Magazine di informazione economica di Brescia e Provincia

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Commercio - page 6

Un nuovo servizio per le famiglie italiane durante la quarantena

in Commercio/Economia by

Le necessità delle famiglie cambiano rapidamente. E in molti casi anche le aziende hanno dovuto rimodulare i loro servizi per andare incontro alle esigenze che si sono manifestate in questi mesi. Un caso è quello delle piattaforme che mettono in contatto baby sitter e famiglie. Sebbene non vi siano restrizioni per il lavoro da baby sitter, è evidente come le famiglie abbiano in molti casi ridotto la richiesta di baby sitter. Una prima proposta lanciata fin dall’inizio della quarantena da Sitly, una delle piattaforme che permettono alle famiglie di cercare una baby sitter vicino a casa, è stata quella di convertire il servizio a domicilio in un’assistenza virtuale, in remoto, con le baby sitter collegate coi i bambini dai loro pc per intrattenerli con giochi o aiutandoli nei compiti.

Altra svolta è stato l’inserimento del servizio di aiuto spesa. E’un’iniziativa basata sull’economia collaborativa, pensata per chi non ha possibilità di fare la spesa in maniera indipendente.

Le persone più vulnerabili non possono recarsi ai supermercati o in farmacia. Disporre di un contatto fidato a cui rivolgersi per gli acquisti, con cui organizzare gli orari e la tipologia di pagamento, che abiti nella stessa zona è il concetto da cui è nata l’idea di Sitly di strutturare questo servizio di ‘aiuto spesa’. Sono state così invitate le baby sitter registrate alla piattaforma a darsi disponibili per spesa a domicilio (offrendo loro quindi un’opportunità di lavoro in più). Dall’altra parte le persone interessate all’acquisto di prodotti di prima necessità (supermercati, negozi alimentari, farmacie) possono oggi contattarle tramite il sito direttamente dal pc: una rapida ricerca permette di individuare le persone disposte a fare da aiuto spesa nella zona limitrofa.

Il passo successivo è scrivere a questi candidati e organizzare una video chiamata in modo da conoscersi. Il richiedente può così specificare i dettagli, gli orari di consegna e le condizioni di pagamento.

Il mercato delle auto usate offre opportunità in tutta Italia

in Automotive/Commercio/Economia by

L’andamento del mercato delle auto usate

La crisi economica degli ultimi anni ha decisamente cambiato le abitudini di tutti gli italiani e ha colpito tutti i settori merceologici senza alcuna distinzione; fra di essi è presente anche il mercato delle auto.
A tal proposito, la possibilità di comprare un veicolo usato permette agli automobilisti di guidare spendendo cifre contenute senza rinunciare in alcun modo alla tecnologia. La tendenza attuale evidenzia un netto incremento delle vendite su tutto il territorio nazionale; nel 2019 il dato è pari a +3,4%, mentre le vendite delle auto di nuova immatricolazione sono calate di quasi il 5%. In ogni caso, non è solamente il prezzo d’acquisto a convincere gli italiani nel preferire i veicoli usati a quelli nuovi; se così fosse, l’usato avrebbe avuto molto più successo anche negli anni precedenti. Ciò che ora rende il mercato delle auto usate particolarmente appetibile è un insieme di aspetti che, uniti al prezzo d’acquisto, lo rendono molto conveniente. Infatti, anche le vetture di seconda mano devono essere vendute con almeno 2 anni di garanzia, devono essere controllate e cedute senza difetti grossolani nel rispetto dei requisiti imposti dalla revisione e prevedono nella maggior parte dei casi un piano di manutenzione programmata, esattamente come accade per le auto nuove.
Nell’anno 2019, il giro d’affari che ruotò intorno ai veicoli usati fu di circa 21 miliardi di euro, una cifra ragguardevole che compensa il dato negativo relativo alla vendita del nuovo.

