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Insegnare a fare l’imprenditore, si può | di Bortolo Agliardi

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di Bortolo Agliarti – La crisi – quella che sperabilmente ci stiamo lasciando alle spalle – come tutte le crisi ha qualche aspetto positivo. Secondo la nota riflessione di Albert Einstein, in realtà le crisi sono vicende tutte positive, tutte taumaturgiche, perchè impongono schemi nuovi, indicano strade alternative, segnalano nuove opportunità. Sono considerazioni che hanno il loro valore, anche se, guardandomi alle spalle e segnando le molte aziende in questi anni scomparse e quindi mettendo in conto le fatiche e le lacrime di tanti artigiani, faccio onestamente fatica a gridare “viva le crisi”.

Ma bisogna convenire che su un aspetto, questa tremenda crisi un qualche beneficio l’ha portato. Ed è, a mio parere, una convinzione nuova, diffusa, ragionata, circa la necessità di avere un lavoro; si è un po’ capito – forse più che in precedenti situazioni di difficoltà, forse perchè appunto questa crisi è stata particolarmente feroce – che il lavoro è vita, che senza si fa fatica non solo a tirare a fine mese ma anche a vivere, a dare un senso più pieno alla vita. Il lavoro, parafrasando un vecchio adagio, è come l’aria: ne capiamo l’importanza quando viene a mancare. Il lavoro, quindi, come condizione privilegiata, non come una condanna come lo si leggeva fino a qualche tempo fa. Se quindi il lavoro è importante, importantissimo, a come crearlo, come mantenerlo, come accrescerlo, vanno dedicate attenzioni particolari. Naturalmente ci sono tante cose da fare per ottenere questo obiettivo: fisco più semplice, tasse più basse, incentivi allo sviluppo, agevolazioni a chi vuole fare impresa eccetera eccetera. Ma c’è un aspetto che a mio avviso si sottovaluta, ovvero il ruolo della scuola. Ma come, si potrà obiettare, che c’entra la scuola con il creare lavoro? La scuola deve guidare, preparare e insegnare. Appunto: perchè la scuola non può considerare anche questo aspetto: insegnare a fare l’imprenditore. Intuisco le possibili obiezioni (la scuola ha già tanto da fare, i mezzi sono pochi, poi ci sono i programmi, le leggi e via elencando). Intuisco, ripeto, e in parte comprendo.

Settembre è iniziato e sò bene che il problema primo di presidi e dirigenti è quello di avere cattedre coperte, come si dice, evitando sperabilmente i vuoti e i problemi dello scorso anno. E quindi d’accordo: vediamo e speriamo di partire col piede giusto e di metterci in carreggiata. Ma poi, più avanti, è così impossibile immaginare di avviare un confronto con le associazioni di categoria delle imprese per vedere se e come sia possibile immaginare di insegnare a fare l’imprenditore. Penso naturalmente alle scuole superiori, e non necessariamente agli ultimi anni. Perchè non si potrebbe insegnare a fare l’imprenditore? Perchè non si dovrebbe poter cominciare a spiegare, ad esempio, che cos’è un artigiano, come si diventa, che cosa può fare, che problemi si incontrano ma anche che soddisfazioni dà l’essere padroni di se stessi; perchè non fare incontrare degli artigiani con i ragazzi, capire un mestiere, scoprire le curiosità e sentire dai nostri artigiani perchè hanno deciso (al tempo) di diventare tali e perchè hanno continuato a farlo anche se, magari, avevano qualche alternativa di lavoro. Oppure perchè non raccontare ai nostri ragazzi che l’innovazione non è solo alta tecnologia (anche se ovviamente ci sono artigiani che utilizzano tecnologie avanzatissime) ma che l’innovazione, generata da menti fresche, si presta ad essere inserita anche in mestieri “antichi”.

Perché non dare la possibilità agli insegnanti di conoscere meglio il tessuto produttivo artigiano, le caratteristiche e soprattutto le potenzialità? Sono convinto che anche gli insegnanti apprezzerebbero l’opportunità e lo stimolo di conoscere da vicino un mondo ai più sconosciuto. Perchè, in una parola, non avvicinare di più la scuola alle imprese, perchè non considerarle complementari. In fondo, entrambi – la scuola e le imprese – la stessa cosa vogliamo per i nostri giovani: un futuro migliore; siamo – la scuola e le imprese – un po’ la doppia faccia di una medaglia unica. Solo che, come nella medaglia, il fronte e il recto non si guardano. Spesso così accade. E questo non è positivo. Faccio queste considerazioni offrendo la disponibilità mia personale e quella dell’Associazione che presiedo: ci fosse qualche scuola interessata ad approfondire il tema noi ci siamo. Vediamoci e vediamo se e come un possibile primo percorso in questo senso sia possibile, con l’augurio che, come detto agli inizi, l’avvio del nuovo anno scolastico sia un po’ meno tribolato di quello passato.  ​

