Voucher, Parolini: strumento essenziale, il parlamento ci ripensi

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“Il Parlamento deve necessariamente modificare il decreto di abolizione dei voucher: è irresponsabile togliere il sistema dei voucher, senza trovare alternative, per questioni di partito innescate dalla Cgil, assestando così un duro colpo al tessuto produttivo lombardo in settori chiave che richiedono maggiore flessibilità come, ad esempio, quello turistico, agricolo, del no profit o dell’assistenza familiare”. È quanto ha dichiarato stamane Mauro Parolini, assessore regionale allo Sviluppo economico di Regione Lombardia, a margine della conferenza stampa “Europa che unisce, Europa che divide. Popolari, cioè alternativi a burocrati e populisti”, organizzata, a Milano, da Lombardia Popolare.

“È una decisione che ricade sulla testa delle piccole imprese, delle famiglie e dei lavoratori, soprattutto – ha sottolineato Parolini – quelli più giovani, deboli e precari, ai quali è garantito attraverso i voucher un contesto di legalità, assistenza ed emersione dal nero”.

“In assenza della revisione generale della materia, – ha concluso Parolini – è impensabile che la permanenza di questo strumento possa essere in balia di un esito referendario pretestuoso, ma è piuttosto necessario rimodularlo affinché sia ancora più semplice e controllabile”.

1 Comment

  1. Più o meno dello stesso tenore sono i dubbi espressi dal quotidiano “Italiaoggi” in un articolo del 27 marzo che mi permetto di commentare.
    L’articolo, recante il titolo “Aboliti i voucher, torna il nero” offre la possibilità di misurare il grado di inconsistenza e la strumentalità delle argomentazioni care ai settori interessati. Un altro quotidiano, “Il Giornale”, ha addirittura già fatto una stima: 300000 posti di lavoro persi a causa dell’abolizione dei “voucher” (domanda: se si trattava di posti di lavoro, perchè erano “regolati” con i “voucher”?).
    La prima (curiosa) argomentazione sostenuta è che il governo, con il suo provvedimento di effetto caducatorio, starebbe danneggiando i lavoratori e le imprese.
    La colonna portante del ragionamento è che, tolto di mezzo il buono lavoro, non vi sarebbe nell’ordinamento giuslavoristico alcuna forma legale di disciplina per la “miriade di situazioni caratterizzate soprattutto dalla saltuarietà delle esigenze lavorative”. Ergo, il lavoro sommerso è presentato come una sorta di legge naturale alla quale dovrebbero ineluttabilmente soggiacere i soggetti che, o si trovano disposti a incontrarsi nel mercato visibile in corrispondenza di una situazione in cui il lavoro costa poco ed è ricattabile, oppure si incontrano di nascosto in corrispondenza di una situazione in cui il lavoro … costa poco ed è ricattabile! Considerato anche che la cumulatività contributiva a fini pensionistici prevista dai “voucher” era ridicola e discontinua, dove sia il danno per i lavoratori non è dato sapere.
    Difatti la radice degli interessi in gioco, come detto, emerge subito dopo. Dopo aver fatto ricorso alla ormai rodata tecnica strappalacrime imperniata sulla condizione delle famiglie bisognose di aiuto, continua l’articolo: “Problemi insormontabili anche per la piccola azienda che deve far fronte a un picco di lavoro di natura temporanea”. Impossibile, si ritiene, utilizzare il lavoro a chiamata, perchè si possono impiegare lavoratori di età inferiore a 25 anni e superiore a 55 solo per 400 giorni in 3 anni. Alla faccia della saltuarietà!
    Poi, prosegue “Italiaoggi”, del lavoro a tempo determinato neanche a parlarne: bisogna far fronte a questioni burocratiche e non potrà essere assunto un numero di lavoratori superiore al 20% della forza lavoro già in azienda. Capito? Il 20%! Ma su quanta precarietà si pretende di poter contare? Evidentemente la precarietà induce il medesimo effetto delle sostanze stupefacenti che creano dipendenza. Non basta mai. Infine, si sostiene, ci si potrebbe avvalere della somministrazione di lavoro temporaneo fornito da un’agenzia, ma si incorre in costi superiori (di nuovo, la radice che viene fuori) e il percorso è “poco ortodosso” (evidentemente, di ortodosso vi deve essere solo lo sfruttamento).
    Ora, per dare un’idea della saltuarietà che giustificava il ricorso ai “voucher”, basti rammentare che i primi utilizzatori di tale forma di ingaggio lavorativo sono state, nel 2016, società per azioni di una certa dimensione che hanno così sostituito lavoro regolare.
    Inoltre, è risaputo che l’uso dei “voucher” non ha disincentivato l’inveterata e capillare abitudine all’evasione contributiva.
    Quindi, per riassumere e chiudere:
    1 secondo la stampa portavoce degli interessi imprenditoriali il lavoro deve essere molto conveniente dal lato dei costi e della burocrazia, altrimenti scatta l’arma ricattatoria del lavoro nero e per perseguire tale mirabile intento non si disdegna l’arma del compassionevole richiamo alla povertà che attanaglia la tradizionale formazione sociale nucleare, la famiglia, cercando di trovare del consenso dalla messa in competizione delle famiglie di lavoratori con altri lavoratori.
    Secondo chi scrive l’abrogazione dei “voucher” deve invece dare la stura, nel paese, a una presa di coscienza diffusa delle deteriori condizioni in cui si trova il lavoro ed alla ripresa su vasta scala dei movimenti per la rifondazione democratica del diritto del lavoro.

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