Il mercato delle auto usate in Lombardia

La Lombardia è la regione che ha registrato il maggior numero di passaggi di proprietà in Italia; si parla di circa 474 mila contratti, dei quali 135 mila sono stati sottoscritti nella sola provincia di Milano. La vendita delle auto usate Brescia conta invece su circa 66 mila passaggi di proprietà; nelle altre province lombarde i dati rispecchiano la seguente scaletta: Bergamo 52 mila, Varese 44 mila, Monza 40 mila, Pavia 29 mila, Como 28 mila, Mantova 21 mila, Cremona 18 mila, Lecco 16 mila, Lodi 12 mila e infine Sondrio con 10 mila.
Le auto maggiormente vendute restano quelle alimentate a gasolio; i veicoli di nuova concezione, come gli ibridi e gli elettrici, non godono ancora di troppo interesse, con ogni probabilità per questioni legate al prezzo d’acquisto ancora molto elevato. Inoltre, è innegabile che a fronte di una grande affibilità dei veicoli diesel, collaudata per decenni sia dagli addetti ai lavori che dagli automobilisti, i veicoli “green” debbano ancora dimostrare di essere auto di cui potersi fidare, sotto tutti i punti di vista. Le auto a benzina e le vetture alimentate a gas restano merce rara; sono più che altro preferite da una cerchia più ristretta di utenti che cercano sportività nel primo caso e bassi consumi nel secondo. La preferenza per le vetture a gasolio non deve quindi stupire, specialmente nel mercato delle auto usate.

Quanto si spende in un’auto usata

Al di là dell’effettivo risparmio che comporta l’acquisto di un’auto usata, è interessante verificare quale sia il prezzo medio e quali siano invece il prezzo minimo e massimo nelle varie province della regione Lombardia.
Il prezzo medio di vendita è di poco superiore ai 14 mila euro; tale cifra è pari a circa 18 mila euro per la provincia di Cremona, 16 mila per la provincia di Mantova, 15 mila per la province di Milano, Bergamo, Como e Monza, 14 mila euro per le province di Varese e Lecco, 13 mila euro per le province di Sondrio e Lodi, 12 mila euro per la provincia di Pavia.
I valori elencati dimostrano con buona precisione la capacità di spesa degli italiani, che è tale da permettere l’acquisto di una buona auto usata o di un’utilitaria nuova di livello medio basso.
Il prezzo continua quindi a farla da padrone ed è a tutti gli effetti la chiave principale delle scelte di ognuno di noi; questo fatto può sembrare scontato, ma in realtà evidenzia una palese perdita del potere d’acquisto di ogni cittadino italiano, che evita di scegliere in base alle soggettive preferenze per necessità.

Conclusioni

Si può affermare con certezza che acquistare le auto usate convenga; la crisi economica è stata ed è tutt’ora un fattore che, al pari di altri, da un lato priva ogni cittadino della possibilità di spesa, dall’altro crea ulteriori opportunità.
Gli automobilisti possono trovare fra i veicoli usati numerose occasioni, auto garantite capaci di servire il loro acquirente ancora per molti anni.

Conad-Auchan, Alberti (M5S): ancora incertezza sul futuro dei lavoratori

in Alimentare/Commercio/Economia/Istituzioni/Regione by

“Se è pur vero che qualche nota positiva è emersa dall’audizione di ieri in Regione Lombardia, è anche vero che per molti dei lavoratori che passeranno dal gruppo Auchan a quello Conad, non c’è ancora nulla di definito”. A dirlo è il consigliere regionale Dino Alberti, presente all’audizione.

“A parlare per conto del gruppo Conad erano presenti i rappresentanti della dirigenza della società Margherita, ramo d’azienda della grande distribuzione della meglio conosciuta Auchan. Ciò che hanno descritto è stato uno scenario fatto di luci e ombre per il futuro occupazionale dei lavoratori. A conferma di ciò, il fatto che molti dei pareri positivi illustrati si siano scontrati con il punto di vista dei sindacati che erano di tutt’altro avviso”.

“La nota sicuramente meno positiva di tutta l’audizione è stato il  dichiarare, da parte dei dirigenti di Margherita, che almeno 3000 lavoratori, ossia metà dei 6000 lavoratori dichiarati in esubero all’inizio del passaggio da una società all’altra, hanno ancora un destino non definito”.