Presidente Associazione Artigiani

Salute e bellezza, a Brescia le imprese sono 1.485

in Economia/Partner 2/Salute/Servizi/Tendenze by

Sono oltre 11 mila le imprese attive nel settore del benessere e fitness in Lombardia nel 2017, in crescita del 3,3% in un anno. Pesano quasi un sesto di tutte le imprese attive in Italia nel comparto (68 mila) grazie anche alla presenza tra le prime dieci province italiane di tre lombarde: Milano con 3.693 imprese, il 5,4% nazionale, al secondo posto per attività dopo Roma (7,8%), Brescia sesta con 1.485 imprese e Bergamo settima con 1.304. La Lombardia pesa soprattutto nel settore delle palestre, concentrando il 21% delle attività italiane, nei centri benessere (30%) e nei servizi di manicure e pedicure (22,7%) e di bellezza (18%). Forte anche la presenza di imprese lombarde nel settore del commercio di prodotti macrobiotici e dietetici (183 sedi di impresa su 1.054 in Italia, il 17,4% del totale). Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano su dati registro imprese al primo trimestre 2017 e 2016.

In aumento la presenza delle imprese straniere. Sono 1.226 nel 2017 in Lombardia, 5.316 in Italia e crescono rispettivamente del +16,9% e +7,8% tra 2016 e 2017 contro una crescita generale del settore che si ferma al +3,3% in regione e al +1,8% a livello nazionale. Le imprese straniere pesano soprattutto a Milano dove sono ormai il 17,2% del settore, a Brescia (10,9%) e Como (9,4%) mentre crescono di più a Lecco (+53,8%), Pavia (+32,3%) e Bergamo (+24,7%).

Le province lombarde. Milano è prima in regione con 3.693 imprese, il 32,8% lombardo e una crescita del 4,4% in un anno. Poi, per numero di attività, vengono Brescia (1.485 imprese e +1,8% tra 2016 e 2017), Bergamo (1.304, +3,2%) e Varese (1.004, +2,9%). Monza è quinta (861 imprese, +2,5%). Le crescite maggiori in un anno si registrano a Mantova (+5%) e Sondrio (+4,6%).

Il benessere fa impresa in tutta Italia. Sono 67.917 le imprese del settore, +1,8% in un anno trainate dalla crescita dei servizi di pedi-manicure, +11,4%. Prima è Roma dove si concentra il 7,8% delle attività italiane legate al fitness e benessere (5.294), specializzata per lo più in istituti di bellezza (2.591). Al secondo posto Milano (3.693), prima per centri benessere (462) e palestre (292), al terzo Napoli (3.001) che tallona Roma nelle attività del commercio specializzato (cosmetica, profumerie ed erboristerie) con 1.241.

Ordini on line, in sei mesi 650mila pacchi consegnati da Poste e Sda

in Economia/Partner 2/Tendenze/Terziario/Web e digitale by

Nei primi sei mesi dell’anno i volumi di pacchi consegnati attraverso la rete dei portalettere e del corriere espresso del Gruppo (SDA) hanno quasi raggiunto, in provincia di Brescia, le 650.000 unità da ordini effettuati su Internet (oltre 4.700.000 in Lombardia). A livello nazionale la provincia di Brescia è al sesto posto per volumi di acquisti online consegnati dagli incaricati di Poste Italiane, preceduta in Lombardia solo dalla provincia di Milano.

Insomma: la tradizionale borsa del portalettere si svuota delle classiche lettere e cartoline per riempirsi di pacchi. Dotato di palmare, Pos e stampante, il postino telematico versione 2.0 viaggia equipaggiato di una vera e propria piattaforma tecnologica, che garantisce sicurezza ed efficienza nel processo di recapito. In provincia di Brescia i portalettere che si occupano del recapito di pacchi sono 635.

FONTE: BSNEWS.IT

Intred, i conti tornano: Ebitda a 4,06 milioni di euro

in Aziende/Città e Hinterland/Economia/Partner 2/Smart Economy/Web e digitale/Zone by
Daniele Peli di Intred

Intred vola alla velocità della fibra ottica. Anzi della luce. Il 2016 dell’azienda bresciana, infatti, è stato particolarmente positivo, con una crescita dei ricavi del 26,5 per cento rispetto all’anno precedente (a quota 11,87 milioni di euro). In netta crescita anche l’Ebitda (utile al netto delle imposte, interessi e ammortamenti) che si è attestato a quota 4,06 milioni con una crescita del 63 per cento, mentre lil risultato netto ammonta a 1,63 milioni: l’89 per cento in più dell’anno precedente. Numeri che ovviamente non possono che dare soddisfazione all’azienda guidata da Daniele Peli, che dà lavoro a 46 famiglie, e che segnano una tendenza di continua progressione nell’ultimo quinquennio. Con la preivisione di un incremento dei ricavi di un ulteriore 20 per cento nel 2017.

