma Valter Giacomelli, presidente di Coldiretti Brescia  nel sottolineare che molte imprese agricole stanno vendendo sottocosto anche per effetto di pratiche sleali che si ripercuotono sulla fascia più debole della filiera.

La pandemia Covid – rileva Coldiretti – sta innescando un nuovo cortocircuito sul fronte delle materie prime: l’emergenza per l’Europa si estende dal gas ai prodotti agricoli alimentari dove a tirare la volata sono i prezzi internazionali dei cereali cresciuti del 23,2% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, mentre i lattiero caseari salgono del 19%, lo zucchero aumenta di oltre il 40% ed i grassi vegetali sono balzati addirittura del 51,4% rispetto all’anno scorso. Il settore agricolo nazionale – sottolinea la Coldiretti –  ha già sperimentato i guasti della volatilità dei listini in un Paese come l’Italia che è fortemente deficitaria in alcuni settori ed ha bisogno di un piano di potenziamento produttivo e di stoccaggio per le principali commodities, dal grano al mais fino all’atteso piano proteine nazionale per l’alimentazione degli animali in allevamento per recuperare competitività rispetto ai concorrenti stranieri.

Con la pandemia da Covid – continua Coldiretti – si è aperto uno scenario di accaparramenti, speculazioni e incertezza per gli effetti dei cambiamenti climatici che spinge la corsa dei singoli Stati ai beni essenziali per garantire l’alimentazione delle popolazione.  Secondo l’analisi di Nikkei Asia su dati del dipartimento americano dell’agricoltura (USDA) – afferma la Coldiretti – la Cina entro la prima metà dell’annata agraria 2022 avrà accaparrato il 69% delle riserve mondiali di mais per l’alimentazione del bestiame ma anche il 60% del riso e il 51% di grano alla base dell’alimentazione umana nei diversi continenti, con conseguenti forti aumenti dei prezzi in tutto il pianeta e carestie. Gli effetti sono confermati dalle quotazioni delle materie prime alimentari che hanno raggiunto a livello mondiale il massimo da oltre dieci anni, trainati dai forti aumenti per oli vegetali, zucchero e cereali sulla base dell’analisi Coldiretti dell’Indice Fao a novembre 2021 che ha raggiunto il valore massimo dal giugno 2011 per effetto di un incremento del 27,3% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

L’aumento delle quotazioni – sottolinea Coldiretti – conferma che l’allarme globale provocato dal Covid ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico rappresentato dal cibo e dalle necessarie garanzie di qualità e sicurezza ma anche le fragilità presenti in Italia sulle quali occorre intervenire per difendere la sovranità alimentare, ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali e creare nuovi posti di lavoro.

“Il PNRR è fondamentale per affrontare le sfide della transizione ecologica e digitale e noi siamo pronti per rendere l’agricoltura protagonista utilizzando al meglio gli oltre 6 miliardi di euro a disposizione” afferma il Presidente nazionale della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che l’Italia può contare su una risorsa da primato mondiale ma deve investire per superare le fragilità presenti, difendere la sovranità alimentare e ridurre la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali.

“Per questo abbiamo elaborato e proposto – continua Prandini – progetti concreti nel Pnrr per favorire l’autosufficienza alimentare e una decisa svolta verso la rivoluzione verde, la transizione ecologica e il digitale. Puntiamo sui contratti di filiera per rafforzare i rapporti tra agricoltori e trasformatori per il vero Made in Italy con un budget da 1,2 miliardi. E vogliamo puntare sulle energie rinnovabili utilizzando tutte le risorse a disposizione per i pannelli fotovoltaici da mettere sui tetti con consumo di suolo zero. Sulla logistica serve agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. Una mancanza che ogni anno – conclude Prandini – rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export al quale si aggiunge il maggior costo della “bolletta logistica” legata ai trasporti e alla movimentazione delle merci”.

Manifatturiero, indagine Aib: dopo la pandemia il Sistema Brescia sta meglio del 2009

in Aib/Associazioni di categoria/Economia/Manifatturiero/Tendenze by

Dopo la pandemia, il Sistema Brescia sta meglio rispetto al 2009, quando si trovò ad affrontare la grande recessione mondiale: nello scorso anno, la manifattura bresciana ha mostrato significativi segnali di tenuta, a conferma della sua generale robustezza. Un aspetto importante, in particolare di fronte alle grandi incognite costituite da rincaro dei costi energetici, difficoltà di reperimento delle materie prime e incertezze sul futuro dell’automotive.

A evidenziarlo è lo strumento dell’ISM – Indice Sintetico Manifatturiero, presentato nello scorso mese di febbraio (con analisi dei bilanci 2019) e frutto della collaborazione tra il Centro Studi di Confindustria Brescia e OpTer (Osservatorio per il territorio: impresa, formazione, internazionalizzazione) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che restituisce in un unico valore lo stato di salute delle società di capitali attive nell’industria.

Il primo focus realizzato da Confindustria Brescia (allegato al presente comunicato) riguarda il settore Chimico, gomma, plastica; l’analisi proseguirà nelle prossime uscite – a cadenza settimanale – concentrandosi su altri 4 comparti manifatturieri presenti sul territorio: Alimentare (30 dicembre), Sistema Moda (6 gennaio), Meccanica (13 gennaio) e Metallurgia (20 gennaio).

