Magazine di informazione economica di Brescia e Provincia

Monthly archive

Febbraio 2018

Lombardia, imprese sempre più orientate ai mercati internazionali

in Economia/Export/Tendenze by

Sono 815 mila le imprese in Lombardia e 63 mila gli operatori economici lombardi che mandano in un anno le loro merci nel mondo, pesando il 7,7% sul totale delle imprese rispetto al 6,6% di nove anni fa. La Lombardia vale il 29% sul totale italiano di circa 220 mila operatori che trattano con l’estero. Cresce del 17% in nove anni il numero degli esportatori della regione e del +9% l’entità dell’export pari a 110 miliardi. Si è passati dai 54 mila operatori del 2007 ai 63 mila di oggi, 9 mila in più. Dopo il boom del 2015, anno di Expo (oltre 63 mila operatori che esportavano) il livello si mantiene elevato e superiore agli anni pre – Expo (erano circa 61 mila nel triennio precedente). Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su dati Istat- ICE, anni 2006-2016.

Startup innovative, in provincia di Brescia sono 137

in Economia/Innovazione/Startup/Tendenze by
Startup a Brescia, ecco i dati

C’è l’app che monitora l’utilizzo patologico dei cellulari, il cerotto sviluppato con le nanotecnologie, ma anche un nuovo materiale riciclabile e un biomarcatore capace di individuare nel sangue potenziali cause di infertilità. Sono soltanto alcuni esempi delle invenzioni brevettate in Lombardia che si conferma, nel 2017, regina delle start up innovative: una su quattro ha sede nella regione della rosa camuna.

A dirlo è il quarto rapporto trimestrale sulle start up innovative italiane, realizzato dal Ministero dello Sviluppo economico e di InfoCamere, in collaborazione con UnionCamere e relativo ai dati al 31 dicembre 2017. Secondo i dati su 8.391 startup italiane 1959 sono in Lombardia, pari al 23,35 per cento. Al secondo posto c’è l’Emilia Romagna con 862 attività (10,27% del totale italiano), seguita dal Lazio con 825 (9,83%). Fanalino di coda della classifica la Valle d’Aosta con appena 17 startup innovative. Il 70,9 per cento di queste attività fornisce servizi alle imprese, il 19,2 per cento opera nei settori dell’industria in senso stretto, mentre il 4,2 per cento riguarda nel commercio. Idee, innovazione, ma anche posti di lavoro: 10.847 persone sono gli addetti che lavorano in queste attività, con un incremento di 585 unità rispetto a giugno 2017, pari a una crescita del 5,7 per cento (dati settembre 2017).

LE STARTUP LOMBARDE CRESCONO DEL 9% IN 3 MESI. NEL 2018 SONO 111 IN PIÙ

Rispetto al terzo trimestre 2017 le start up innovative della Lombardia aumentano di oltre il 9 per cento, passando da 1793 a 1959 attività. Una percentuale superiore di circa 3 punti percentuale rispetto alla crescita media nazionale che si ferma al 6,8 per cento, con la provincia di Milano che registra un incremento delle registrazioni di oltre il 10 per cento. E il trend positivo per la Lombardia continua anche nel 2018, secondo i dati del Registro Imprese al 26 febbraio ci sono 111 nuove startup, arrivando quindi a quota 2070.

MILANO PRIMA PROVINCIA D’ITALIA. BENE ANCHE BERGAMO E BRESCIA

Tra le province italiane è Milano a guidare la classifica con 1370, pari a oltre il 16 per cento del totale nazionale, seguita da Roma con 716 (8,53%) e Torino 318 (3,79%). A livello regionale, dopo Milano, la provincia lombarda più attiva è Bergamo con 137 startup innovative, seguita da Brescia con 122, Monza e Brianza con 64 attività, Pavia con 49, Varese con 47 e Como con 44 start up innovative.

IL 29 PER CENTO DELLE STARTUP STRANIERE HA SEDE IN LOMBARDIA

Anche le start up innovative straniere scelgono la Lombardia: sono 64 su 224 registrate in Italia a fine 2017, e corrispondono al 29 per cento del totale. La provincia di Milano, con 52 imprese pari al 23,2 per cento del dato nazionale, è quella che guida la classifica. In particolare, l’86 per cento, pari a 46 imprese (corrispondente al ventuno per cento italiano), sono “residenti” proprio nella città meneghina.  Per quanto riguarda i settori di attività, i principali sono quello della produzione di software e consulenza informatica, in cui lavora quasi il 35 per cento delle start up, i servizi di informazione, in cui si concentra poco più del 23 per cento, e la ricerca scientifica e il suo sviluppo, in cui sono attive circa il 6 per cento delle nuove imprese.

Ma l’ecosistema delle start up innovative straniere non si limita alla sola Milano. I dati della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi su dati del registro imprese a fine dicembre 2017 mostrano che altre province lombarde sono state in grado di attirare l’attenzione dell’imprenditoria straniera. In particolare, sono Como e Varese a emergere, figurando tra le prime venti a livello nazionale e vantando rispettivamente quattro start up innovative straniere (al 13° posto in Italia) e tre start up innovative straniere (al 20° posto della classifica nazionale).

A livello nazionale dopo Milano viene Roma con 22 start up, seguono Bologna con 9 imprese, e poi Modena con 8 imprese, infine Torino e Vicenza entrambe con 7 imprese.

Bollette energia, Massetti: no a Pmi come strumenti per far cassa

in Associazioni di categoria/Confartigianato/Economia/Energia/Eugenio Massetti/Partner/Personaggi by
Eugenio Massetti, Confartigianato Brescia

Se all’inizio era confusione (QE 20/2) ora si può parlare di vero e proprio caos. La vicenda della socializzazione in bolletta degli oneri non pagati dai clienti morosi ha scatenato una reazione collettiva, in parte alimentata da notizie imprecise o false. È il caso della campagna partita l’altro ieri sui social network e su whatsapp, che annuncia un addebito di 35 euro sulla bolletta elettrica di aprile legato proprio al nodo morosità. Cifra campata in aria, ma non priva di fondamento. Visto che proprio l’altro ieri l’Autorità per l’Energia ha stimato un impatto sui clienti domestici di circa 2 € annui (seppure in relazione al solo debito accumulato dai distributori nei confronti dei venditori, QE 22/2). Peraltro con tempistiche più a lungo termine e sulla base di un meccanismo “graduale”.