L’azienda bresciana si occupa di connettività in banda larga e ultralarga, connettività wireless, telefonia fissa, servizi cloud e connettività per l’utenza residenziale. Nel Bresciano – secondo quanto riportato da Bresciaoggi – Intred può vantare una quota del mercato nel settore pari al 4,9% del totale (5,3% nel settore business e 3,8% nel settore residenziale): non poco se si pensa che i concorrenti di mercato sono  colossi come Telecom Italia, Fastweb, Vodafone e Wind.

Customer Journey: 5 passi per reinventare la relazione con il cliente | INNOVATION CLUB

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(a cura di Innovation Club) “Un viaggio di mille miglia comincia sempre con il primo passo.” Con l’emergere di una nuova generazione di clienti – immersi in un ecosistema digitale – le aziende non possono più fare affidamento sulla customer journey map tradizionale. Ovvero ogni singola mappa che abbia più di cinque anni.

Il mondo intorno a noi è cambiato – e continua a cambiare – così velocemente che tutto ciò che era utile allora potrebbe non esserlo più oggi. L’esperienza dei clienti cambia e, con essa, le regole dell’engagement e della loyalty.

Qual è, quindi, la differenza tra il customer journey tradizionale e il digital customer journey? Proviamo a schematizzare i due processi di seguito:

Viaggio tradizionale: una sequenza dall’awareness all’acquisto e poi alla loyalty, attraverso pochi punti di contatto (conosciuti e presidiati dalle aziende). Il cliente può scegliere tra una serie limitata di alternative; la comunicazione è mono-direzionale e gestita dal brand; la scelta è influenzata da fattori quali pubblicità, prezzo, abitudine e dalle opinioni di una cerchia ristretta di influencer.

Viaggio digitale: un percorso circolare che attraversa numerosi punti di contatto, sia fisici che virtuali. La mappa non necessariamente inizia dalla awareness o finisce con la loyalty. Il cliente può scegliere tra un set potenzialmente infinito di alternative, e la scelta quasi mai è influenzata da pubblicità, prezzo o abitudine. Le opinioni fidate ora includono anche le comunità online (social network, recensioni sui siti e-commerce, forum, blog), persone che conosco a stento o non conosco affatto.

Se il client journey definisce i presupposti della tua strategia di marketing, a sua volta viene determinato da fattori sempre diversi, e spesso fuori dal controllo dell’azienda:

> Aumento del potere d’acquisto dei clienti più giovani – i millennial così esigenti, consapevoli e pronti a spendere.

> Diffusione dei dispositivi mobile – smartphone, tablet, smartwatch.

> Crescita delle tecnologie connesse – activity tracker, tecnologia indossabile, Internet delle Cose.

> Comparsa dei micro momenti – interazioni in tempo reale, determinate da esigenze specifiche.

Le persone nate e cresciute in un ecosistema digitale sono sempre connesse e in costante bilico tra fisico e virtuale. Costruiscono la loro identità interagendo con le loro community offline e online, e non riconoscono altra modalità di esperire il mondo.

In un mercato reso sempre più piatto dalla globalizzazione, i digital customer mostrano un netto rifiuto nei confronti della massa, sensazione ancora più urgente quando si parla di decisioni d’acquisto. Il rigetto della massificazione costringe le aziende a focalizzare sforzi e budget sulla personalizzazione, mettendo al centro del discorso la customer experience piuttosto che il prodotto.

Se davvero i clienti si ritrovano a dover scegliere tra decine – se non centinaia – di alternative, perché dovrebbero scegliere proprio te? È evidente che non stai combattendo solo contro il tuo vicino; ti trovi nel bel mezzo di una battaglia con migliaia di protagonisti. In un contesto simile, anche il prodotto migliore del mondo potrebbe non essere sufficiente per vincere.

La soluzione – dovrebbe ormai essere chiaro – è puntare sulla customer experience, che diventa il vero elemento di differenziazione. E la creazione di una nuova journey map rappresenta la base di un’esperienza davvero innovativa e coinvolgente. Non fosse che i clienti oggi pretendono un approccio personalizzato, con il risultato che identificare pattern comuni diventa sempre più difficile.