“Ai dirigenti del gruppo Margherita – prosegue il consigliere – ho posto alcuni quesiti, iniziando con il chiedere se l’Antitrust è stata sentita rispetto al piano del passaggio dei punti vendita da Auchan a Conad. Mi è stato risposto che Conad ha avviato le operazioni di acquisizione del 60%  delle attività ex-Auchan mentre il restante 40% verrà ceduto a terzi proprio per soddisfare le eventuali osservazioni dell’autorithy che in ogni caso non sarebbero pronte prima di marzo.

“Ho poi chiesto se Auchan, che ancora è presente nel mercsto italiano sotto altri marchi come Leroy Merlin, è stata coinvolta da Conad e Margherita per proseguire eventuali rapporti di tipo commerciale con il nuovo gruppo subentrante e nel caso di farsi carico di alcuni punti vendita e relativa forza lavoro. La replica è stata che Auchan, da subito, non si è prestata ad alcuna collaborazione di tipo economico ma che nulla è precluso”.

“In ultimo, ho domandato quali saranno le condizioni dei lavoratori che passeranno da Auchan al nuovo gruppo, per capire se queste saranno migliorative o peggiorative. La risposta è stata che Conad ha deciso di applicare ai nuovi arrivati i contratti del loro gruppo, ossia quelli di Confcooperative, che non prevedono la contrattazione integrativa. La considerazione d’obbligo su questa dichiarazione – afferma Alberti – è che, almeno inizialmente, si prospetteranno condizioni peggiorative per i lavoratori che effettueranno il passaggio nella nuova società”.

“Concludendo, le risposte date dal portavoce delle società subentranti, hanno confermato che c’è ancora molto da fare per i livelli occupazionali di molti lavoratori. Il tutto all’interno di un settore, quello della grande distribuzione, in continua crisi per motivi di forte concorrenza. Proprio su questa tematica, ad inizio dicembre dello scorso anno ho depositato una proposta di risoluzione volta a contrastare l’inutile proliferazione delle grandi strutture di vendita e a sostenere il commercio di vicinato. E’ da qui che bisognerebbe ripartire per evitare anche le problematiche occupazionali che si stanno verificando nella vicenda Auchan-Conad. La risoluzione – conclude polemicamente Dino Alberti – è però ancora ferma in Commissione nonostante i miei continui solleciti a discuterla”.

Bando regionale per le attività storiche, Confcommercio organizza un incontro

in Associazioni di categoria/Bandi/Commercio/Economia/Istituzioni/Regione by

Regione Lombardia sta emanando il Bando “Imprese Storiche verso il futuro. Contributi per l’innovazione e la valorizzazione delle attività storiche e di tradizione ”, riservato esclusivamente alle aziende che hanno ricevuto il riconoscimento come attività storica o di tradizione.

Il Bando prevede la possibilità di accedere a contributi a fondo perduto pari al 50% per il rinnovamento della propria attività: dal ricamb io generazionale e la trasmissione di impresa fino ai progetti legati all’innovazione, passando per la riqualificazione dell’unità locale e dal restauro e dalla conservazione sia delle strutture che di arredi o attrezzi.

Per la presenta zione de l Bando Con fcommercio Brescia organizza un incontro per lunedì 16 dicembre alle 10 nella sala riunioni della sede centrale
Via Giuseppe Bertolotti, 1 Brescia.

Interverranno il presidente di Confcommercio Brescia Carlo Massoletti e d il dott.Paolo La Torre di Financial Consulting Lab .

Conversazioni strategiche di vendita per migliorare i tuoi affari

in Commercio/Economia/Innovazione by

Sei alla ricerca di un metodo per ottimizzare al meglio le tue vendite e riuscire a chiuderne di più? Allora sei nel posto giusto, perché in questo articolo vedremo come vendere in modo più efficace, applicando le giuste strategie.