Nel dettaglio, ISM – applicato ai bilanci 2020 di quasi 3 mila realtà industriali bresciane – mostra un leggero indebolimento rispetto alla situazione rilevata nel 2019. Nel 2020 la quota di aziende che si posizionano nella classe A (quella che include gli operatori più virtuosi) si attesta al 28% del totale, in leggero calo rispetto al 29% registrato nell’anno precedente. Una contrazione ha riguardato anche la classe B, passata dal 36% al 34%, mentre la classe D (che comprende le imprese potenzialmente più fragili) ha visto crescere la propria incidenza, dal 3% al 6%.

La segmentazione al 2020 dell’ISM per classe dimensionale, conferma alcune evidenze già emerse in precedenti lavori, ovvero come lo stato di salute delle imprese vada a migliorare, a livello aggregato, con l’aumentare della dimensione aziendale. Se si prende in considerazione la quota delle realtà che si posizionano nella classe A, essa è pari al 41% nelle grandi imprese (quelle con un fatturato oltre i 50 milioni di euro), scende al 34% nelle medie, al 29% nelle piccole e si riduce addirittura al 25% nelle micro (quelle con ricavi al di sotto dei 5 milioni).  Allo stesso tempo, l’incidenza degli operatori in classe D aumenta dall’1% delle grandi all’8% delle micro.

L’ISM è stato poi implementato per effettuare un confronto tra gli effetti sui bilanci delle imprese della crisi da Coronavirus, con la “Grande Recessione” del 2009, pur nella consapevolezza della diversa natura dei due fenomeni presi in considerazione. Emerge, in questo senso, come il Conto Economico della manifattura bresciana nel 2020 sia stato meno penalizzato rispetto a quanto riscontrato nel 2009. A titolo, esemplificativo, nel 2020 il fatturato complessivo del made in Brescia ha subito una contrazione del 9,5%, a fronte di un crollo di quasi il 30% sperimentato nel 2009. Anche gli altri principali saldi intermedi del Conto Economico mostrano dinamiche coerenti con quanto sopra riscontrato: il Margine operativo lordo, indicatore che esprime la redditività lorda industriale, ha evidenziato nel 2009 una flessione tre volte più intensa rispetto a quella del 2020. Analoghe considerazioni valgono anche per il Risultato ante imposte, che nell’ultimo anno è diminuito del 25,5%, mentre nel 2009 aveva evidenziato una pesante caduta pari al 70,5%.

Tutto ciò si ripercuote sui punteggi prodotti dall’ISM: l’aggregato che accorpa le imprese nelle classi A e B, fra il 2008 e il 2009 ha riscontrato una flessione del 6%, passando da una quota del 53% al 47%. Tra il 2019 e il 2020 lo stesso aggregato è sceso solo di 3 punti percentuali (da 65% a 62%). Va inoltre evidenziato come nel 2009 più di un operatore su dieci si posizionasse nella classe D, a conferma della significativa gravità che caratterizzava il comparto manifatturiero locale.

Da ultimo, ISM consente di sottolineare i progressi realizzati in questi anni dal sistema industriale bresciano e di come esso si sia affacciato alla crisi del 2020 da una situazione più rafforzata di quanto non lo fosse alla vigilia della “Grande Recessione”. Ciò è evidente dal confronto tra il posizionamento delle imprese nei due anni pre-crisi (2008 e 2019): il “blocco” delle imprese nelle classi A e B è passato dal 53% nel 2008 al 65% nel 2019, un salto di ben 12 punti percentuali. Tale miglioramento trae giustificazione da possibili molteplici fattori; uno fra tutti risulta essere la maggiore patrimonializzazione delle imprese. Come già descritto in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’ISM, avvenuta nel febbraio del 2021, nel 2008 l’incidenza dei mezzi propri sul totale del capitale investito era pari al 29,8%, mentre nel 2019 tale quota ha raggiunto il 44,8%.

“Le indicazioni generali provenienti dalla manifattura bresciana sono decisamente incoraggianti, come testimoniano i dati elaborati attraverso ISM – commenta Franco Gussalli Beretta, Presidente di Confindustria Brescia – . Questo strumento, sviluppato in collaborazione con l’Università Cattolica, ci consentirà sempre più, anche in futuro, di tenere monitorato lo stato di salute delle nostre imprese. Un aspetto fondamentale, anche in considerazione di alcune grandi incognite che caratterizzano l’economia mondiale nel breve e medio periodo, quali il rincaro dei costi dell’energia, le difficoltà di reperimento delle materie prime e le incertezze sul futuro dell’automotive.”

“Grazie a OpTer, la collaborazione tra l’Università Cattolica e il Centro Studi Confindustria Brescia si è, negli ultimi anni, ulteriormente intensificata – aggiunge Giovanni Marseguerra, Ordinario di Economia Politica all’Università Cattolica e Direttore di OpTer –. ISM, che è un modello costruito ad hoc sulle imprese manifatturiere bresciane, ci consente di realizzare un monitoraggio puntuale sull’evoluzione del sistema produttivo e così di supportare efficacemente il nostro sistema imprenditoriale che, come dimostra l’analisi presentata oggi, sta dimostrando di reggere bene l’onda d’urto della crisi generata dalla pandemia”.