La stessa Codacons è intervenuta ieri per precisare che “si tratta di una bufala a tutti gli effetti”. Ma non per questo l’associazione dei consumatori attenua la propria contestazione contro i provvedimenti dell’Autorità annunciando anzi di avere in preparazione un ricorso al Tar Lombardia contro la delibera 50/2018, quella che appunto tende a spalmare in bolletta il debito dei distributori. E si è mossa anche Confartigianato, che però si concentra più sul dco 52/2018 relativo ai rimborsi ai venditori. «L’Autorità per l’Energia ci ripensi. È inaccettabile la decisione di far pagare ai consumatori in regola gli oneri di sistema non riscossi dai clienti morosi. Si tratta di una scelta iniqua, che deresponsabilizza l’intera filiera energetica e danneggia le dinamiche concorrenziali del mercato» precisa Eugenio Massetti, presidente di Confartigianato Brescia e Lombardia e delegato di Confartigianato nazionale all’Energia che prosegue: «I clienti che rispettano i propri obblighi contrattuali dovrebbero accollarsi gli oneri di sistema di chi non paga? Se le società di vendita di energia falliscono non vi è forse anche una responsabilità di chi doveva vigilare? E se le imprese non sono in grado di valutare efficacemente la serietà dei propri clienti perché i costi di queste manchevolezze devono essere pagati da chi non ne è responsabile?».

Massetti giudica «incomprensibili le ragioni dell’Autorità, alla quale chiediamo di ritirare la consultazione sul meccanismo di riconoscimento degli oneri non riscossi ai venditori e di convocare al più presto tutti gli operatori del mercato dell’energia. Dopo le agevolazioni agli energivori, non sono accettabili ulteriori balzelli che trasformano le bollette delle piccole imprese in strumenti per “fare cassa” e compensare inefficienze in attività di legislazione, regolazione e controllo».

Vendita a domicilio: 1,66 miliardi di fatturato nel 2017, +1,8%

in Commercio/Economia/Evidenza/Tendenze by
Vendite porta a porta a Brescia

Univendita chiude il 2017 con un fatturato delle imprese associate pari a 1 miliardo e 660 milioni di euro, con un incremento dell’1,8% rispetto al 2016. «Inanelliamo così una crescita per l’ottavo anno consecutivo –dichiara il presidente di Univendita Ciro Sinatra–. Nel 2017 le aziende associate hanno macinato numeri impressionanti: sono stati processati 12 milioni e 200 mila ordini, che si stima equivalgano a circa 4,5 milioni di clienti serviti. I consumatori, dunque, esprimono fiducia verso un settore, come il nostro, che fa della cura delle relazioni dirette con la clientela il fattore più importante del proprio successo».

Nel dettaglio, il comparto più dinamico è stato quello degli “alimentari e beni di consumo” che hanno registrato una crescita del 2,5%, seguiti da “cosmesi e cura del corpo” in aumento del 2%. A seguire i “beni durevoli casa” (+1,5%) che, con una quota di mercato del 59%, si conferma il comparto più rilevante della vendita a domicilio. Dati positivi anche per “altri beni e servizi” in crescita del 2,6%.

Sul fronte occupazionale, i venditori a domicilio sono oltre 158.000, in aumento dell’1,3% rispetto al 2016, con una componente femminile pari al 91%. La fascia di età più rappresentativa (57% dei venditori) va dai 25 ai 49 anni. Numeri importanti anche per gli ultracinquantenni, pari ad oltre un quarto del totale. «I giovani sotto i 25 anni rappresentano quasi il 16% dei venditori –fa notare sempre Sinatra–. È un numero che ha ancora margini di crescita ma che denota una forza vendita giovane, segno che la vendita a domicilio è un settore che ha una grande capacità di esercitare attrattiva anche sui “millennials”. Per molti è una porta d’ingresso nel mondo del lavoro, perché permette di mettersi alla prova senza richiedere un’esperienza pregressa, magari come attività part-time mentre si studia. E per tanti, poi, la carriera nel settore continua».

I risultati della vendita a domicilio sono decisamente migliori di quelli del commercio fisso al dettaglio, che segna nel 2017 una modesta crescita dello 0,2% (dati Istat), sintesi di un aumento dell’1,4% della grande distribuzione e una diminuzione dello 0,8% dei piccoli esercizi commerciali.

Fra gli indicatori macroeconomici, nel 2017 il Pil è cresciuto dell’1,4% (in aumento rispetto allo 0,9% del 2016), portando così l’economia italiana ai massimi da 7 anni, mentre il tasso di inflazione si attesta allo 0,9% rispetto al -0,1% del 2016.

 

 

Public utilities, a Brescia danno lavoro a 15mila persone

in A2A/Ambiente/Brescia Mobilità/Cogeme/Economia/Farcom/Lgh/Partecipate e controllate/Terna/Trasporti by

Trasporti di merci e persone, produzione di energia elettrica, costruzioni di strade e autostrade, telecomunicazioni, smaltimento rifiuti, gas, acqua: sono oltre 9 mila le imprese lombarde attive nei settori delle public utilities, +4% in cinque anni, con 186 mila addetti. Pesa la Lombardia sulle 60 mila imprese in Italia (+9%) con 864 mila addetti. In particolare, più di 4 mila sono specializzate nei servizi di supporto ai trasporti e circa 2 mila quelle attive nella produzione di energia.