A tal proposito, l’esperienza sulle strategie di vendita dell’esperto Mirko Cuneo, ti sarà sicuramente di aiuto. Una vendita è molto più di un insieme di tecniche, questo il “cuore” del suo messaggio. Mirko ha un’azienda a Milano e aiuta le micro, piccole e medie imprese in Lombardia, e non solo, ad affinare le proprie tecniche di vendita.

Qual è il segreto del successo di una buona strategia?

La capacità di immedesimarsi nel cliente, focalizzando la conversazione sulle sue esigenze lasciando da parte un po’ del proprio bisogno spasmodico di vendere.

La difficile arte dell’ascolto attivo

Mirko Cuneo suggerisce che il cuore pulsante di una transazione d’affari non è il prodotto che si vende, ma la relazione stessa con il cliente, la capacità del venditore di immedesimarsi con il suo interlocutore.

Un approccio comune è quello del venditore che passa buona parte della transazione a decantare qualità è virtù del prodotto/servizio o della propria azienda.

Risultato?

Il cliente, nel migliore dei casi, attenderà pazientemente la fine del monologo auto-celebrativo solitamente ridondante e stucchevole. Inutile aggiungere che al termine dello show del venditore, molto difficilmente il cliente sarà propenso all’acquisto.

Spesso, l’approccio che vi ho appena descritto, è la prassi dei venditori ancora inesperti, che, condizionati dall’ansia della performance, sono totalmente concentrati su sé stessi o sulle “dieci regolette” imparate durante la formazione, senza alcuna forma di originalità.

Sia chiaro, qui non si vuole sostenere minimamente un approccio che si basa sull’improvvisazione. Il vero punto cruciale è che, per quanto siano importanti le regole base della vendita, occorre sempre calarle nel contesto, che inevitabilmente, cambia di volta in volta.

Ogni persona ha caratteristiche, esigenze, gusti, bisogni differenti che il bravo venditore deve prima imparare a conoscere, se vuole davvero essere efficace nella sua transazione.

Ogni strategia di vendita deve essere supportata dal cosiddetto “ascolto attivo” – ovvero un ascolto interessato durante cui il venditore prova a capire davvero quali siano le esigenze del suo interlocutore. Come suggerisce Mirko, la conoscenza del cliente è utile che sia approfondita facendo domande mirate a comprendere al meglio il suo pensiero. Solo essendo a conoscenza di ciò di cui ha bisogno il consumatore sarà possibile offrirgli proprio la soluzione che fa al caso suo.

Vediamo di seguito un esempio.

“Vendimi questa penna”: l’arte di comprendere i bisogni per trovare soluzioni su misura

Chi ama il buon cinema probabilmente avrà visto “The Wolf of Wall Street”, con Leonardo DiCaprio.

Il film narra la storia vera del broker miliardario Jordan Belfort e della sua parabola nel mondo della finanza rampante di Wall Street negli anni ‘80.

In una delle scene del film, un giovane ma già sicuro di sé Belfort prova ad “addestrare” il suo primo team di aspiranti broker. Per mettere alla prova le loro doti, chiede loro di cercare di vendergli una penna.

Il più sveglio della truppa si limita a chiedere a Belfort / DiCaprio di scrivergli il proprio nome, Belfort risponde ammiccando che non ha la penna, et voilà e l’altro prontamente gliela porgo. Dopo che un bisogno è stato creato, la vendita si è chiusa con successo.

La morale della scena è: saper vendere vuol dire analizzare la situazione e comprendere le necessità o i desideri di chi si ha di fronte per poterli esaudire con il nostro prodotto o servizio.

L’ascolto attivo è fondamentale per avere accesso all’altro, per comprendere il suo mondo e le sue esigenze, per potersi relazionare con il cliente occupandosi veramente di quello che vuole.

Sarà l’esperienza della conversazione, l’esperienza della relazione umana che convincerà più di ogni altra cosa il cliente ad accettare la proposta. Le caratteristiche del prodotto o del servizio saranno un valido supporto e serviranno per fornire utili informazioni aggiuntive.