Esistono, però, dei requisiti base che non sono cambiati da quando il concetto di customer journey map è stato introdotto per la prima volta. Anche se il quadro di riferimento cambia con l’evolvere della tecnologia, questi sono – e saranno sempre – le fondamenta della pianificazione:

> Clienti

> Ricerca

> Touch point

> Obiettivi (di azienda e cliente)

> Misurazione

Possiamo distinguere due forze contrastanti: da un lato la necessità, da parte delle aziende, di raggiungere i clienti fin dalle prime fasi del viaggio; dall’altro la moltiplicazione dei punti di contatto, che rende sempre più difficile per le stesse conoscere i propri clienti. Le metodologie classiche non sono più in grado di mostrare cosa davvero le persone pensano e fanno prima di entrare su un sito o in un negozio.

Ecco perché hai bisogno di una nuova metodologia, che tenga conto dei cambiamenti e parta dall’identificazione dei seguenti nodi focali.

RIVOLUZIONA IL VIAGGIO

Ogni singolo trend evolutivo che abbiamo segnalato finora porta alla inevitabile rivoluzione del journey. Non c’è valore alcuno in una mappatura che ignori le differenti fonti di interazione generate a ritmo continuo dalla tecnologia. L’innovazione estende la relazione tra brand e clienti, producendo valore aggiunto per entrambi. Il brand migliore è quello che osserva con attenzione ciò che accade, ed è pronto a raccogliere la sfida per trovare nuove modalità di engagement per conquistare il cuore dei clienti.

NON DIMENTICARE IL CLIENTE

Qual è l’elemento centrale del viaggio? Il viaggiatore, naturalmente. Eppure sareste sorpresi di scoprire quanti professionisti disegnano la mappa partendo dall’azienda piuttosto che dai clienti. Dal momento che lo scopo ultimo è di migliorare la customer experience, però, l’unica strada che porta al successo è quella che parte dalla prospettiva del cliente: analizza e descrivi non tanto l’esperienza che tu vorresti offrire quanto quella che i clienti vorrebbero ricevere da te.

STUDIA IL COMPORTAMENTO

Abbiamo detto che conoscere clienti che urlano la loro unicità non è affatto semplice. Questo non significa certo che devi rinunciare a studiare il loro comportamento. La chiave per migliorare la strategia è comprendere come i digital customer decidono cosa e come comprare. Non tutti i percorsi nascono uguali: le persone partono da punti diversi, attraversano fasi diverse e decidono in base a criteri differenti. Se non riconosci questa diversità non potrai mai pianificare contenuti e azioni tagliate su misura.

PENSA MOBILE, AGISCI LOCAL

La tecnologia mobile ha contribuito a plasmare la connessione tra clienti e aziende – influenzando il tempo e lo spazio dell’interazione. Secondo un recente report di Nielsen, la metà dei clienti considera il mobile come la risorsa più importante nella fase di decisione di acquisto. Le piattaforme mobile già ora raccolgono il 60% del tempo totale speso sui digital media. La tua strategia dovrebbe pensare mobile e agire local, combinando localizzazione e comportamento per costruire contenuti utili, ovunque i clienti si trovino.

SBLOCCA IL POTERE DEI DATI

Sebbene sia diventato più difficile comprendere cosa fanno le persone nelle prime fasi del journey, d’altro canto le aziende possono sfoderare una nuova arma per cambiare le carte in tavola. Un’arma chiamata Big Data. Le tecnologie connesse generano una quantità incredibile di informazioni sul percorso del cliente. Una mole che le aziende devono imparare a plasmare per sbloccare il vero potere dei dati. Ciò che crea il vero valore, infatti, non è l’informazione in sé ma l’utilizzo che ne fai.

Sviluppare e fidelizzare il rapporto con i clienti – 5 Lezioni dal mondo dello sport

in Economia/Innovation club/Partner 2/Rubriche by

(A CURA DI INNOVATION CLUB) La più grande lezione di loyalty dal mondo dello sport si può riassumere in una frase: se non ti alleni con costanza, per garantire la migliore performance e superare i tuoi limiti, non riuscirai mai a vincere. E i fan non ti seguiranno mai. Applicata al digital marketing, questa regola si traduce così: Per conquistare il cuore dei clienti, dovrai lavorare sodo per coinvolgerli in una customer experience innovativa e unica. Il segreto del customer engagement.

Che tu sia appassionato di sport o meno, è innegabile che, quando si parla di loyalty, le aziende abbiano molto da imparare da quanto accade in campo, negli spogliatoi e dietro le quinte di una squadra. Calcio, rugby, basket, pallavolo: quando pensi allo sport – in tutte le sue declinazioni – sei portato ad associare immagini che parlano di sudore, muscoli, concentrazione estrema, adrenalina. Una esperienza di fango e passione. Pur non volendone negare il lato romantico, bisogna però ammettere che oggi lo sport è molto di più. È marketing. È tecnologia.