Emerge da un’elaborazione della Camera di commercio di Milano, Monza Brianza e Lodi su dati registro imprese 2017, 2016 e 2012.

Oggi alla Camera di commercio di Milano la sesta edizione di TOP UTILITY, rapporto focalizzato sul tema: “Ambiente, business, community e innovazione nei servizi pubblici locali”. Durante l’incontro sono stati presentati i risultati dell’ indagine sulle prime 100 italiane.

Lombardia.5 mila imprese si concentrano a Milano, tra le lombarde Bergamo e Brescia con quasi mille imprese e rispettivamente 13 mila e 15 mila addetti, Varese e Monza con oltre 500 (9 mila e 7 mila addetti), Como con circa 400 (4 mila addetti circa come Mantova). Crescono di più in cinque anni Mantova (+14%), Lecco (+11%) e Milano (+8%).

Italia.5 mila imprese si concentrano a Milano, prima in Italia insieme a Roma. Seguono Napoli con circa 3 mila imprese e con circa 2 mila ciascuna Venezia, Torino e Bolzano. Tra le prime venti provincie italiane anche Bari con1.518, Salernoe Genova con oltre 1.200. Per addetti prima Roma con 194 mila, poi Milano con 124 mila, Torino con 30 mila e Napoli con 26 mila. Tra queste prime aree, crescono di più nell’ultimo anno: Milano (+3%), Bolzano e Napoli (+2%).

QUALCHE DATO

· Le utility italiane si consolidano, registrando ricavi complessivamente in crescita (115 miliardi nel 2016, +1,2% rispetto all’anno precedente) e dati in miglioramento anche sulla qualità del servizio offerto (ad esempio perdite di rete, depurazione e raccolta differenziata);

· crescono gli investimenti delle multiutility (+18,1% sul 2015) per 1,65 miliardi di euro, ma anche il valore della produzione (+7,5%);

· migliorano le performance economico-finanziarie, crescono i ricavi delle monoutility dei rifiuti (+3,5%) e idriche (+1,6%). Queste ultime, negli ultimi tre anni, hanno visto crescere fortemente i margini;

· le imprese stanno investendo in R&S (quasi il 90% ha in corso programmi di ricerca), per accompagnare i territori ai cambiamenti e alle opportunità derivanti dalla rivoluzione digitale e affrontare la transizione energetica verso le rinnovabili;

· le utility sono fornitrici di nuovi servizi alle città: dai sistemi di monitoraggio ambientale, alla mobilità sostenibile, dalla mappatura energetica all’implementazione di sistemi di ottimizzazione e monitoraggio dei cantieri e dei lavori in corso.

La carta d’identità del settore

Le 100 maggiori utility attive in Italia nei settori dell’energia elettrica, del gas, del servizio idrico integrato e della raccolta dei rifiuti urbani hanno prodotto nel 2016 ricavi per 115 miliardi di euro, pari al 6,9% del PIL italiano, con una forza lavoro di quasi 142.000 unità. Sono in maggioranza imprese di medie e piccole dimensioni, oltre la metà ha ricavi inferiori a 100 milioni di euro e solo il 14% supera il miliardo. Il 66% delle aziende è a capitale interamente pubblico. Prosegue il processo di consolidamento: nel settore idrico sono state numerose le aggregazioni, soprattutto nel Nord Est. Nei rifiuti, invece, l’area più dinamica è il Centro Italia.

Chi sale e chi scende

Sono in crescita i ricavi delle Top 100 nel 2016 (+1,2% rispetto all’anno precedente), con risultati fortemente differenziati tra le varie tipologie di azienda. Quelle con la crescita maggiore sono le multiutility, che nel 2016 hanno incrementato il valore della produzione del 7,5%, seguite dalle monoutility dei rifiuti (+3,5%) e da quelle idriche (+1,6%). Nel comparto energetico, invece, i ricavi delle aziende elettriche sono stati sostanzialmente stabili (-0,4%), mentre le monoutility del gas sono calate dell’11,1%, principalmente a causa della riduzione del prezzo del gas. Ciononostante, queste aziende sono comunque quelle più solide, con indici di redditività più elevati e una situazione debitoria più sostenibile.

Investimenti, crescono quelli delle multiutility

Gli investimenti in impianti, infrastrutture, reti ed attrezzature sono stati poco più di 4,6 miliardi di euro, pari allo 0,3% del PIL e all’1,6% degli investimenti fissi lordi italiani. Il valore è leggermente inferiore a quello del 2015 (-1,5%). La categoria che ha registrato la maggiore crescita degli investimenti è quella delle multiutility, con 1,65 miliardi di euro nel 2016 (+18,1% sul 2015), pari al 35,8% del totale (contro il 29,9%). Considerando gli investimenti sul valore della produzione, sono le monoutility idriche a mostrare il dato più elevato (20,1%), con un investimento medio per abitante di 26,2 euro.

Buone performance, ma i clienti diventano più esigenti

Il quadro d’insieme mostra un progressivo miglioramento delle prestazioni dei settori ambientali – acqua e rifiuti – e una sostanziale stabilità di quelli energetici. Sul fronte idrico le Top 100 presentano dati migliori della media nazionale (32% contro il 38,3% nelle perdite di rete, fonte Istat), in miglioramento rispetto al 2015 di due punti percentuali. Nella depurazione aumenta il rendimento degli impianti, misurato dal grado di abbattimento del COD, che guadagna 13 punti percentuali sul 2015, raggiungendo il 91%. Non migliora, però, la quota di utenti collegati ai depuratori, che addirittura cala di un punto rispetto al 2015. Nel ciclo rifiuti la raccolta differenziata cresce in media di cinque punti percentuali sul 2015, attestandosi al 58%, rispetto alla media nazionale del 52,5%. A questo risultato concorre anche l’adozione di sistemi porta a porta come modalità prevalente di raccolta (68% delle aziende del Top 100). Il settore della distribuzione del gas mostra una sostanziale stabilità. Si riducono i tempi medi di esecuzione di lavori semplici e di attivazione della fornitura: rispettivamente da 5,3 a 4,8 giorni e da 3,3 a 3,2 giorni.
Nonostante tutti questi dati incoraggianti, l’indice di soddisfazione dei clienti è tuttavia più basso, per la prima volta in quattro anni, passando da 85,07 nel 2015 a 82,05 nel 2016. In flessione anche le performance del servizio clienti, con un lieve aumento dei tempi di attesa e un calo del livello di servizio dei call center. Crescono anche i reclami dei clienti.