Non ti rimane che provare per credere: sei davvero capace di vendere quella penna?

Imprese della moda, a Brescia il 47 per cento è guidato da donne

in Commercio/Economia/Tendenze by

Donne e moda in Lombardia. Sono 13 mila le imprenditrici nella moda in Lombardia su 93 mila in Italia. Hanno 32 mila addetti. Sono concentrate a Milano, 4.398, il 33% delle imprese di moda con quasi 10 mila addetti. Pesano in regione il 38% del settore, rispetto al 42% in Italia, circa la metà.  Sono 2 mila A Brescia, oltre mille a Bergamo e Varese, quasi mille a Como. Più femminile è Sondrio col 55% di imprese della moda al femminile, oltre duecento, con Brescia dove le donne sono il 47% del settore, circa la metà. Il 23% delle imprese sono di straniere e l’11% di giovani. A Milano le straniere salgono al 34% e i giovani al 12%. In particolare cresce il design, +10% le imprese a  Milano in un anno, +5% in Lombardia e +5% in Italia.

Donne e moda in Italia. Sono 93 mila le imprenditrici nella moda in Italia su 221 mila imprese del settore, il 42%. Hanno 216 mila addetti. Sono concentrate a Milano, 4.398, il 33% delle imprese di moda. Per numero di imprese femminili nella moda sono prime Napoli con quasi 7 mila imprese, il 33%, Roma con oltre 6 mila, 42%, Milano con oltre 4 mila, 33%, Firenze con 3 mila, 37%. Prime per addetti: Prato con 14 mila, Napoli con 13 mila, Firenze con 12 mila, Milano con quasi 10 mila, Roma con 9 mila. Più donne a  Savona, tra i centri con oltre 400 imprese femminili nella moda, con 478 imprese, 61%, Viterbo con 460, 58%, L’Aquila con 431, 58%, Livorno con 511, 57%. Maggioranza femminile a Genova e Perugia, entrambe con oltre  mille imprese di donne nella moda.

Il 21% delle imprese sono di straniere e il 13% di giovani. A Prato le straniere sono il 76% e a Firenze il 48%.

Crescono le imprese femminili a Verbania, da 199 a 211 in cinque anni, a Livorno, da 505 a 511, a Prato da 2954 a 2986, a Sondrio da 225 a 227, ad Asti con 254 e 256. Tengono le imprese a Verona con oltre mille, Udine con 565 imprese, Milano con 4.398.

Arriva la settimana della moda: in Lombardia 128mila occupati nel settore

in Artigianato/Commercio/Economia/Tendenze by
Moda, foto da Pixabay

A Milano sta per arrivare la settimana della Moda (e poi toccherà alla Design week, col Salone del mobile). Un mondo che a Milano città coinvolge circa 25 mila imprese e 128 mila addetti, secondo i dati al 2018 della Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi su sedi e unità locali tra shopping di moda, alloggio, ristorazione, servizi business di trasporto e allestimenti, visite ai musei. Circa il 64% tra alloggio e ristorazione, il 22% nello shopping, il 14% nei servizi business, trasporti, 1% nel nella cultura e tempo libero.

Addetti e giro d’affari annuale. Milano città pesa circa il 5% nazionale per addetti con 128 mila e circa il 20% per giro d’affari annuale (oltre 10 miliardi di euro, circa 160 milioni a settimana, su circa 60 miliardi italiani).

Alloggio e ristorazione valgono il 64% delle imprese dell’indotto della città (16 mila imprese per i due settori insieme, +8% l’alloggio in un anno e + 3% la ristorazione).. Quasi 2 mila gli alloggi, 14 mila tra ristoranti e bar.

Shopping di moda, il 22% delle imprese coinvolte. Sono oltre 5 mila le attività di commercio al dettaglio nell’abbigliamento, tra vestiti e calzature

I servizi business, trasporti con oltre 3 mila imprese (14% del totale indotto cittadino, +0,9% per i trasporti e +2% i servizi business). Si tratta di oltre 2 mila imprese nei servizi collegati tra taxi e noleggio autovetture e oltre mille imprese nell’organizzazione di convegni, allestimenti.

