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La politica dica cosa vuole fare del nostro voto | di Marco Bonometti

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di Marco Bonometti (discorso all’assise di Confindustria a Verona) – Cari colleghi ed amici, le Assise generali di Confindustria, si collocano strategicamente alla vigilia delle elezioni politiche, ed anche delle elezioni ragionali in Lombardia, la regione più industrializzata d’Italia ed una delle più industrializzate d’Europa.

Nel calendario dei lavori mi è stato assegnato il compito di parlarvi della semplificazione. Argomento di importanza primaria in un paese come l’Italia, che non vive di materie prime e che avrebbe estrema necessità di flessibilità e di snellezza.

È un tema a noi caro, per averne parlato in tutte le lingue ed in tutte le salse, per anni, raccogliendo sempre grandi consensi, ma con risultati lontani dai nostri desiderati, che sono poi quello che si aspetterebbe ogni cittadino italiano. La lodevole eccezione della legge Bassanini risale ormai a più di 20 anni fa – e della neo approvata ‘legge Madia’ dobbiamo ancora capirne la effettiva ricaduta.

Ciascuno di voi fa i conti tutti i giorni con le farraginosità del nostro paese, e tutti i presidenti delle territoriali e delle categorie di Confindustria hanno già detto, in tutte le sedi e meglio di me, quello che c’era da dire sul tema della semplificazione, diventato ormai la stanca litania di un discorso tra sordi.

Vincenzo Boccia e Voi tutti mi perdonerete se colgo l’occasione per parlarvi 5 minuti di noi, di come vorremmo fare gli imprenditori in Italia. Lo farò con la mia consueta franchezza, senza giri di parole,

come convinto sostenitore della democrazia, quella vera,

come convinto sostenitore del primato della politica,

e anche sostenitore del dialogo tra imprese e lavoratori.

  • Sfido chiunque, però, a dimostrare che questa che stiamo vivendo sia la democrazia che noi vorremmo realizzata ed adulta nel nostro Paese.
  • così come sfido chiunque a dimostrarmi che la gazzarra in scena nella campagna elettorale abbia la dignità della politica, al punto da rendere complicata l’individuazione dei partiti, la loro origine, la loro storia, il loro credo, il loro punto di arrivo, al punto che, nella coscienza più diffusa, non esiste più tra loro alcuna differenza, non ci sono obiettivi caratterizzanti, non ci sono più ideologie.
  • Sfido chiunque, infine, che quello che è accaduto in Acea sia manifestazione di corretta volontà di dialogo tra impresa e lavoratori, o meglio la loro rappresentanza.

Democrazia significa che il popolo governa attraverso i rappresentanti eletti, sulla base di programmi nei quali gli elettori si riconoscono e per la cui realizzazione i politici assumono impegni.

Ma non è così.

Ma quello che come imprenditori ci lascia veramente perplessi, e uso un eufemismo, è la rincorsa all’assurdo: c’è chi promette esenzioni fiscali, chi promette esenzioni contributive, chi promette pensioni a tutti, chi promette redditi a tutti, di cittadinanza, di inclusione, di povertà, e perfino più alti degli stipendi di chi lavora. C’è anche chi vuole cancellare la legge Fornero, chi vuole cancellare il Job’s act, chi si “limita”, tra virgolette alla reintroduzione dell’articolo 18.

NESSUNO SPIEGA DOVE TROVERÀ LE CENTINAIA DI MILIARDI CHE SERVONO.

Nessuno spiega come faranno poi le imprese a mantenersi competitive, in mercati globali sempre più liberi, più concorrenziali, in cui la semplificazione è normale, è ampiamente acquisita, mercati in cui si fa in giorni ciò che da noi si fa in mesi, ed in settimane ciò che da noi si fa in anni, se lo si fa.

Questo sistema non dura per caso. Dura perché va bene a chi vuole che nulla cambi, perché in questo ginepraio in cui ci vogliono mesi per un passaporto, ed anni per un esame specialistico complesso, il che fa la differenza tra il vivere e morire, prosperano l’affarismo, il sottobosco, la clientela, la corruzione.

NOI VOGLIAMO ESSERE IMPRENDITORI SERI ED UOMINI ONESTI.

E vogliamo un paese in cui gli imprenditori seri e gli uomini onesti possano lavorare e prosperare secondo le loro capacità ed il loro amore per il rischio, senza dover lottare contro i tentacoli della legislazione arcaica, confusa, contraddittoria, soffocante e della burocrazia insormontabile.