La digitalizzazione e i nuovi servizi per le città

L’innovazione tecnologica è un fattore strategico per lo sviluppo del settore utility, che impatta in modo significativo sullo sviluppo del territorio e sulla qualità della vita dei cittadini.  Quasi 9 imprese su 10 (l’89,7%) effettua attività di ricerca, in particolare legata al tema della digitalizzazione. Nel 2016 il 53,8% delle aziende aveva sistemi integrati per la raccolta e la gestione dei dati di impianti e infrastrutture mediante strumenti di ICT, come IoT o big data analytics. L’obiettivo per le utility è di poter offrire nuovi servizi alle città: dai sistemi di monitoraggio ambientale (qualità dell’aria e dell’acqua, sicurezza idrogeologica), alla mobilità sostenibile (colonnine di ricarica per l’auto elettrica, car sharing o servizi di smart parking), dalla mappatura energetica delle città all’implementazione di sistemi di ottimizzazione e monitoraggio dei cantieri e dei lavori in corso.

Sostenibilità & Comunicazione

Il 2016 ha evidenziato un’accelerazione nei livelli di attenzione delle utility per i temi della sostenibilità. L’obbligo di pubblicazione del rapporto di sostenibilità per le grandi aziende di interesse pubblico riguarderà 42 delle Top 100. Nel 2016 sono state 38 le aziende che hanno pubblicato il bilancio di sostenibilità, due in più rispetto al 2015 e cinque rispetto al 2014. Quasi tutte le Top Utility, invece, hanno un codice etico, che arriva al 96% dei casi nel 2016 contro l’89% di due anni prima. Quanto poi alla formazione del personale, aumentano le ore di formazione per dipendente, che sono passate da 15,6 nel 2015 a ben 21,3 nel 2016 e hanno riguardato l’86% dei dipendenti.

Economia, ecco cosa chiedono alla politica le imprese bresciane

in Aib/Api/Assocamuna/Associazione Artigiani/Associazioni di categoria/Camera di commercio/Cdo/Cna/Confartigianato/Confesercenti/Economia/Evidenza/Istituzioni/Parlamento e governo/Partner 2/Regione by

Dodici fra le più importanti Organizzazioni di rappresentanza del territorio unite per rappresentare le proprie istanze ai candidati alle elezioni regionali con un documento congiunto.

Un documento strategico per sostenere con un’azione di sistema le istanze delle imprese bresciane in un momento cruciale per la competitività del nostro territorio, basato su dieci punti strutturati per offrire alla politica una prospettiva strategica territoriale, basata su progetti tesi a favorire lo sviluppo, il sostegno alle imprese (in particolare alle PMI) nel mondo 4.0., favorire la crescita e l’occupazione, in particolare quella giovanile.

Obiettivi imprescindibili, senza i quali non sarà possibile contrastare disuguaglianza e povertà, favorire lo sviluppo di un’economia circolare, ridurre i divari e garantire una crescita inclusiva e dinamica.

Questi i temi analizzati dalle Organizzazioni di rappresentanza d’impresa, calati in un’ottica legata esclusivamente al nostro territorio:

·      Valorizzazione del rapporto associativo e trasparenza;

·      Formazione;

·      Lavoro, Welfare e responsabilità sociale;

·      Infrastrutture;

·      Ambiente ed energia;

·      Competitività e ricerca e innovazione;

·      Accesso al credito;

·      Internazionalizzazione;

·      Semplificazione amministrativa e contenimento del costo della PA;

·      Autonomia lombarda anche per i Comuni e i corpi intermedi.

Brescia non può più aspettare: come sintetizzato da Giuseppe Pasini, Presidente di AIB “Sono lieto che così tante importanti Organizzazioni di rappresentanza del territorio abbiano aderito a questa iniziativa: presentare un documento unico ai candidati alle prossime elezioni regionali che rappresenti le istanze socio-economiche più stringenti per il nostro territorio.  Gli imprenditori bresciani sono stanchi di vane promesse che durano lo spazio di un’elezione. Siamo un territorio ricco di potenzialità, proiettato verso una crescita solida e sostenibile e in grado di tener testa ai competitor internazionali, come dimostrano i dati sull’export che vedono Brescia al quarto posto fra le province esportatrici italiane con 14,5 miliardi di euro nel 2016 (fonte ISTAT). Per proseguire in questo cammino virtuoso, abbiamo bisogno che la Regione e le Istituzioni ci sostengano, siano al nostro fianco e non siano viceversa la spina nel nostro fianco. Un esempio su tutti, la questione infrastrutture: se penso al raccordo autostradale della Val Trompia e all’assurdo paradosso burocratico contro il quale il territorio e le imprese si trovano a lottare da anni, mi chiedo semplicemente: perché? Il nostro territorio è uno dei motori dell’economia del nostro Paese e la politica deve prodigarsi per sostenere le imprese e i lavoratori con programmi e progetti di ampio respiro e strutturati sul lungo termine, che consentano alle imprese di lavorare, assumere e investire in un clima stabile. Sui programmi, e solo su quelli, valuteremo i candidati.”.