Export, a Brescia vola: +18% nel terzo trimestre

in Economia/Export/Tendenze by

Il valore delle esportazioni originate dalla Lombardia rimane oltre i 33 miliardi di euro e le importazioni oltre i 36 miliardi complessivi, anche a causa dell’aumento dei prezzi, per cui il deficit commerciale sale a 3,1 miliardi di euro. Il rallentamento dell’attività delle imprese nel terzo trimestre, dovuto sia ai problemi di approvvigionamento sia al normale andamento stagionale, ha portato ad una flessione congiunturale degli scambi con l’estero senza però allontanarli dai massimi raggiunti lo scorso trimestre. L’analisi dell’andamento delle quantità scambiate conferma che c’è ‘effetto prezzi’ sull’incremento dei dati in valore. Infatti, l’export registra per le quantità una flessione congiunturale del 12,8% e l’import del 4,5%, entrambe superiori alle corrispondenti flessioni congiunturali dei dati in valore.

ASSESSORE GUIDESI: CHIEDIAMO ATTENZIONE PER MATERIE PRIME – “Gli sforzi delle imprese lombarde – ha spiegato l’assessore allo Sviluppo Economico di Regione Lombardia, Guido Guidesi – ci consentono di certificare una ripresa che oramai è strutturale messa però a rischio dai costi energetici e dall’approvvigionamento delle materie prime; non bastiamo noi da soli a richiamare l’urgenza di questi temi. Il posticipo ulteriore di una discussione in Europa è un segnale che ci preoccupa”. “Il sistemo lombardo continuerà ad impegnarsi a sostegno delle nostre imprese e del lavoro, chiediamo anche agli enti sovraregionali di attenzionare le priorità: costi dell’energia e approvvigionamento delle materie prime significano oggi occupazione per il futuro”, conclude l’assessore.

AURICCHIO (UNIONCAMERE): C’E’ SOLIDITÀ REGIONALE – “L’export lombardo mantiene gli elevati livelli pre-crisi raggiunti dopo il recupero competitivo post pandemia” commenta il Presidente di Unioncamere Lombardia Gian Domenico Auricchio – Questo assestamento era atteso, considerato il periodo estivo e le difficoltà di approvvigionamento, per cui anche se il quadro congiunturale complessivo è in rallentamento la solidità dell’economia regionale contribuirà ad attenuare questi segnali”.

SETTORI – Il comparto legato ai metalli e alle loro produzioni si conferma forte motore della ripresa (+34,6% su base tendenziale) con effetti positivi sulla performance della maggior parte delle province. Altri contributi significativi derivano dall’export dei mezzi di trasporto (+29,7%) grazie alla ripresa dell’export di aeromobili e delle sostanze e prodotti chimici (+23,0%). Finalmente recuperano anche i livelli pre-crisi i prodotti tessili, pelli e accessori (+17,0% tendenziale e un dato superiore del +4,3% rispetto al 3° trimestre 2019). Buono l’andamento di computer e apparecchi elettronici (+12,9%) mentre restano in negativo gli articoli farmaceutici (-2,5% tendenziale) che non hanno ancora recuperato i livelli 2019 (-9,5%).

MERCATI DI DESTINAZIONE: CRESCONO TUTTE LE DESTINAZIONI – L’incremento rispetto al livello pre-crisi del valore esportato verso tutte le destinazioni è del +9,7% (escluse le provviste di bordo, territori non specificati e altri territori). I flussi verso molti paesi registrano ancora incrementi tendenziali a due cifre (dal +19,6% dell’Unione Europea al +74,1% dell’Asia centrale trainata in particolare dell’export verso il Turkmenistan e l’India) nonostante il confronto con i minimi storici sia ormai superato. Verso molti dei principali paesi di destinazione delle merci lombarde si incrementa il valore dell’export rispetto al 3° trimestre 2019: spiccano in particolare Turchia (+24,5%), Regno Unito (+24,4%), Brasile (+22,2%), Cina (+19,6%) e Israele (+16,9%). Restano significativi i flussi diretti verso Francia (+12,9%) e Germania (+11,8%). Considerando le altre aree si osservano alcune destinazioni che non hanno ancora completato il recupero dei livelli pre-crisi e in particolare il continente africano, sia per i paesi del nord Africa (-6,4% rispetto al 3° trimestre 2019) che per gli altri paesi africani (-11,0%).

EXPORT: L’ANDAMENTO PROVINCIA PER PROVINCIA – L’incremento tendenziale interessa tutte le province lombarde. Rispetto al terzo trimestre 2019 gli aumenti più rilevanti sono quelli di Varese (+29,4% grazie a un forte incremento dell’export di mezzi di trasporto/aeromobili), Sondrio (+17,6% trainato dai prodotti alimentari e chimici), Cremona (+19,7%), Brescia (+18,9%), Mantova (+15,9%) e Lecco (+11,6%), queste ultime spinte dell’export di metalli di base e prodotti in metallo. Meno intensa la crescita della provincia di Monza e Brianza (+7,2%) anch’essa trainata dai metalli di base e prodotti in metallo. Crescono anche Bergamo (+6,9%) grazie alle sostanze e prodotti chimici e Milano (+3,1%) sostenuta dalla ripresa dell’export di prodotti tessili, abbigliamento pelli e accessori. Como si ferma ai livelli 2019 (+0,1%) con le migliori performance per mobili, attrezzature mediche e sostanze e prodotti chimici. Scontano ancora un gap negativo con il 3° trimestre 2019 Lodi (-5,0%) a causa del rallentamento dell’export di computer e apparecchiature elettroniche e Pavia (-10,8%) con segni negativi diffusi alle principali tipologie di prodotto dell’export provinciale.

