Tra le realtà bresciane, il tasso di diffusione dello smart working (rapporto tra imprese che adottano il lavoro agile sul totale) è passato dal 10% nel 2019 al 75% nel 2020 e, sulla base di quanto prospettato dalle aziende, dovrebbe attestarsi al 38%, una volta superata l’attuale fase legata alla pandemia da Covid-19.
A evidenziarlo sono i dati definitivi della ricerca “Lo smart working nelle imprese bresciane: da fenomeno di nicchia al post emergenza”, a cura del Centro Studi di Confindustria Brescia, che ha completato la ricerca provvisoria già presentata lo scorso 11 febbraio in occasione dell’appuntamento online “Smart working – Il lavoro che cambia”, organizzato dalla Piccola Industria. In particolare, i dati sono stati ottenuto attraverso l’analisi a livello locale di quanto rilevato nell’edizione 2021 dall’Indagine sul Lavoro realizzata dal Sistema Confindustria, focalizzata sugli effetti della pandemia, che ha visto la partecipazione di 290 imprese bresciane, che producono un fatturato pari a 14,4 miliardi di euro, un valore aggiunto di 3,2 miliardi e danno lavoro a oltre 26 mila dipendenti
Il dato complessivo sulla diffusione dello smart working riassume al suo interno, già prima della pandemia, una forte dispersione per settore di attività. Da questa prospettiva, le realtà dei servizi possono essere considerate delle vere e proprie precorritrici nell’adozione del lavoro agile, con un tasso di diffusione del 24%, contro il 7% dell’industria. Tra le classi dimensionali vi è una convergenza maggiore, con una forchetta che va dall’8% delle aziende sotto i 25 dipendenti al 12% per quelle tra 25 e 100.
Con riferimento all’incidenza del fenomeno, ovvero al rapporto tra il numero di lavoratori in smart working sul totale dei dipendenti considerati, prima della pandemia Brescia si attestava complessivamente allo 0,7%, un valore molto basso che suggerisce come il lavoro agile fino al 2019 fosse un fenomeno di nicchia. Tale conclusione è particolarmente vera per l’industria (0,5%), mentre nelle realtà terziarie lo smart working si confermava uno strumento più utilizzato dai lavoratori (5,4%). Tra le classi dimensionali, le aziende sopra i 100 dipendenti emergevano come quelle più in ritardo (0,5%): ciò sarebbe dovuto al fatto che nel contesto bresciano tale cluster è formato quasi esclusivamente da aziende attive nella manifattura.
La situazione è cambiata radicalmente nel momento in cui, nel corso del 2020, l’emergenza causata dalla pandemia ha determinato una forte accelerazione nella diffusione dello smart working, divenuto vero e proprio lavoro da remoto con l’obiettivo principale di ridurre il rischio di contagio sui luoghi di lavoro e nei trasporti pubblici. L’utilizzo del cosiddetto “lavoro agile di emergenza (o semplificato)” è cresciuto in modo esponenziale, arrivando ad interessare a Brescia il 75% delle imprese intervistate. L’emergenza sanitaria ha fortemente diminuito le differenze tra classi dimensionali e settori, anche se grandi aziende e servizi hanno evidenziato una diffusione dello strumento quasi totale (90%).
In questo contesto, il dato lombardo appare fortemente sovrapponibile a quello bresciano (diffusione media al 74%), con picchi tra le imprese sopra i 100 dipendenti (96%) e in quelle del terziario (89%). La motivazione principale di tale convergenza sarebbe imputabile alla forte penetrazione del virus nei territori lombardi, specie, in quel periodo, tra Bergamo e Brescia, con le evidenti implicazioni dal punto di vista delle azioni a tutela della salute della popolazione.
L’indagine ha quindi esaminato la prospettiva che si potrà verosimilmente delineare una volta superata la fase emergenziale. I risultati ottenuti delineerebbero uno scenario in cui i cambiamenti obbligati da questo difficile periodo provocheranno un processo in qualche modo irreversibile, tale da determinare una profonda mutazione nell’organizzazione del lavoro. Più nel dettaglio, il 38% delle imprese bresciane intervistate ha dichiarato che lo smart working sarà adottato anche nel prossimo futuro. Ancora una volta, sarebbe confermato il differenziale tra terziario (68%) e industria (32%); l’estensione sarebbe poi legata alla dimensione aziendale, con le realtà più grandi (sopra i 100 dipendenti) che si caratterizzerebbero per una diffusione del 50%. Nelle PMI, spina dorsale del made in Brescia, la presenza del lavoro agile sarebbe invece più limitata (29% nelle realtà sotto i 25 dipendenti e 36% in quelle tra 25 e 100) e su livelli più bassi di quelli rilevati durante la fase emergenziale, ma comunque significativamente più elevati (in media tre volte maggiori) di quanto sperimentato prima del Coronavirus.