Sono ormai lontani i giorni in cui l’esperienza dei fan era basata interamente su quanto accadeva sul campo. Per quasi 80 anni, radio e televisione hanno guidato l’immaginazione delle persone, rappresentando il driver incontrastato di innovazione tecnologica nello sport. Poi, però, è successo qualcosa che ha riscritto le regole. D’un tratto, i fan non erano costretti a vivere l’esperienza dagli spalti o dal divano. La rivoluzione dello smartphone ha provocato una rivoluzione in quella che abbiamo chiamato ‘sport customer experience’: Internet è diventato mobile, e così le persone, i clienti.

La digital transformation, segnata proprio dalla diffusione degli smartphone e dall’emergere dei network sociali, ha plasmato – innovazione dopo innovazione – un nuovo modo di intendere l’esperienza ‘live’ di un evento. Così noi non viviamo lo sport come facevano i nostri padri; non pratichiamo lo sport come facevano i nostri padri. Da ‘sportivi’ ci siamo ritrovati ad essere ‘sportivi digitali’. Nonostante la sua natura ‘fisica’, l’industria sportiva si è sempre dimostrata molto ricettiva quando si trattava di sperimentare nuove tecnologie. Allenamento, organizzazione manageriale ed esperienza dei fan; non c’è ambito che non sia stato toccato dall’innovazione:

Smartphone – ogni squadra che si rispetti ha la sua app ufficiale, attraverso la quale offre un accesso privilegiato (e contenuti esclusivi) per consentire ai fan di essere sempre aggiornati.

iBeacon – la sfida, per molte federazioni, è di far alzare i tifosi dai divani e portarli allo stadio. La tecnologia iBeacon è già stata utilizzata per aumentare l’esperienza, sfruttando le dinamiche di gamification e le offerte personalizzate.

Activity tracker – che tu sia ossessionato dal fitness o uno sportivo della domenica, è molto probabile che tu sia stato già catturato dalla moda del self-tracking. La rivoluzione della tecnologia indossabile è, prima di tutto, una rivoluzione dello sport.

Smartwatch – le nuove versioni di Apple Watch e Android Wear dimostrano (se ce ne fosse bisogno) che l’orologio intelligente è il compagno ideale per chi pratica sport (sensori) e chi si limita a guardarlo (notifiche push).

A conti fatti, i tifosi non sono più costretti a vivere il match nella maniera tradizionale. Lo stadio e il televisore sono diventati solo due tra i tanti punti di contatto di un viaggio che si muove attraverso canali diversi. La consequenza di questo discorso è evidente: nella nostra epoca non esiste business senza tecnologia. Le squadre diventano brand, i brand diventano aziende. Questo passaggio implica un impegno costante per incrementare vendite e profitti, mantenendo ben saldo il focus su ciò che conta davvero: i tifosi, meglio noti come clienti. Customer engagement e loyalty rappresentano il pane quotidiano per i brand impegnati nell’agone sportivo. La necessità di ottimizzare l’esperienza, in ogni passaggio del customer journey, diventa quindi essenziale tanto quanto vincere una partita. E, quando si tratta di rispetto dei clienti e consapevolezza del loro valore, il mondo dello sport ha davvero tanto da insegnare. Abbiamo cercato di riassumere il tutto in 5 lezioni di customer engagement.

SENSO DI APPARTENENZA

Nessun team è come gli altri. Ogni squadra nasce da un percorso storico diverso è si fa portavoce di valori distintivi, narrati attraverso uno storytelling unico. Ogni azione di marketing deve trasferire questa unicità ai tifosi attuali e potenziali. La sfida inizia ancora prima di scendere in campo, giocata sul senso di appartenenza ed esclusività. Lo stesso che dovresti ricreare con il tuo brand.

YOU NEVER WALK ALONE

Citando lo storico inno del Liverpool, ci chiediamo quale sia il segno distintivo di un brand. Cosa trasforma un insieme di persone in un simbolo per milioni di persone in tutto il mondo? Non i titoli vinti, né il merchandising o i biglietti venduti. La linfa vitale di ogni grande squadra è la lealtà e devozione che, proprio nello sport, dimostrano in pieno il loro valore strategico. Lealtà non solo dei fan ma anche – e innanzitutto – di chi lavora per te.

LA PASSIONE È OVUNQUE

Il segreto di una sport customer experience di alto livello è nella natura omni-canale della relazione che si instaura tra una squadra e il tifoso. Le persone non vivono più in un unico canale; passano da analogico a digitale in un tap, usano lo smartphone per essere sempre connessi. Le aziende sportive hanno compreso il valore di questa connessione, utilizzando ogni tipo di tecnologia per coinvolgere i digital customer: app, social media, video, eventi.

