Più incertezza e ulteriore complicazione nella già tortuosa normativa che regola il mercato del lavoro in Italia. A poco più di un mese dalla conversione in legge del “Decreto dignità”, Associazione Industriale Bresciana (AIB) ha promosso un incontro per una valutazione delle misure contenute nel provvedimento, approfondendo anche dal punto di vista tecnico molti aspetti rilevanti per l’attività quotidiana delle imprese.
“Serve andare oltre slogan e tweet che hanno segnato l’approvazione del Decreto dignità e ragionare sui contenuti – ha osservato Roberto Zini, vice presidente di AIB con delega a Lavoro, Relazioni industriali e Welfare, aprendo stamane i lavori del seminario –. Anzitutto, vanno fatte due considerazioni sul metodo: la prima sulla scelta di utilizzare lo strumento del decreto legge, che ha portato a far coesistere in quattro mesi, ben quattro regimi normativi diversi, con le conseguenti difficoltà applicative. La seconda chiama in causa il ruolo della contrattazione collettiva, che non trova sufficiente spazio in questo provvedimento, che giudichiamo troppo rigido e che va nella direzione opposta a quanto sottoscritto a marzo da Confindustria e Sindacato con il Patto per la fabbrica”.
“Entrando invece nel merito delle misure, diciamo subito che comprendiamo gli obiettivi della riduzione della precarietà e il tentativo di evitare delocalizzazioni selvagge – ha proseguito il vice presiedente di AIB, Roberto Zini –. Tuttavia, con gli strumenti utilizzati si rischia di ottenere l’effetto contrario. In particolare, la stretta sui contratti a termine e in somministrazione non sembra motivata dai numeri: i dati contenuti nel Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie 2018 del Ministero del Lavoro evidenziano, a partire dal 2015, un aumento dell’incidenza delle trasformazioni a tempo indeterminato dei contratti a tempo determinato superiori a 12 mesi, quota che si attesta al 25,7% nel 2017. Inoltre, l’incidenza del lavoro temporaneo in Italia (16,4% del totale dell’occupazione dipendente nel primo trimestre 2018) è in linea con il dato medio dell’Eurozona (16,3%), come lo è anche il tasso di transizione a 12 mesi dai contratti a termine ai contratti a tempo indeterminato (pari a circa il 20%). Il ritorno delle causali rischia poi di portare a un nuovo aumento del contenzioso, che le riforme degli anni scorsi avevano contribuito ad abbattere: le cause di lavoro sui contratti a termine sono passate infatti da oltre 8.000 nel 2012 a 1.250 nel 2016. Viene stabilito pure l’innalzamento del 50% delle indennità dovute in caso di licenziamento illegittimo con il possibile effetto di scoraggiare le assunzioni a tempo indeterminato. Insomma – ha concluso Zini – con il varo di questo provvedimento si rischia l’esito paradossale non solo di non fare l’interesse delle imprese, ma neppure quello dei lavoratori, che si ritroveranno per lo più con contratti di durata inferiore, sfavorendo lo sviluppo di competenze ed esperienza, fattori chiave per la crescita delle aziende”.