Visite museali (1% del totale indotto cittadino). Ci sono circa 200 imprese in attività museali e visita di luoghi storici.

Negozi con più di 50 anni di vita: a Brescia sono 122

in Commercio/Economia by
Negozi storici, foto generica

Le imprese ultracinquantenni del commercio sono 1.427 in Lombardia. Secondo una elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi sui dati del registro delle imprese al terzo trimestre 2018, sono in media l’1,6% del totale italiano, il dato cresce al 2,3% lombardo e la loro diffusione è  del 2,4% a Milano e Monza con 617 botteghe antiche su quasi 26 mila negozi. La più storica nel commercio lombardo è Varese col 4% di attività del settore con oltre 50 anni, 196 su quasi cinquemila. Poi c’è Cremona col 2,9%, 64 su 2.227, Como con 2,8%, 91 su oltre 3 mila, Lecco col 2,6%, 47 su 1783, Lodi col 2,4% pari a 30 negozi storici su 1.245. Per numero di attività storiche nel commercio al dettaglio in regione, dopo Milano e Monza con 617, ci sono Varese con 196, Brescia con 122, Bergamo con 118.  Toccano le 1.783, inclusa la ristorazione.

Imprese storiche in tutti i settori, 18 mila in Lombardia. Sono 18 mila in Lombardia, il 2,2% di tutte le imprese, rispetto al 1,2% in Italia. Sono concentrate a Milano e Monza con circa 10 mila, Varese con quasi 2 mila, Bergamo, Brescia e Como con circa mille.

Commercio: imprese di donne in un caso su cinque. Si tratta di imprese storiche femminili nel commercio nel 21% dei casi in regione. Sale la quota a Cremona con 36% e a Mantova col 32%. Molte donne anche a Brescia, il 26%. Ci sono anche 8 imprese storiche con a capo stranieri e 4 guidate da giovani.

I settori. Prevalgono minimercati (179 imprese storiche, di cui 73 a Milano e Monza, 40 a Varese), poi ferramenta (87, di cui 38 a  Milano e Monza, 13 a  Brescia), gioiellerie (73, di cui 43 a  Milano e Monza, 11 a  Varese), vendita di arredo e mobili (68, di cui 24 a  Milano e 10 a Pavia). Tra i primi settori anche alimentari, mercerie, macellai, boutique, calzature, intimo. Sono 356 le imprese storiche nella ristorazione.

A Milano città sono 467 le imprese storiche nel commercio e nella ristorazione, il 2% delle imprese dei settori nel comune. I 383 negozi sono il 3,2% dei 12 mila negozi cittadini.

Confesercenti, Brescia istituisca un fondo straordinario per i creditori di Qui! Group

in Associazioni di categoria/Commercio/Confesercenti/Economia by

Confesercenti della Lombardia Orientale si rivolge al Sindaco di Brescia per chiedere l’istituzione di un fondo straordinario a sostegno delle imprese che hanno crediti aperti nei confronti di  Qui! Group, l’azienda distributrice dei buoni pasto Qui!Ticket, per pasti somministrati a dipendenti del Comune. “Com’è noto, il 6 settembre il Tribunale di Genova ha dichiarato il fallimento di QUI!Group Spa. Avendo il Comune di Brescia aderito alla convenzione Consip con la società, numerosi pubblici esercizi hanno conseguentemente sottoscritto specifici contratti con Qui!Group per somministrare ai dipendenti comunali pasti mediante il sistema a “buoni pasto parametrali”, spiega Alessio Merigo, Direttore Generale di Confesercenti della Lombardia, nella cui sede si è svolto un incontro per informare gli esercenti sull’iter fallimentare della società e sulle modalità di presentazione delle domande di recupero crediti .