IMPORT E SALDO DELLA BILANCIA COMMERCIALE – Il valore delle importazioni mostra una flessione congiunturale del -3,7%, più contenuta rispetto a quanto registrato dalle esportazioni, con livello trimestrale oltre i 36 miliardi di euro. Rispetto al terzo trimestre il valore dell’import registra così un incremento del +8,6%. Come per le esportazioni anche le importazioni mantengono un incremento tendenziale a due cifre (+26,8%). Il saldo negativo virtuale della bilancia commerciale regionale si attesta così a 3,1 miliardi di euro, in aumento rispetto al valore dello scorso trimestre.

Inflazione a Brescia: a novembre +3,6 sul 2020

in Economia/Tendenze by

Nel mese di NOVEMBRE 2021, continua la forte salita dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), sia rispetto al mese di ottobre (tasso congiunturale: +0,7%), sia rispetto allo stesso mese dell’anno precedente (tasso tendenziale: +3,6%). A renderlo noto è una nota dell’Ufficio statistica del Comune di Brescia.

Analizzando per tipologia di prodotto, a livello congiunturale, si registra un deciso aumento dei “Beni” (+1,1%), con l’incremento dei Beni energetici (+4,5%) e degli Altri energetici (+7,7%). Continuano a salire anche i prezzi dei Beni alimentari non lavorati (+2,4%). Stabili invece i prezzi dei Beni energetici regolamentati. Aumentano lievemente i “Servizi” (+0,1%), in particolare quelli regolamentati (+1,1%) e quelli relativi ai trasporti (+0,5%).

A livello di divisione, la maggior parte delle voci ha presentato aumenti congiunturali dei prezzi al consumo. Il più elevato si è registrato per la divisione “Abitazione, acqua, elettricità e combustibili” (+2,5%, in particolare l’aumento ha riguardato l’Energia elettrica), seguita dai “Trasporti” (+1,3%, con l’aumento dei Carburanti) e dai “Prodotti alimentari e bevande analcoliche” (+1,1%, con l’aumento della Frutta e dei Vegetali). Le divisioni “Abbigliamento e calzature”, “Servizi sanitari e spese per la salute” e “Altri beni e servizi” hanno registrato lievi aumenti. Presenta una forte diminuzione congiunturale, invece, la divisione delle “Comunicazioni” (-2,2%), seguita da lievi diminuzioni dei “Servizi ricettivi e di ristorazione” e da “Mobili, articoli e servizi per la casa “(- 0,1%). Variazioni nulle sono registrate dall’”Istruzione” e da” Ricreazione, spettacoli e cultura”.

In termini tendenziali, le divisioni che presentano aumenti sopra la media (3,6%) sono “Abitazione, acqua, elettricità e combustibili” (+13,8%, con gli alti tassi dell’energia elettrica del mercato tutelato e del Gas), “Trasporti” (+10,2%, con l’accelerazione dei Carburanti) e i “Servizi ricettivi e di ristorazione” (+4,0%). Le restanti divisioni presentano incrementi tendenziali sotto la media. In discesa, invece, le “Comunicazioni” (-4,3%) e l’“Istruzione” (-0,9%).

Con riferimento alla frequenza di acquisto dei prodotti, anche in questo mese l’alta e la media frequenza d’acquisto sono in aumento. In particolare, rispetto alle altre due categorie quella alta registra il più elevato incremento dei prezzi (+1,0% in termini congiunturali e +3,5% in termini tendenziali). Infine, per la “Core Inflation”1, si registrano una lieve variazione congiunturale positiva (+0,1%) e una variazione tendenziale piuttosto elevata (+1,3%).

Auto: a Brescia solo l’1,8% è elettrico o ibrido

in Automotive/Economia/Tendenze by
Auto elettrica, foto generica da Pixabay

A inizio anno, secondo l’analisi di Facile punto it e MiaCar punto it su dati ACI, le automobili elettriche e ibride presenti in Lombardia erano 155.299, vale a dire appena il 2,49% del parco auto della regione, percentuale che fa guadagnare a quest’area il primo posto nazionale. Nello specifico, erano immatricolate 144.943 autovetture ibride e 10.356 elettriche.

Seppur ancora relativamente contenuto, il numero delle vetture green in Lombardia è più che raddoppiato (+111%) negli ultimi due anni (erano 73.742 a fine 2018).  

Guardando la suddivisione a livello territoriale emerge che la provincia lombarda con la maggior penetrazione di vetture green è Milano dove le auto elettriche/ibride rappresentano il 3,21% del parco auto circolante, percentuale che fa guadagnare al capoluogo meneghino il secondo posto nella classifica nazionale. Seguono le province di Varese (2,86%), Como (2,72%) e Monza e Brianza (2,64%).

Valori sotto la media regionale per le province di Lecco (2,33%), Bergamo (2,15%), Cremona (2,06%), Brescia (1,82%) e Pavia (1,73%) Chiudono la graduatoria la provincia di Sondrio (1,63%), quella di Lodi (1,60%) e, all’ultimo posto, quella di Mantova (1,49%).

In valori assoluti, la graduatoria lombarda vede al primo posto ancora una volta la provincia di Milano con 58.342 vetture elettriche/ibride (seconda in Italia dopo Roma), seguita questa volta da quella Varese (17.092), Monza e Brianza (14.947), Bergamo (14.904) e Brescia (14.833). 