SUPERA I TUOI LIMITI

Il successo nello sport è questione di allenamento e miglioramento continuo: ogni atleta conosce i propri punti di forza, e li utilizza per nascondere le debolezze che tutti – esseri umani e aziende – hanno. Ancora più importante, i campioni non si accontentano mai. Una vittoria è solo il punto di partenza per battere nuovi record. Questa dovrebbe essere anche la tua filosofia: evidenzia le qualità del brand, investi in sviluppo e non ti cullare mai sugli allori.

CONOSCI IL TUO MONDO

Come puoi comprendere cosa vogliono i tuoi clienti? Come puoi anticipare i tuoi avversarsi, e capire la direzione verso cui muove il business? La risposta è ‘analisi’. Così come non c’è sport senza tecnologia, oggi non c’è sport senza analisi di tutti quei dati che proprio la tecnologia produce. Lo scopo è di migliorare la performance, conoscere il contesto e vincere ancora prima di battersi. In poche parole è questa l’essenza della predictive analytics, che proprio nello sport ha trovato uno dei suoi campi di applicazione privilegiati. Accumulare una gran mole di dati per conoscere meglio mercato e cliente è inutile se poi non si utilizzano per costruire una digital customer experience davvero innovativa e coinvolgente.

I motivi che causano il fallimento delle Startup digitali nella Lombardia Orientale – La Survey di Innovation Club

in Economia/Innovation club/Partner 2/Rubriche/Startup by

Da una recente analisi realizzata da Innovation Club  si evidenzia che sul territorio della Lombardia Orientale (Province di Bergamo, Brescia, Mantova e Cremona) dal 2013 ad oggi sono nate 261 Startup innovative che hanno un focus su “servizi digitali”. Questo elenco comprende sia realtà che forniscono servizi innovativi al pubblico sia che realizzano servizi B2B.

Oggi 4 anni dopo il 45% di queste Startup è stato messo in liquidazione. E’ una percentuale di insuccesso alta ma comunque minore della media nazionale che si attesta intorno al 55%. Molti imprenditori di queste Startup sono non giovani alla prima esperienza ma professionisti che conoscono molto bene il mondo della tecnologia e magari in tante altre esperienze hanno ottenuto risultati importanti e riconosciuti. Abbiamo nell’ultimo mese incontrato alcuni di questi e raccolto le loro impressioni.

Ringraziamo molto chi ha fatto con noi queste conversazioni. A nessuno fa piacere parlare di un’iniziativa non andata secondo le aspettative ma da anche da esperienze di questo tipo si ricavano indicazioni molto importanti.  La storia dimostra che i più grandi startupper, coloro che hanno realizzato le iniziative di maggior successo, sono partiti quasi sempre da dei progetti non riusciti. Il mondo degli incubatori, acceleratori e degli eventi sull’innovazione tendono spesso a raccontare con enfasi le storie di successo mentre e non si offre a volte la giusta evidenza a queste riflessioni preziose per tutti.

Ecco una lista dei sette principali motivi di insuccesso di una startup lombarda e qualche suggerimento per cercare di superare queste problematiche: 

1. La mancata individuazione del modello di business.

ll principale fattore di crisi di una startup è legato al disallineamento tra il modello di business che l’imprenditore ha in mente ed il mercato. Ideare un modello di business è apparentemente molto semplice ma la capacità di operare su tutte le sfumature che lo rendono un successo non è affatto banale. Se una marca importante investe centinaia di migliaia di euro nelle analisi “pre-birth” per il lancio di un prodotto e un servizio vuol dire che nulla si può improvvisare. Posto che non si potrà mai avere tutto sotto controllo approcciare il proprio modello di business in modo flessibile è molto importante per attenuare questo elemento di complessità.

2. I litigi tra soci operativi e finanziari. 

All’interno di una “garage start-up” spesso identifichiamo dei soci che hanno operativamente sviluppato il progetto e coloro che hanno aiutato a nascere il progetto portando o trovando le prime risorse. Le maggiori conflittualità si verificano quando i secondi non comprendendo al pieno le dinamiche evolutive del progetto si sentono estraniati dallo spesso facendolo nascere dubbi. Famoso è il caso di Facebook dove il socio operativo Zuckerberg ha pesantemente contrastato il socio finanziario Eduardo Luiz Saverin. La storia è stata descritta nel famoso film “The Social Network”. Per questa ragione è fondamentale che i tutti soci anche quelli finanziatori siano l più possibile coinvolti e consapevoli dell’iniziativa imprenditoriale.