Incalza Douglas Sivieri, Presidente di Apindustria: “Affinché la crescita che stiamo riscontrando possa diventare più solida, necessitiamo di una politica industriale che guardi al lungo periodo con interventi ed impegno corposi, a livello nazionale ma anche regionale. In primo luogo per quanto riguarda la formazione: le misure a sostegno di ITS e IFTS vanno intensificate e ci auguriamo che la Regione contribuisca all’adeguamento delle tecnologie e degli strumenti in uso negli istituti tecnici così che gli studenti formati siano allineati alle esigenze del mercato. Ma interventi sono indispensabili anche per quanto riguarda le infrastrutture (non solo in termini di viabilità ma anche tecnologici) e nelle politiche a supporto delle PMI, per le quali qualcosa è stato fatto, ma chiediamo alla Regione di proseguire intensificando misure dedicate per esempio all’accesso al credito e all’internazionalizzazione.  Solo in questo modo, operando in un clima favorevole di sviluppo, le imprese potranno raggiungere una stabilità maggiore.”

Per Bortolo Agliardi, Presidente dell’Associazione Artigiani, “il sistema impresa nel suo complesso ha fatto rete, al di la dei personalismi e degli interessi di parte. Non ci si deve vergognare di fare lobby perché pensiamo di rappresentare quella parte sana del Paese che produce e genera ricchezza. Per questo immaginiamo che la politica debba scendere dallo scranno del “non luogo” del parlamento e si riappropri del “luogo” Paese fatto di tanti imprenditori e i tanti lavoratori che esprimono vitalità e prosperità. Le sintesi dei problemi che abbiamo rappresentato hanno però una matrice unica che deve essere assolutamente sconfitta “quella burocrazia che sta falcidiando le attività e che frenano gli investitori stranieri. Per questo desideriamo un impegno preciso che vogliamo misurare nei fatti concreti e non nelle parole/promesse di una campagna elettorale spesso svuotata dei contenuti veri che vorremmo veder affrontati”.

Per il Presidente di Confartigianato Brescia e Lombardia Eugenio Massetti: “Sottolineare sinteticamente e congiuntamente alcune priorità per il contesto Provinciale Bresciano è fondamentale per chiedere che i punti qui raccolti siano oggetto per tutti i candidati, di un preciso impegno da promuovere e attuare se eletti. Dal canto nostro il valore artigiano rappresenta e deve rappresentare quell’insieme di valori storici tutt’oggi attuali, ai quali ci ispiriamo e che ci consentono di rappresentare gli interessi generali del ceto medio produttivo vera spina dorsale del sistema produttivo bresciano e che si confronta con due grandi sfide di cambiamento: globalizzazione dei mercati e tecnologie digitali. Riteniamo che lo sviluppo della regione Lombardia, quale locomotiva del Paese, passi dalla crescita competitiva delle PMI. Chiediamo un impegno per sostenere la transizione delle micro e piccole imprese nel nuovo contesto competitivo, rendendo maggiormente attrattiva la Lombardia per chi vuole investire e fare impresa, liberando le imprese dalle “zavorre” che le affliggono. Crediamo infine che le parti sociali debbano essere considerate una risorsa strategica: non si può prescindere da chi sul territorio ha una presenza capillare, un radicamento storico, la conoscenza delle imprese e dei loro bisogni. L’economia si è messa finalmente a crescere, con l’occupazione e gli investimenti in crescita, con l’export che aumenta e con la fiducia per il futuro che sta tornando ad avere cittadinanza nelle MPI e nell’artigianato. Siamo però consapevoli che il contesto di mercato si è fatto più difficile, ad esempio, proprio per le imprese più piccole, per quanto riguarda l’accesso al credito”.

Evidenzia Eleonora Rigotti Presidente CNA “sottolineiamo l’importanza di essere riusciti a fare sistema tra diverse sigle imprenditoriali bresciane, orientando il documento agli interessi ed allo sviluppo delle imprese che rappresentiamo. Ci presentiamo coesi, per tutelare il territorio tra i più manifatturieri e produttivi in Italia ed Europa.

Abbiamo bisogno di più attenzione da parte del mondo politico e di vedere realizzate le nostre proposte per far crescere la nostra economia e consolidare lo sviluppo, per non fermarsi davanti a una timida ripresa. La forza di essere uniti, proseguirà anche dopo le elezioni, per verificare che quanto richiesto abbia un seguito concreto e fruibile dalle imprese.”

Sul tema delle infrastrutture, sottolinea Sergio Piardi, Presidente della F.A.I. di Brescia come “Una viabilità valida al servizio del trasporto merci e passeggeri rappresenta una immensa potenzialità per l’economia regionale. Senza l’autotrasporto le merci non si muovono: ecco perché migliorare le infrastrutture è uno degli obiettivi primari per favorire lo sviluppo della circolazione delle merci e delle persone. È impossibile pensare di posticipare ancora il totale ripristino, delle infrastrutture attualmente in grande sofferenza sul territorio, quali ponti e viadotti interdetti al traffico o limitati nella portata perché non reggono neppure il traffico quotidiano, nonché la realizzazione delle opere ancora in sospeso (es: raccordo autostradale della Val Trompia)”.

Entra ancora di più nel merito Ettore Prandini Presidente della Federazione Provinciale Coltivatori Diretti, sottolineando gli interventi che servirebbero al nostro sistema agroalimentare: “Dobbiamo lavorare per rafforzare la sovranità alimentare del nostro Paese; tutelare il vero made in Italy; accelerare l’insieme dei processi di educazione all’imprenditorialità.

Tutto ciò ha come ovvia premessa il mantenimento di una linea ferma in Europa contro chi ipotizza tagli dei fondi destinati all’agricoltura (Pac), rafforzando nel contempo tutte le misure che escludono la “rendita” e puntano ad un’assegnazione degli aiuti alla luce del contributo alla sostenibilità sociale e quindi all’occupazione da parte delle imprese agricole.