Continuando a scorrere la classifica si trova la provincia Como, dove le auto green sono 10.985, seguita da quella di Pavia (6.151), Lecco (5.109) e Cremona (4.630). Le province lombarde con meno auto elettriche/ibride sono quelle di Mantova (4.120), Lodi (2.281) e Sondrio (1.905).

Numeri forse piccoli ma destinati a crescere se si considera che, a livello nazionale, il 38% delle auto immatricolate nei primi 10 mesi del 2021 è elettrico o ibrido*; la percentuale se applicata alle immatricolazioni totali rilevate in Lombardia nel medesimo periodo, porterebbe il numero di veicoli green presenti sulle strade della regione ad oltre 230.000.

La crescente attenzione degli italiani verso i veicoli green è confermata anche dall’indagine commissionata da Facile.it e MiaCar.it agli istituti mUp Research e Norstat, da cui è emerso che quasi 7 automobilisti su 10 comprerebbero un’auto elettrica o ibrida (67,7%); più nello specifico, il 45,1% opterebbe per un’ibrida, mentre il 22,6% per una elettrica.

Auto elettriche: ragioni pro e contro

Continuando ad analizzare i risultati dell’indagine e scorrendo le motivazioni dei rispondenti che hanno dichiarato di essere disposti a comprare un veicolo elettrico o ibrido emerge che il 74,8% lo farebbe per contribuire in prima persona alla riduzione dell’inquinamento.

Molti, il 45,1%, sceglierebbero un’auto green per risparmiare sul carburante, mentre il 19,8% per avere meno limitazioni alla circolazione potendo, ad esempio, accedere alle aree Ztl così come consentito in alcune città d’Italia.

Tra le ragioni più diffuse per l’acquisto di un veicolo a basso impatto ambientale, indicata da quasi 1 automobilista su 3, vi è, infine, la paura che presto le auto diesel e benzina non potranno più circolare.

Guardando invece alle risposte di chi si è dichiarato contrario o indeciso, il 68% vede un grosso ostacolo nel prezzo di acquisto, il 43% nello scarso numero di punti di ricarica presenti sul territorio, mentre il 40% nella bassa autonomia di percorrenza di questi mezzi.

Gli incentivi e il budget di spesa

Gli incentivi hanno avuto un ruolo fondamentale nel sostenere la vendita di veicoli elettrici e ibridi. Va detto, però, che gli italiani sembrano essere, almeno sulla carta, favorevoli all’acquisto di auto green indipendentemente dalla presenza dei contributi statali.

Alla domanda “se non ci fossero i bonus governativi, lei acquisterebbe comunque un’auto elettrica o ibrida?” il 69,8% degli intervistati ha risposto affermativamente.

Un dato positivo che però rischia di scontrarsi con la realtà e, ancora una volta, con il costo di questi veicoli se si considera che dall’indagine è emerso che, per l’acquisto di un’auto elettrica o ibrida, gli italiani sono disposti a spendere, in media, 17.969 euro e addirittura quasi 1 su 2 non metterebbe a budget più di 15mila euro.

Senza l’aiuto degli incentivi, risulta difficile trovare veicoli ibridi in questa fascia di prezzo, missione che diventa praticamente impossibile per quelli elettrici al 100%.

Economia, bene il terzo trimestre bresciano: i dati della Camera di commercio

in Associazioni di categoria/Camera di commercio/Economia/Tendenze by

“L’economia bresciana prosegue nel suo trend positivo di crescita, in tutti i settori, anche nel 3° trimestre. L’auspicio è che questo ciclo positivo possa quanto più consolidarsi e divenire strutturale, anche se non mancano motivi che inducono ad una certa cautela (tensioni sul mercato dei prezzi delle materie prime su tutto)” E’ questo il commento del Presidente, Roberto Saccone, a seguito dell’elaborazione, a cura del Servizio Studi Camera di Commercio di Brescia,  dei dati Unioncamere Lombardia relativi alla situazione congiunturale al 3° trimestre 2021.

Industria manifatturiera

Il terzo trimestre 2021 riporta un quadro congiunturale per l’industria manifatturiera bresciana complessivamente positivo a prosecuzione del trend crescente già rilevato nei trimestri precedenti.

Nel confronto con il secondo trimestre la produzione industriale è cresciuta del 2,7%, sostenuta dalla crescita degli ordini sia interni (+4,1%) che esteri (+1,2%). In linea la crescita del fatturato che segna un +2,6%.

Molto positivi anche i risultati su base tendenziale: la produzione è cresciuta, rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno, del 13,7% e dato ancora più significativo si mantiene sopra il livelli pre-crisi con una variazione, rispetto al terzo trimestre del 2019, del 10,8%.

Le dinamiche espansive della produzione restano sostenute dagli ordinativi sia interni (+20,4% rispetto al 3 trimestre 2020) che esteri (+18,7% su base annua) che superano i livelli pre-pandemici (+15,3% gli ordini interni e +16,1% quelli esteri rispetto al terzo trimestre 2019). Ancora più intesa è la crescita del fatturato a prezzi correnti che segna un incremento del 22,1% sul 3 trimestre 2020 e un aumento – più alto della produzione- nel confronto col periodo pre-pandemico del 17,3% condizionato dagli aumenti dei prezzi dei listini che sta caratterizzando il periodo.