3. L’iniziativa è approcciata come un progetto e non come un’impresa. 

Nell’antichità i condottieri per conquistare un’isola facevano bruciare le navi per impedire ai propri soldati la fuga in modo che nella battaglia fossero il più possibile concentrati e non vedessero altre possibilità se non la vittoria o la morte. Si tratta ovviamente una metafora da prendere “cum grano salis” tuttavia capita spesso di trovare giovani e meno giovani che approcciano un’idea imprenditoriale anche buona in modo non completamente focalizzato perchè fanno contemporaneamente altre attività. Questo crea indubbiamente molti effetti collaterali perchè in tal caso si non tratta di un’impresa ma di un progetto magari come tanti altri “che può andare bene ma se non va bene pazienza”. Nulla di male che ci siano imprenditori soci contemporaneamente in tante iniziative per realizzare un portfolio diversificato ma è importante che ogni iniziativa abbia dei protagonisti che “hanno bruciato le loro navi”.

4. La sottovalutazione dei costi di promozione di un progetto.

Spesso quando si realizza un progetto digitale ci si concentra sulla parte di sviluppo informatico dimenticando o sottovalutando la variabile della promozione. Non è troppo complesso una volta definite le specifiche di un’app o un sistema web realizzarlo con un investimento che ha un ritorno visibile. Si è costretti invece ad uscire dalla “zona di comfort” quando bisogna scegliere come investire sui vari canali ed i risultati sono molto incerti. Quindi si tende istintivamente a concentrarsi sulle attività di sviluppo rispetto a quelle di promozione. Bisogna dare la giusta rilevanza a questa attività.

5. Difficoltà nel trovare le “persone giuste”.

Decidere di lavorare in un’azienda nascente è una scelta non semplice per una persona di qualità.  Infatti lavorare in una Startup può essere una fonte di rischio e preoccupazione perchè bisogna operare in un contesto per sua natura destrutturato.  Conseguenza di tutto ciò è che gran parte dell’ecosistema delle startup italiane si poggia su collaborazioni a progetto e “professionisti a partita” iva magari bravissimi ma spesso poco fidelizzati. Queste persone si limitano ad eseguire un compito quando il contesto richiederebbe di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Per un imprenditore trovare le persone giuste è il principale problema che lo costringe a creare l’azienda solo intorno a se stesso limitando così lo sviluppo della stessa. Posto che lavorare in una startup è rischioso bisogna prospettare un chiaro ritorno economico per i collaboratori perchè contribuiscano in modo determinante al successo dell’iniziativa.

6. Creare un logo ma non costruire un “brand”

Molto spesso una startup nascente lavora sul brand in modo semplicemente “grafico” non identificando le motivazioni più profonde della sua esistenza. La maggior parte delle Startup mette al centro della propria comunicazione “cosa” fa, lo fa seguire da “come” lo fa, e infine, talvolta, ma non sempre, dichiara “perché” lo fa.  Il modello sviluppato da Simon Sinek nel celebre libro “Start with Why” suggerisce al fine di avere un maggior impatto sul pubblico/interlocutore, di iniziare ogni comunicazione con “perché”, facendolo seguire da come e da cosa. Alla base dell’approccio sviluppato da Sinek vi è l’idea che la gente non “compri” ciò che una persona/azienda fa, bensì “compri” il “motivo” per cui fa quella cosa.

7. Fare in modo grossolano un’analisi della competition

Per quanto possiamo essere bravi o possiamo credere nella nostra idea dobbiamo considerare in un mondo complesso ed interconnesso come è l’attuale la presenza di competitori. Il principale elemento che viene sottovalutato è proprio l’analisi competitiva. Questa analisi è invece uno dei documenti più utili alla concretizzazione di una Startup, molto più convincente di un Business Plan che spesso è “un esercizio” con valori assolutamente ipotetici e prospettici.

Talent Garden raddoppia la sede di Roma e arriva a Cinecittà

in Economia/Formazione/Partner 2/Startup by
Davide Dattoli di Talent Garden

Sono cresciute del 150% in 2 anni le startup nate a Roma, passando dalle 211 del 2015 alle 527 di aprile 2017[1]. A questa crescita ha contribuito in maniera decisiva Talent Garden, la piattaforma europea per i talenti del digitale, che ha inaugurato a Cinecittà il suo secondo campus romano. Talent Garden è sbarcata a Roma lo scorso anno con lo spazio di coworking che si trova nello storico palazzo delle Poste di Viale Mazzini. In questa sede sono presenti oggi più di 120 innovatori digitali e si svolgono oltre 150 eventi all’anno.