Si tratta di misure strutturali che – al pari dell’esenzione dell’Irpef, dell’Irap, dell’Imu, del Bonus verde e delle misure di decontribuzione per i giovani imprenditori – hanno consentito al settore agricolo, di rilanciare l’occupazione, anche in questi anni di crisi. Misure “strutturali” certo, ma che per la pluralità delle funzioni espresse dal mondo agricolo – in termini diretti e indiretti – trovano giustificazione e riconoscimento sociale.”

Tante le istanze aperte: Pier Giorgio Piccioli Presidente della Confesercenti della Lombardia Orientale dichiara: “Confesercenti auspica una particolare attenzione ai temi del turismo quale volano di sviluppo dell’economia locale , valorizzando il ruolo delle imprese ricettive e della ristorazione, anche in chiave di valorizzazione delle produzioni agroalimentari tipiche del nostro territorio. La salvaguardia della rete distributiva rappresenta un importante presidio per i centri storici e il tessuto connettivo della socialità. Infine il credito, attraverso il sostegno ai Confidi, diviene uno dei supporti fondamentali per rilanciare le PMI garantendo adeguati investimenti”.

Così il Presidente Mariano Mussio di Assopadana “In dieci anni il mondo è cambiato completamente e per salvarsi le imprese hanno dovuto camminare su binari diversi rispetto a quello dei governanti. Per salvarci e progredire è necessario trovare una giusta direzione che accomuni tutti gli intenti se non gli interessi, altrimenti qualsiasi sforzo fatto da una parte o dall’altra risulta vano”.

Conclude Tiziano Pavoni, Presidente di Ance Brescia: “Il manifesto per i candidati regionali è frutto di un intenso e proficuo lavoro di confronto e sintesi di tutto il mondo produttivo bresciano. Il punto centrale, al di là dei singoli aspetti pur rilevanti, è che burocrazia asfissiante, norme troppo stringenti, poco chiare se non contraddittorie insieme ad iter amministrativi opachi sono i maggiori ostacoli per le imprese bresciane, che invocano una semplificazione amministrativa per competere meglio. L’intreccio e la sovrapposizione di distorte prassi amministrative, ad esempio, in tema ambientale e urbanistico è una zavorra non più sostenibile. Questo è il principale intervento che si chiede a chi governerà la Lombardia: semplificare. All’Amministrazione regionale le imprese non chiedono favori o di allentare i controlli ma regole chiare, semplici, attuabili.”

LE ASSOCIAZIONI CHE HANNO FIRMATO

Associazione Industriale Bresciana,

ANCE – Collegio Costruttori Edili,

Apindustria,

Associazione Artigiani di Brescia e Provincia,

Assopadana,

CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa,

Confagricoltura Brescia,

Confartigianato Imprese – Brescia e Lombardia Orientale,

Confcooperative Brescia,

Confesercenti,

FAI – Federazione Autotrasportatori Italiani,

Federazione Provinciale Coltivatori Diretti

Imprese e criminalità, convegno in Camera di commercio

in Associazioni di categoria/Camera di commercio/Economia/Eventi by

La Camera di Commercio di Brescia e il Comune di Brescia organizzano un ciclo di incontri dal titolo “Imprese, economia reale e rischio criminalità – Percorso attraverso criminalità organizzata, infiltrazioni mafiose e nuove frontiere del cybercrime”.

Il secondo incontro del ciclo avrà luogo Lunedì 12 Marzo 2018, con inizio alle ore 9,00, presso la Camera di Commercio di Brescia, via Einaudi 23. Per informazioni: Ufficio Competitività Imprese, tel. 030.3725264/298, mail: pni@bs.camcom.it.

Chiude negozio storico di Brescia, Confesercenti lancia l’allarme

in Associazioni di categoria/Commercio/Confesercenti/Economia/Partner by

Cala il sipario su un altro negozio storico del centro città. La notizia, riportata oggi dagli organi di stampa, della prossima cessazione della Salumeria Castiglioni di via San Faustino, dopo 96 anni di attività, non rappresenta certo un buon segnale per il commercio cittadino ed invita a riflettere concretamente su una serie di temi che da molti anni, ormai, Confesercenti ha posto sul piatto.

“Ancora una chiusura nel centro cittadino. Un’altra vetrina storica che chiude i battenti: fatto che tanto più colpisce in quanto si tratta di un esercizio operante da quasi un secolo sul territorio – commenta Pier Giorgio Piccioli, presidente di Confesercenti della Lombardia Orientale –. E’ la conferma che occorre interrogarsi a fondo sul futuro del commercio cittadino, nelle aree centrali e nelle periferie e, soprattutto, che bisogna intervenire con urgenza se si vuole salvaguardare l’esistenza di questo mondo”.     

E’ chiaro, infatti, che la chiusura non è determinata esclusivamente da fattori legati alla crisi, anche se la contrazione dei consumi ovviamente incide. “Lo ribadiamo da anni e da anni lottiamo per queste ragioni – sottolinea Alessio Merigo, direttore generale di Confesercenti della Lombardia Orientale -. Le difficoltà di accesso al centro storico e il peso fiscale che grava sui negozi di prossimità sono tra i primi problemi. Oltre ad essere accerchiati dai grandi centri commerciali, questi esercizi non sono in grado di far fronte alla loro concorrenza e via via vanno estinguendosi, portando con sé delle tradizioni e un know-how spesso unici. Non solo: la cessazione progressiva delle attività ha come conseguenza l’aumento del degrado e delle condizioni di insicurezza dei centri cittadini, con un danno sociale evidente per la collettività”.

Le proposte di Confesercenti per contrastare il fenomeno riguardano la necessità di mettere in campo iniziative di sostegno per le piccole imprese, per esempio per la riqualificazione e l’ammodernamento e di ripensare i grandi temi della viabilità da parte dell’Amministrazione anche nell’ottica di un rilancio delle attività commerciali, che dovrebbero continuare a costituire un polo d’attrazione per chi vive o si reca in centro. “Sono valutazioni che non possiamo più procrastinare – afferma il direttore di Confesercenti se vogliamo conservare i valori di fondo della nostra civile convivenza. Le vie del centro hanno sempre rappresentato il cuore pulsante del commercio e, senza commercio, il centro muore. Quando si abbassa una saracinesca è una sconfitta di tutti, non solo per i commercianti, ma anche di chi amministra e dei cittadini”.  