Il quadro d’insieme risulta promettente con un indice della produzione industriale, destagionalizzato, che si attesta a 124,6 ovvero il nuovo massimo storico resta importante l’aumento dei prezzi delle materie prime, dei beni energetici e dei costi di spedizione cresciuti nell’ultimo trimestre di un ulteriore 11,7%. Il fenomeno merita attenzione ancor più se si osserva lo stato delle giacenze delle materie prime che gli imprenditori bresciani giudicano scarse (il saldo tra giudizi di eccedenza e scarsità si conferma negativo e pari a -10,9 contro il -3,4 del trimestre scorso).

Tutti i settori nell’industria registrano un recupero consistente sul terzo trimestre 2020 ad eccezione dell’Abbigliamento (-1,9%) e delle Pelli-Calzature (-0,4%). Incrementi tendenziali a due cifre segnano la Meccanica (17,9%), la Siderurgia (+14,6%), la Gomma-Plastica (13,1%); segue la Carta Stampa (11,8%) e il Legno-Mobilio (9,0%).

I recuperi produttivi dell’industria bresciana (+13,7%) superano la media lombarda che chiude il trimestre con un incremento tendenziale del 12% e un aumento sui livelli pre-pandemici del 6,2%. Anche dal confronto con le province lombarde il ritmo di crescita bresciano risulta il più intenso dopo Como (14,5%).

L’occupazione per l’industria presenta un saldo positivo (+0,99%) e diminuisce il ricorso alla CIG: la quota di aziende che dichiara di aver utilizzato ore di cassa integrazione scende al 5,8% e la quota sul monte ore al 1,1%.

Le prospettive per il quarto trimestre restano positive per la produzione, domanda interna ed estera ma su livelli più contenuti rispetto al trimestre precedente, segno che gli imprenditori avvertono dei fattori di criticità per il futuro su cui potrebbero pesare l’incertezza sull’andamento dei prezzi dei materiali ma anche la disponibilità dei materiali di lavorazione e della componentistica.

Artigianato manifatturiero

Il terzo trimestre 2021 riporta un quadro congiunturale nel complesso positivo anche per l’artigianato manifatturiero bresciano.

Tra luglio e settembre la produzione industriale è cresciuta del 3,7%, il fatturato segna un +4,1% nel confronto con il trimestre precedente.

Molto positivi anche i risultati su base tendenziale: la produzione è cresciuta, rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno, dell’11,0% e dato ancora più significativo si porta sopra i livelli pre-crisi con una variazione, rispetto al terzo trimestre del 2019, del 7%.

Il recupero produttivo è sostenuto dagli ordini interni che crescono, su base annua, del 9,0% e riescono a superare sebbene di poco i livelli pre-crisi (+0,8%). Gli ordini provenienti dall’estero aumentano del 6,7% e segnano un +3,2% sul 3 trimestre 2019.

Il fatturato a prezzi correnti cresce del 10,5% nel confronto con lo stesso trimestre del 2020 e – così come per l’industria – in misura più intensa rispetto al periodo pre-pandemico totalizzando un incremento dell’8,5% che resta condizionato dalle dinamiche rialziste dei prezzi dei prodotti finiti.

Il miglioramento produttivo ha avuto importanti riflessi sullo stato del magazzino: i giudizi degli imprenditori vedono un aumento delle valutazioni di scarsità sia dei prodotti finiti (saldo pari a -13,02% contro il saldo del -9% del secondo trimestre) che delle materie prime (saldo pari -14,1% contro il -11,2 del trimestre scorso) indicando un possibile rischio di rallentamento dell’attuale recupero.

A ciò si associa, così come per l’industria, la tensione sui mercati delle materie prime i cui prezzi sono aumentati nel trimestre del 14,1% mantenendo ampia la forbice con i prezzi dei prodotti finiti che crescono del 6,5%.

Sul fronte settoriale il quadro dell’artigianato si presenta positivo ad eccezione del comparto moda (-4,5% Pelli-Calzature; -1,3% Abbigliamento). In aumento sui livelli produttivi del terzo trimestre del 2020: i Minerali non Metalliferi (24,1%), e il Legno- Mobilio (16,9%), la Meccanica (+12,7%), la Siderurgia (+8,9%) e la Gomma-Plastica (+17,9%).

Il confronto territoriale riporta un ritmo di crescita degli artigiani bresciani (+11,0%) superiore alla media regionale (+9,4%) e alle altre province lombarde. Si colloca al di sopra della media lombarda anche Lodi (+10,3%), Mantova (+10,2%), Varese (+10,2%), e Bergamo (+10,1%).

Il saldo occupazionale si conferma positivo ma moderato per l’artigianato (+0,5%), con ricorso alla CIG in diminuzione: il 7,3% delle aziende dichiara di aver utilizzato la cassa integrazione e la quota sul monte ore al 0,8%.

Le prospettive degli artigiani per il quarto trimestre restano positive e in miglioramento relativamente alla domanda interna e all’occupazione. Le aspettative sulla produzione si mantengono positive ma più caute rispetto al trimestre precedente.

Il commercio al dettaglio

Prosegue anche nel terzo trimestre il miglioramento del volume d’affari delle imprese del commercio al dettaglio: il fatturato cresce del 5,5%, nel confronto con il terzo trimestre del 2020 e dello 0,4% rispetto al trimestre scorso a conferma che il progresso della campagna vaccinale ed il calo dei contagi continua a produrre effetti positivi.

Procede il buon recupero del comparto non alimentare (+9,2%), che più degli altri comparti è stato penalizzato dalle misure restrittive adottate lo scorso anno. Gli esercizi non specializzati (in cui rientra la grande distribuzione a prevalenza alimentare) hanno segnato una crescita nel confronto con lo stesso trimestre dello scorso anno del 2,6%.