Il nuovo Talent Garden Cinecittà, di via Quinto Publicio 90, è uno spazio dedicato ai professionisti del digitale e dell’innovazione con una particolare attenzione al mondo dei new media e della multimedialità, situato proprio nel cuore degli storici studi televisivi. Si tratta di uno spazio aperto 24 ore su 24 che ospita oltre 70 “abitanti”, i cosiddetti “tagger”, in ambienti dal design innovativo in linea con lo stile che contraddistingue i 18 campus distribuiti in Italia e in Europa. Oltre a Roma, Talent Garden è presente a: Milano (Calabiana e Merano), Bergamo, Brescia, Cosenza, Padova, Genova, Pisa, Torino, Pordenone, Sarzana, Barcellona, Tirana, Bucarest, Kaunas, Vienna. Molte le realtà che hanno già scelto Talent Garden Cinecittà come sede della propria attività: sviluppatori software e grafica 3D, startup che si occupano di realtà virtuale, ma anche la multinazionale Groupon. Talent Garden, attraverso le due sedi di Prati e Cinecittà, punta a diventare un polo di connessione per l’ecosistema dell’innovazione della Capitale, facilitando il collegamento tra i principali player a livello nazionale e internazionale.

“Mi piace molto – dichiara Davide Dattoli, founder e CEO di Talent Garden – il fatto che il nostro primo campus con un grande focus sui professionisti dei new media sia proprio a Cinecittà, luogo in cui storicamente si è sviluppato il cinema italiano. I nostri campus – prosegue – non sono soltanto un ufficio condiviso, ma un vero e proprio “acceleratore naturale”: non ci limitiamo ad affittare uno spazio, ma creiamo un polo di incontro tra innovatori digitali all’interno di una rete internazionale di talenti accomunati dalla passione per l’innovazione e il digitale. Siamo nati nel 2011 a Brescia dalla necessità di creare uno spazio di lavoro che accogliesse imprenditori e innovatori e oggi contiamo oltre 1.500 membri tra startup, freelance, aziende e una community online di più di 80.000 persone”.

“Sono molto felice perché questa inaugurazione è un modo assolutamente unico per festeggiare gli 80 anni di Cinecittà! È la dimostrazione che dopo aver contribuito alla realizzazione di oltre 3.000 film, tra cui 83 nomination all’Oscar e 48 statuette, offrendo a tanti la possibilità di esprimere la propria creatività e diventando un modello in Italia e nel mondo – commenta Corrado Camilli, Presidente e Amministratore Delegato Cinecittà Media – Cinecittà è pronta ad affrontare la sfida dell’innovazione con rinnovato slancio. Nell’ambito del più grande progetto dei “Cinecittà Creative Hub”, Talent Garden Cinecittà è testimonianza del fatto che si può fare innovazione nell’ambito culturale e che si possono mettere in rete esperienze anche diverse nell’ambito di una visione condivisa.”

Con la nuova sede di Talent Garden sono circa una ventina gli spazi di coworking a Roma, ambienti che favoriscono l’insediamento di nuove realtà imprenditoriali. La Capitale ospita oggi 527 startup, per la stragrande maggioranza attive nel settore dei servizi (85,1%). La maggior parte di queste nuove imprese (46,1%) ha un capitale compreso tra i 5 e i 10.000 euro e il modello più diffuso (30,2%) non supera i 4 addetti. Delle 527 startup registrate, soltanto il 48% dichiara il valore della produzione: la stragrande maggioranza (34,2%) ha un valore di produzione entro i 100.000 euro, il 12,5% fra i 100.000 e i 500.000 e poco più dell’1% si colloca tra i 500.000 e 1 milione di euro. Quasi il 14% delle startup romane ha donne al suo interno, mentre il restante 78,6% è esclusivamente “al maschile”. Delle 73 startup con “quote rosa”, il 35,6% è esclusivamente composto da donne, il 20% vede una presenza femminile maggioritaria e il 43,8% una presenza “forte”.

Ogni Talent Garden è un luogo pensato per freelance, startup, PMI digitali e grandi imprese, non un semplice luogo di lavoro ma un vero e proprio campus dell’innovazione che ospita con la modalità del coworking aziende e professionisti. Nel nuovo campus romano avrà sede anche TAG Innovation School, la scuola di formazione di Talent Garden, che ogni anno forma in varie parti d’Europa centinaia di studenti sulle nuove professioni del digitale e che nei prossimi mesi, proprio in collaborazione con Cinecittà, costruirà nuovi percorsi pensati per i professionisti dei media e del digitale nel cinema. A completare il campus anche un teatro che può ospitare fino a 300 persone e dove sono già in calendario decine di eventi che nei prossimi mesi animeranno l’ecosistema dell’innovazione romano.

Media partner dell’apertura di Talent Garden Cinecittà radio RDS, realtà proiettata a dialogare con i millenials e a favorire esperienze di crescita professionale con progetti come RDS Startup Lab.

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