La politica dica cosa vuole fare del nostro voto | di Marco Bonometti

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di Marco Bonometti (discorso all’assise di Confindustria a Verona) – Cari colleghi ed amici, le Assise generali di Confindustria, si collocano strategicamente alla vigilia delle elezioni politiche, ed anche delle elezioni ragionali in Lombardia, la regione più industrializzata d’Italia ed una delle più industrializzate d’Europa.

Nel calendario dei lavori mi è stato assegnato il compito di parlarvi della semplificazione. Argomento di importanza primaria in un paese come l’Italia, che non vive di materie prime e che avrebbe estrema necessità di flessibilità e di snellezza.

È un tema a noi caro, per averne parlato in tutte le lingue ed in tutte le salse, per anni, raccogliendo sempre grandi consensi, ma con risultati lontani dai nostri desiderati, che sono poi quello che si aspetterebbe ogni cittadino italiano. La lodevole eccezione della legge Bassanini risale ormai a più di 20 anni fa – e della neo approvata ‘legge Madia’ dobbiamo ancora capirne la effettiva ricaduta.

Ciascuno di voi fa i conti tutti i giorni con le farraginosità del nostro paese, e tutti i presidenti delle territoriali e delle categorie di Confindustria hanno già detto, in tutte le sedi e meglio di me, quello che c’era da dire sul tema della semplificazione, diventato ormai la stanca litania di un discorso tra sordi.

Vincenzo Boccia e Voi tutti mi perdonerete se colgo l’occasione per parlarvi 5 minuti di noi, di come vorremmo fare gli imprenditori in Italia. Lo farò con la mia consueta franchezza, senza giri di parole,

come convinto sostenitore della democrazia, quella vera,

come convinto sostenitore del primato della politica,

e anche sostenitore del dialogo tra imprese e lavoratori.

  • Sfido chiunque, però, a dimostrare che questa che stiamo vivendo sia la democrazia che noi vorremmo realizzata ed adulta nel nostro Paese.
  • così come sfido chiunque a dimostrarmi che la gazzarra in scena nella campagna elettorale abbia la dignità della politica, al punto da rendere complicata l’individuazione dei partiti, la loro origine, la loro storia, il loro credo, il loro punto di arrivo, al punto che, nella coscienza più diffusa, non esiste più tra loro alcuna differenza, non ci sono obiettivi caratterizzanti, non ci sono più ideologie.
  • Sfido chiunque, infine, che quello che è accaduto in Acea sia manifestazione di corretta volontà di dialogo tra impresa e lavoratori, o meglio la loro rappresentanza.

Democrazia significa che il popolo governa attraverso i rappresentanti eletti, sulla base di programmi nei quali gli elettori si riconoscono e per la cui realizzazione i politici assumono impegni.

Ma non è così.

Ma quello che come imprenditori ci lascia veramente perplessi, e uso un eufemismo, è la rincorsa all’assurdo: c’è chi promette esenzioni fiscali, chi promette esenzioni contributive, chi promette pensioni a tutti, chi promette redditi a tutti, di cittadinanza, di inclusione, di povertà, e perfino più alti degli stipendi di chi lavora. C’è anche chi vuole cancellare la legge Fornero, chi vuole cancellare il Job’s act, chi si “limita”, tra virgolette alla reintroduzione dell’articolo 18.

NESSUNO SPIEGA DOVE TROVERÀ LE CENTINAIA DI MILIARDI CHE SERVONO.

Nessuno spiega come faranno poi le imprese a mantenersi competitive, in mercati globali sempre più liberi, più concorrenziali, in cui la semplificazione è normale, è ampiamente acquisita, mercati in cui si fa in giorni ciò che da noi si fa in mesi, ed in settimane ciò che da noi si fa in anni, se lo si fa.

Questo sistema non dura per caso. Dura perché va bene a chi vuole che nulla cambi, perché in questo ginepraio in cui ci vogliono mesi per un passaporto, ed anni per un esame specialistico complesso, il che fa la differenza tra il vivere e morire, prosperano l’affarismo, il sottobosco, la clientela, la corruzione.

NOI VOGLIAMO ESSERE IMPRENDITORI SERI ED UOMINI ONESTI.

E vogliamo un paese in cui gli imprenditori seri e gli uomini onesti possano lavorare e prosperare secondo le loro capacità ed il loro amore per il rischio, senza dover lottare contro i tentacoli della legislazione arcaica, confusa, contraddittoria, soffocante e della burocrazia insormontabile.

Se è vero, cari colleghi, che il primato della politica non è in discussione, allo stesso modo, io ritengo, non deve essere in discussione il ruolo dell’impresa, che in larga misura produce la ricchezza sulla quale tutto si costruisce.

Senza impresa, senza lavoro, senza ricchezza, tutto il resto crolla, travolgendo con sé le fragilità degli anziani, i sogni dei ragazzi, le speranze dei giovani, il futuro di tutti.

Un futuro incerto se in Acea, importante azienda romana a capitale pubblico, è stato firmato un accodo aziendale che reintroduce l’articolo 18. Di nascosto, nottetempo, senza coinvolgere le rappresentanze industriali.

Con i soldi dei cittadini, che pagano tasse e servizi, Acea e Sindacati hanno cancellato una legge dello Stato. Una legge che, tra l’altro, sta dando buoni frutti, contribuendo al recupero di produttività.

E tutto questo alla vigilia della firma, tra Confindustria e Sindacati, del patto per il lavoro.

Ma tu, caro Vincenzo, con chi dovresti firmare? Con gente che non ha rispetto della legge? Con gente che non ha rispetto degli interlocutori? Con gente che non rispetta neanche la propria dignità al tavolo negoziale?