“Qui!Group – prosegue il Direttore Merigo – nel corso del tempo ha avuto alcuni ritardi nei pagamenti delle competenze degli esercenti, poi rientrati. La situazione è però drasticamente precipitata nel luglio di quest’anno, fino ad arrivare al fallimento. Purtroppo, numerosi esercizi risultano oggi creditori di Qui!Group per le fatture di luglio ed agosto 2018 ed, in alcuni casi anche, di giugno. Si può ben immaginare cosa significhi per una micro impresa una perdita di questa natura. Oltre al danno economico, vi è l’amarezza di subire il fallimento di un’azienda selezionata da Consip secondo le più rigide procedure di finanza pubblica”.

Da qui l’iniziativa dell’associazione, che ha inviato una lettera al primo cittadino per chiedere un intervento a sostegno delle imprese coinvolte. “Stiamo attivando le procedure affinché le imprese possano insinuarsi al passivo del fallimento, tuttavia sarà molto difficile poter recuperare i crediti vantati, se non in minima parte. Perciò, pur nella consapevolezza che il fallimento di Qui! Group non sia direttamente ascrivibile a ritardi di pagamento o comportamenti non corretti del Comune di Brescia, chiediamo al Sindaco l’istituzione di un fondo straordinario al quale possano accedere coloro che vantino crediti certificati per pasti somministrati a dipendenti del Comune di Brescia”.

La Retail Apocalypse: e-commerce in crescita e negozi chiusi anche in Italia?

in Commercio/Economia/Evidenza by
Negozio chiuso

Il termine Retail Apocalypse descrive il fenomeno che riguarda la chiusura dei negozi fisici a causa del cambiamento comportamentale della popolazione. 

Questo avvenimento iniziato negli Stati Uniti sta prendendo piede anche in Italia, perché le nuove generazioni, rispetto a quelle prima dei millennials hanno cambiato stile di vita e logiche di spesa.

In Italia non troviamo ancora nessuna grande apocalisse: nel 2017 esistevano ben 943 centri commerciali e nel 2018 se ne sono aperti di nuovi.

A subire maggiormente gli effetti della crisi, invece, sono i piccoli negozi che chiudono al ritmo di uno su dieci, per un totale di oltre 90 mila esercizi commerciali in meno negli ultimi 12 mesi secondo il report Confesercenti.

Tra le categorie più colpite ci sono i negozi del tessile-abbigliamento, il cui numero si è ridotto di un quinto in un anno. Altri settori molto colpiti sono ferramenta e costruzioni (-19,9%), oreficerie, profumerie (-17,5%) e librerie (-17%).

Le nuove tecnologie stanno creando una nuova logica di accesso ai prodotti e servizi e appaiono molto evidenti i punti critici della distribuzione tradizionale. Vediamo i principali 10 motivi che hanno determinato questo fenomeno:

  1. Il prezzo è certamente più competitivo in un acquisto online perché ovviamente i portali internazionali ed italiani possono lavorare su un fattore di scala maggiore anche rispetto alla GDO;
  2. Il consumatore oggi vuole un ampio catalogo e non essere vincolato dal limite fisico del magazzino di un esercente. Per questa ragione un’acquisto online è certamente più soddisfacente;
  3. Attraverso il digitale si ha un contatto diretto con il prodotto e quindi è maggiormente stimolato il senso di possesso del cliente potenziale. Se ci si reca in un negozio di abbigliamento ci si trova di fronte a una commessa o spesso al proprietario del negozio che magari animato dalle migliore intenzioni cerca di dare i suoi consigli. In questo modo però diventa un intermediario che “allontana” il cliente dal prodotto. Invece spedendo a casa un numero anche elevato di vestiti tramite un servizio di e-commerce questi diventano automaticamente “i vestiti del cliente” che tenderà ad appropriarsene rendendo indietro solo nel caso in cui il capo non “vesta bene”;
  4. Sul canale digitale è possibile ottenere recensioni e pareri disinteressati di altri clienti dello stesso prodotto. Oggi un’analisi di opinioni online vale molto di più del buon consiglio del “esercente del paese” su cui può esistere anche solo il sospetto di un tentativo promozionale. Sempre più inoltre esistono servizi automatici di advisor online che utilizzano il chatbot o fanno parlare con un’esperto gratuitamente in modo da indirizzare il cliente alla giusta scelta;
  5. I consumatori percepiscono con meno importanza l’elemento della posizione di un punto vendita e sono disposti a muoversi o aspettare per trovare l’occasione giusta. Già oggi in Italia il concetto di “andare a vedere le vetrine” nel centro storico di una città o di un paese si sta perdendo e anche per ragioni di aggregazione sociale ci si sposta nei grandi centri commerciali seguendo un lifestyle occidentale-nordamericano. Ma nel prossimo futuro come sta accadendo li la gente vorrà fare acquisti da casa;
  6. I brand e i produttori di prodotti di lusso comprendono che la gestione della loro “awareness” deve passare sul canale digitale. Un’azienda viene oggi valutata per il database clienti fidelizzati non per il numero di punti vendita. In molti casi anche quando la rete retail è proprietaria costituisce un vincolo. Recentemente il brand americano Bebe, specializzato in abbigliamento femminile rinuncerà ai suoi 170 punti vendita per passare direttamente all’online;
  7. Si stanno diffondendo anche in Italia molti servizi di Dropshipping a prezzo competitivo che si occupino loro dello stoccaggio e della spedizione della merce direttamente al consumatore. Questo consente alle aziende produttrici di ridurre addirittura i costi logistici;
  8. La percezione della sicurezza online è alta anche grazie alle recenti normative e all’introduzione di nuove tecnologie è in costante crescita. L’esperienza di gestione di un diritto di recesso è aumentata del 3500% negli ultimi 3 anni;
  9. Il digitale consente una maggiore flessibilità perchè un sistema e-commerce è un negozio sempre aperto, 24 ore su 24, al contrario della maggior parte delle attività commerciali tradizionali. Non richiede ovviamente una presenza fisica e le sue luci sono accese a chiunque voglia entrare, in qualsiasi momento desideri farlo;
  10. Oggi molte realtà vogliono internazionalizzare le proprie competenze concentrandosi su una nicchia verticale per farlo i costi di sviluppo di una rete commerciale di punti fisici sono troppo alti mentre lavorare attraverso meccanismi virali digitali appare sempre più come la scelta migliore.

Ma la questione che oggi si pone anche in considerazione delle importanti conseguenze sociali è se la metà dei punti vendita italiani faranno nei prossimi anni la fine delle cabine telefoniche e dei video noleggi ?

Non manifestandosi una vera e propria apocalisse il primo istinto è quello di sottovalutare il problema perché ancora non diffuso in modo evidente. 

Tuttavia bisogna riflettere sul fatto che spesso questi cambiamenti negli stili di acquisto si diffondo in modo esponenziale e in pochissimo tempo quel che sembrava la norma viene completamente stravolta.

Come quindi un esercente che non ha una produzione di prodotti propri può preparasi ?

Va anzitutto premesso che non è semplice cambiare rotta dopo magari 30-40 anni di lavoro dove si sono accumulate tante esperienze positive ed un modus operandi che si è per tante ragioni radicato. Quindi non va assolutamente banalizzata la difficoltà di tale processo.

Alcune indicazioni:

  • Prima di tutto bisogna riflettere sul catalogo che non può essere limitato ad un’offerta che si può trovare facilmente online magari dello stesso prodotto o di uno equivalente. A volte in questo caso una scelta vincente è dare spazio a piccole produzioni locali che vengono spesso valorizzate sul target turistico;
  • Le persone verranno in un punto di vendita fisico se troveranno un’esperienza in questo luogo. Un buon esempio può essere la libreria che si converte in “locale per aperitivi cultural”i dove vengono presentate le nuove uscite editoriali;
  • Il digitale deve essere accuratamente presidiato perché la propria community di follower sarà più importante della propria vetrina;
  • Infine se le prospettive non sono rosee può essere da valutare una conversione del punto vendita. Questo accade ad esempio al negozio di abbigliamento che si converte in centro estetico che per la natura dei suoi servizi è più protetto
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