Se è vero, cari colleghi, che il primato della politica non è in discussione, allo stesso modo, io ritengo, non deve essere in discussione il ruolo dell’impresa, che in larga misura produce la ricchezza sulla quale tutto si costruisce.

Senza impresa, senza lavoro, senza ricchezza, tutto il resto crolla, travolgendo con sé le fragilità degli anziani, i sogni dei ragazzi, le speranze dei giovani, il futuro di tutti.

Un futuro incerto se in Acea, importante azienda romana a capitale pubblico, è stato firmato un accodo aziendale che reintroduce l’articolo 18. Di nascosto, nottetempo, senza coinvolgere le rappresentanze industriali.

Con i soldi dei cittadini, che pagano tasse e servizi, Acea e Sindacati hanno cancellato una legge dello Stato. Una legge che, tra l’altro, sta dando buoni frutti, contribuendo al recupero di produttività.

E tutto questo alla vigilia della firma, tra Confindustria e Sindacati, del patto per il lavoro.

Ma tu, caro Vincenzo, con chi dovresti firmare? Con gente che non ha rispetto della legge? Con gente che non ha rispetto degli interlocutori? Con gente che non rispetta neanche la propria dignità al tavolo negoziale?

COSA PUÒ FARE CONFINDUSTRIA?

Io credo che a queste domande debbano venire risposte chiare da queste Assise, che sono un momento di alta democrazia imprenditoriale.

La politica ci deve dire cosa vuole fare del nostro voto, del voto degli italiani.

Ci deve dire come, quando, dove intende operare.

Per fare che cosa, e con quali soldi.

Con progetti chiari e con tempistiche definite e verificabili.

Confindustria, dal canto suo, proponga, esiga, vigili, con programmi chiari e con scale di priorità.

E dica chiaramente ai partiti, al governo che verrà, che ad ogni azione corrisponderà inevitabilmente una reazione uguale e contraria.

Dica, ad esempio, che una consistente riduzione – organica e strutturaledei contributi previdenziali non è più rinviabile, che questa riduzione non è compatibile con la cancellazione della Fornero, perché l’Inps rischierebbe il fallimento, perché mancherebbero i soldi per pagare le pensioni.

Confindustria dica a chiare lettere che alla perdita di competitività seguiranno crisi aziendali sempre più marcate, disinvestimenti, riallocazioni delle risorse in paesi più accoglienti. Non per capriccio, non per reazione, ma perché saranno conseguenze inevitabili, secondo regole di mercato che prescindono dal nostro volere.

Dica ad alta voce Confindustria che chiede ai partiti un preciso impegno a introdurre per legge l’inderogabilità delle leggi sul lavoro, salvo che sia la legge stessa a prevederla. Questo anche per introdurre regole di civiltà nella contrattazione, per introdurre principi di correttezza inderogabile nell’azione sindacale, che prende ai tavoli quello che può, e poi estorce quello che non può.

Tutto questo Confindustria deve dirlo a voce alta, affinché ci sia un recupero di responsabilità ed una chiara assunzione di impegni, che consenta ai cittadini scelte altrettanto responsabili.

CONFINDUSTRIA, TUTTI NOI, DOBBIAMO AVER CHIARO CHE CON I COLLATERALISMI NON SI VA DA NESSUNA PARTE.

Certo, Confindustria è stata storicamente filogovernativa. E sarebbe bene che lo restasse, a mio giudizio, a condizione che politica e partiti esprimano un progetto che mette al centro l’Italia, i suoi cittadini, i suoi anziani, con le loro debolezze, i suoi giovani, con il loro futuro, i loro sogni, e le vie per tramutarli in realtà.

Senza di questo, l’Italia finirà inevitabilmente e progressivamente ai margini dei paesi sviluppati, pur avendo assets invidiabili, a cominciare dall’intelligenza degli italiani, dalla loro inventiva, dal loro attaccamento al lavoro, dalla loro genialità.

Doti preziose, che tutti noi sperimentiamo tutti i giorni, nelle nostre aziende, nei nostri operai, tra i nostri collaboratori, i nostri progettisti, i nostri manager.

Perfino la Ferrari, che il mondo ci invidia, serve a poco se non c’è chi la sappia condurre.

Qualcuno dirà che ho parlato poco di semplificazione.

E’ vero, lo riconosco.

Ma – permettetemi l’estrema semplificazione – se vogliamo cucinare qualcosa, servono prima di tutto le pentole. Altrimenti facciamo discorsi a vuoto, finiamo per prenderci tutti clamorosamente in giro.

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