In rallentamento i negozi alimentari che riportano un calo del fatturato dell’1,0%.

La maggiore resilienza degli operatori del commercio al dettaglio bresciani si ricava dal confronto col dato medio regionale: le imprese del commercio lombarde riportano un recupero del fatturato su base annua del 4,2%, mentre rispetto alle altre province lombarde Brescia presenta la performance migliore (+5,5%) dopo Milano (+7,7%) e Como (+6,2%).

L’aumento dei prezzi delle materie prime che sta interessando tutti i comparti si riflette anche nei listini dei negozi del commercio al dettaglio: i prezzi, infatti, sono cresciuti rispetto al secondo trimestre dell’anno dell’1,2%, su cui pesano gli incrementi dei prodotti alimentari e non alimentari.

Sul fronte degli ordini ai fornitori il saldo tra dichiarazioni di aumento e diminuzione si mantiene segno positivo (+20,3%).

Relativamente all’occupazione il saldo tra ingressi e uscite resta positivo (+1,5%) per effetto delle richieste dei negozi non specializzati.

Le aspettative degli imprenditori per l’ultimo trimestre dell’anno riflettono l’avanzamento del clima di fiducia anche in vista delle festività di fine anno che tradizionalmente riportano un miglioramento della performance. I saldi tra ipotesi di aumento e diminuzione sono in aumento per il volume d’affari (+24,8%) e per gli ordini ai fornitori (16,2%). Prevalentemente stabili le attese sull’occupazione: il 75,5% degli imprenditori intervistati non prevede di aumentare l’organico.

Servizi

L’evoluzione della campagna vaccinale, unitamente alla riapertura delle attività, continua a dare vigore al comparto dei servizi.

Nel terzo trimestre del 2021 il fatturato delle imprese dei servizi con più di 3 addetti riporta una crescita robusta (+14,7%) sullo stesso periodo del 2020. I risultati positivi sono confermati dal confronto con il secondo trimestre dell’anno, rispetto al quale il fatturato dei servizi è aumentato del 5,6%. Il risultati migliori del fatturato si confermano quelli conseguiti dal commercio all’ingrosso (+14,7% su base annua) e dai servizi alle imprese (15,1%) che continuano il percorso di crescita.

Le attività di alloggio e ristorazione e i servizi alla persona, le più colpite dagli effetti della pandemia, segnano un sensibile aumento del fatturato rispettivamente del 14% e del 14,6%% rispetto al terzo trimestre del 2020.

La dinamica del fatturato bresciano si colloca al di sotto del dato medio regionale, che aumenta su base annua, del 14,7%.

L’aumento del livello dei prezzi delle materie prime continua a evidenziarsi sul settore dei servizi dove i listini sono aumentati dell’1,8% sul trimestre precedente. L’aumento si conferma più marcato nel commercio all’ingrosso (comparto più esposto alle filiere internazionali e alle tensioni che la ripresa sta generando sui mercati delle materie prime) e nel comparto turistico (+1,7%).

Sul fronte occupazionale il saldo tra ingressi e uscite nel trimestre è leggermente positivo (+0,5%) ed è trainato dai servizi alle persone. Tuttavia, al netto degli effetti stagionali, l’occupazione riporta un calo, seppure leggero, dello 0,1%.

Le aspettative degli imprenditori dei servizi per il quarto trimestre del 2021 si confermano positive ma più caute rispetto ai trimestri precedenti: aumenta, infatti, la quota di imprese che non si aspettano variazioni del fatturato e dell’occupazione per la fine dell’anno.

IL CAMPIONE UTILIZZATO

I dati presentati derivano dall’indagine congiunturale realizzata da Unioncamere Lombardia ed elaborati dal Servizio Studi della Camera di Commercio. Il campione industria comprende imprese con più di 10 addetti, mentre i campioni artigianato, commercio e servizi comprendono imprese con più di 3 addetti. Nel terzo trimestre 2021 per l’indagine congiunturale sono state realizzate 771 interviste

Indagine Aib: il sistema Brescia ha retto l’urto del Covid

in Aib/Associazioni di categoria/Economia/Salute/Tendenze by

Il “Sistema Brescia” ha retto l’impatto della crisi da Covid-19. A evidenziarlo è l’indagine condotta da Confindustria Brescia e Deloitte, presentata oggi nell’evento “GRUPPI INDUSTRIALI – Le risposte del “Sistema Brescia” alla crisi. Analisi sui bilanci 2020 e strategie post-Covid-19”, organizzato nella Sala Beretta di Confindustria Brescia in collaborazione con l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Brescia.

Dopo i saluti di apertura di Patrizia Apostoli (Ordine Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Brescia) e i contributi tecnici di Davide Fedreghini (Centro Studi Confindustria Brescia) e Riccardo Pastore (Partner, Financial Advisory Deloitte), sono intervenuti, moderati da Massimiliano Del Barba (Corriere della Sera), Franco Gussalli Beretta (Presidente Confindustria Brescia) e Antonio Solinas (AD, Financial Advisory Deloitte).

Durante l’incontro sono state analizzate le dinamiche economico-finanziarie sperimentate nel 2020 dai 90 principali gruppi industriali bresciani a vocazione manifatturiera – che contano ricavi complessivi pari a 14,2 miliardi di euro e oltre 47mila addetti – e sono state discusse le strategie post-Covid messe in campo dagli stessi, così come emergono da un’indagine realizzata dal Centro Studi di Confindustria Brescia con il Financial Advisory di Deloitte.