COSA PUÒ FARE CONFINDUSTRIA?

Io credo che a queste domande debbano venire risposte chiare da queste Assise, che sono un momento di alta democrazia imprenditoriale.

La politica ci deve dire cosa vuole fare del nostro voto, del voto degli italiani.

Ci deve dire come, quando, dove intende operare.

Per fare che cosa, e con quali soldi.

Con progetti chiari e con tempistiche definite e verificabili.

Confindustria, dal canto suo, proponga, esiga, vigili, con programmi chiari e con scale di priorità.

E dica chiaramente ai partiti, al governo che verrà, che ad ogni azione corrisponderà inevitabilmente una reazione uguale e contraria.

Dica, ad esempio, che una consistente riduzione – organica e strutturaledei contributi previdenziali non è più rinviabile, che questa riduzione non è compatibile con la cancellazione della Fornero, perché l’Inps rischierebbe il fallimento, perché mancherebbero i soldi per pagare le pensioni.

Confindustria dica a chiare lettere che alla perdita di competitività seguiranno crisi aziendali sempre più marcate, disinvestimenti, riallocazioni delle risorse in paesi più accoglienti. Non per capriccio, non per reazione, ma perché saranno conseguenze inevitabili, secondo regole di mercato che prescindono dal nostro volere.

Dica ad alta voce Confindustria che chiede ai partiti un preciso impegno a introdurre per legge l’inderogabilità delle leggi sul lavoro, salvo che sia la legge stessa a prevederla. Questo anche per introdurre regole di civiltà nella contrattazione, per introdurre principi di correttezza inderogabile nell’azione sindacale, che prende ai tavoli quello che può, e poi estorce quello che non può.

Tutto questo Confindustria deve dirlo a voce alta, affinché ci sia un recupero di responsabilità ed una chiara assunzione di impegni, che consenta ai cittadini scelte altrettanto responsabili.

CONFINDUSTRIA, TUTTI NOI, DOBBIAMO AVER CHIARO CHE CON I COLLATERALISMI NON SI VA DA NESSUNA PARTE.

Certo, Confindustria è stata storicamente filogovernativa. E sarebbe bene che lo restasse, a mio giudizio, a condizione che politica e partiti esprimano un progetto che mette al centro l’Italia, i suoi cittadini, i suoi anziani, con le loro debolezze, i suoi giovani, con il loro futuro, i loro sogni, e le vie per tramutarli in realtà.

Senza di questo, l’Italia finirà inevitabilmente e progressivamente ai margini dei paesi sviluppati, pur avendo assets invidiabili, a cominciare dall’intelligenza degli italiani, dalla loro inventiva, dal loro attaccamento al lavoro, dalla loro genialità.

Doti preziose, che tutti noi sperimentiamo tutti i giorni, nelle nostre aziende, nei nostri operai, tra i nostri collaboratori, i nostri progettisti, i nostri manager.

Perfino la Ferrari, che il mondo ci invidia, serve a poco se non c’è chi la sappia condurre.

Qualcuno dirà che ho parlato poco di semplificazione.

E’ vero, lo riconosco.

Ma – permettetemi l’estrema semplificazione – se vogliamo cucinare qualcosa, servono prima di tutto le pentole. Altrimenti facciamo discorsi a vuoto, finiamo per prenderci tutti clamorosamente in giro.

Moda, a Brescia le imprese del settore sono 3.876

in Abbigliamento/Economia/Tendenze by
Moda a Brescia

Sono oltre 13 mila le imprese attive a Milano nel settore moda, tra produzione, commercio e design, su 34 mila in Lombardia e 224 mila in Italia secondo i dati del Servizio Studi, Statistica e Programmazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi su fonte registro imprese e Aida – Bureau van Dijk. Danno lavoro a 91 mila addetti su 192 mila in Lombardia e 846 mila nazionali e hanno un giro d’affari che supera i 21 miliardi di euro su 35 lombardi e circa 110 italiani. La città delle sfilate pesa il 6% del settore italiano in termini di imprese e l’11% per addetti ma oltre il 20% dei ricavi. E il settore continua a crescere a Milano, +0,7% in un anno.

Il settore moda in Lombardia. 34 mila imprese, 192 mila addetti e ricavi per circa 35 miliardi di euro, sono questi i numeri della moda lombarda. Sono quasi 14 mila le imprese attive nella produzione, oltre 4 mila nel design e 16 mila nel commercio. La Lombardia pesa il 15% nazionale per imprese e il 23% per addetti. Tra i territori, dopo Milano che è prima, vengono Brescia (3.876 imprese e 15 mila addetti), Bergamo (3.365 imprese e 18 mila addetti), Varese (3.285 imprese e 16 mila addetti), Como (2.533 imprese e 16 mila addetti) e Monza Brianza (2.335 imprese e 9 mila addetti). E se il settore rallenta nel 2017, segnano una crescita Sondrio (+1,4%), Milano (+0,7%) e Monza Brianza (+0,4%).

Il settore della moda in Italia. Si tratta di 224 mila imprese con 846 mila addetti e un business di circa 110 miliardi. Il settore manifatturiero tra tessili, abbigliamento, pelletteria e calzature, conta su oltre 82 mila imprese, il design quasi 18 mila e oltre 120 mila il commercio. Se Napoli (con 21 mila attività), Roma (15 mila) e Milano (13 mila) sono prime per numero totale di imprese coinvolte nel settore, Firenze e Prato sono prime nel Paese per imprese specializzate del manifatturiero (circa 6.500 ciascuna), Napoli e Roma per commercio (rispettivamente circa 15.600 e 11.400 imprese) mentre Milano e Torino sono prime per design con 1.900 e 1.200 imprese. Milano è anche prima per giro d’affari con oltre 21 miliardi, il 20% nazionale, seguita da Vicenza e Firenze con circa 7 miliardi l’una.

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