Tra i principali risultati di bilancio nel 2020, dall’analisi condotta dal Centro Studi di Confindustria Brescia emergono i seguenti:

  • Tutti i principali indicatori reddituali e di sviluppo dei gruppi industriali bresciani hanno evidenziato un ridimensionamento, giustificato dalla recessione globale a seguito della pandemia da Covid-19. Tuttavia, i risultati appaiono nel complesso confortanti, se analizzati alla luce della più grande recessione mondiale dal Secondo Dopoguerra. In particolare, i ricavi sono calati mediamente in doppia cifra (-10,4%), con limitate differenze tra Italia (-11,9%) ed estero (-10,0%). Il calo totale del MOL (Margine Operativo Lordo) è pari al -17,2%, mentre il rapporto MOL/Ricavi mostra segnali di tenuta e si attesta al 10,6% (-0,8% sul 2019).
  • Il ricorso all’indebitamento bancario è notevolmente cresciuto. Tale movimento è stato tuttavia accompagnato da una ricomposizione delle scadenze, ora maggiormente orientate sul medio-lungo termine, che rappresentano il 56,0% del totale (erano il 47,7% nel 2019). Il dato certifica il minor rischio collegato al rinnovo dei prestiti in scadenza.
  • La liquidità a disposizione dei gruppi ha subito un’impennata (+43,5% rispetto a fine 2019), giustificata dai minori investimenti, in coerenza con il clima di incertezza vissuto nel corso dell’anno, e dalle maggiori risorse ottenute dall’attività di finanziamento.
  • La crisi del 2020 si caratterizza per una minore sofferenza dei principali aggregati di Conto Economico rispetto alla «Grande recessione» del 2008/09, quando i ricavi fecero segnare flessioni superiori al 30% e il MOL del 45,7%. Ciò è stato possibile anche grazie al generalizzato rafforzamento del made in BS nel corso di questi anni.
  • Le prospettive per l’anno in corso sono orientate a un importante recupero delle vendite (+23% sul 2020), tali da superare abbondantemente i livelli del 2019 (+11%); una dinamica in cui i forti rialzi dei prezzi delle materie prime industriali giocano un ruolo non marginale.

Per quanto riguarda invece la survey condotta da Deloitte, sono due le principali evidenze emerse:

  • I gruppi industriali del territorio bresciano hanno risposto alla crisi focalizzandosi sul miglioramento dei livelli di liquidità (quasi la metà delle aziende ha differito i piani di investimento e agito sul circolante) e sulla ridefinizione della struttura di indebitamento in ottica di sostenibilità di medio-lungo termine (2 aziende su 3 ha fatto ricorso alla finanza garantita); l’iniziale approccio reattivo alla pandemia si è rapidamente trasformato in un’occasione, per la maggior parte delle aziende, per ripensare ai propri modelli operativi per migliorare la competitività di lungo periodo (oltre il 60% ha lanciato negli ultimi 12 mesi iniziative di digitalizzazione, RPA e innovazione di prodotto).
  • L’M&A ha continuato a rappresentare un importante strumento di creazione di valore per i Gruppi bresciani; se nei primi mesi della pandemia il razionale delle operazioni è stato principalmente la messa in sicurezza della supply chain (1 azienda su 10 ha concluso acquisizioni negli ultimi 12 mesi), per il prossimo futuro la natura delle operazioni sarà invece maggiormente indirizzata all’internazionalizzazione ed al consolidamento (1 azienda su 3 dichiara di volere fare acquisizioni nei prossimi 12 mesi).

“Nonostante le inevitabili ricadute della pandemia da Covid-19, il sistema imprenditoriale bresciano si è mostrato capace di reggere la crisi, grazie anche alla sua capacità di rafforzare, nell’ultimo decennio, la dotazione patrimoniale e di continuare a crescere in termini di export – commenta Franco Gussalli Beretta, Presidente di Confindustria Brescia –. Da questo punto di vista, è interessante sottolineare le differenze con la Grande Recessione del 2008/09, che aveva segnato flessioni dei ricavi superiori addirittura al 30%. Oggi ci troviamo di fronte a un contesto rinnovato e a una nuova, grande opportunità, dettata dall’aumento della liquidità a disposizione: serve investire nel modo giusto questi fondi, su temi centrali quali l’innovazione digitale, il capitale umano e la sostenibilità. Tre cardini che rappresentano anche il cuore del nostro programma di presidenza per il quadriennio sino al 2025, e che dovranno affiancarsi, necessariamente, alla capacità di intercettare ulteriori fondi grazie al PNRR.”

“Quello che tutti abbiamo capito da questi mesi di pandemia è che i consumi e i mercati di sbocco possono cambiare in maniera molto repentina – aggiunge Antonio Solinas, Amministratore Delegato di Deloitte Financial Advisory –. Il Sistema Brescia, forte di un altissimo merito creditizio e di una significativa liquidità accumulata in questo difficile periodo, può sicuramente essere protagonista nel cambio di passo necessario ad affrontare le sfide post-pandemia. Occorre quindi sforzarsi per guardare al lungo termine con piani ambiziosi e, perché no, con un ripensamento del business-model che in alcuni ambiti sembra già in corso, anche con l’obiettivo di sfruttare al meglio e in maniera propositiva le opportunità che arriveranno dal PNRR.”

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