Il presidente delle Acli, il bresciano Roberto Rossini

Le Acli contro il governo: un errore la totale abolizione dei voucher

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Con una lunga nota le Acli bresciane criticano l’abolizione totale dei voucher. Ne riportiamo il testo integrale:

Le Acli provinciali di Brescia, in piena sintonia con la posizione espressa dalle Acli nazionali, ritengono che la decisione di abolire i buoni lavoro sotto la spinta del referendum sia un grave errore, che elimina una forma, seppur blanda, di regolazione del lavoro.

Come Acli bresciane saremmo stati favorevoli a importanti modifiche che avrebbero riportato lo strumento in linea con gli obiettivi per i quali fu introdotto, ossia far emergere una quota di lavoro nero e fornire alcune tutele ai lavoratori più deboli. Nei giorni scorsi avevamo presentato ad alcuni parlamentari bresciani una proposta di emendamento che contemplasse, oltre al divieto di utilizzo da parte delle imprese – che in molti casi avevano abusato dello strumento – anche la possibilità di impiego da parte del terzo settore, ovvero di enti e associazioni senza scopo di lucro e associazioni di volontariato.

L’intento era quello di avere a disposizione uno strumento che consentisse una forma, legale, di retribuzione per particolari categorie di lavoratori e/o disoccupati in condizioni di grave difficoltà, deboli e marginali, a fronte di piccole e occasionali opportunità lavorative, all’interno di progetti ben definiti.

Sul territorio bresciano, nel corso di questi anni di crisi economica, è andata intensificandosi – da parte di una rete di associazioni, parrocchie, enti locali – un’azione volta a raccogliere fondi per aiutare persone in difficoltà, tramite l’elargizione di pacchi viveri o il pagamento di parte di affitti e utenze domestiche. A queste prime misure “tampone” è stato poi fatto seguire un ulteriore step che andasse oltre il contributo economico come semplice forma di “carità”, per trasformarlo in “compenso” che ridesse anche “dignità”. Piccole e occasionali prestazioni lavorative rivolte a persone in difficoltà lavorativa e familiare, spesso ricavate all’interno delle associazioni stesse, magari in sostituzione di attività prima svolte da volontari, venivano retribuite, appunto, con lo strumento del voucher lavoro. Un’azione questa che ha trovato espressione nell’operato di tanti circoli Acli e nell’esperienza di “Dignità e Lavoro”.

Questa esperienza è stata ora minata da una scelta che invece di produrre norme più rigorose che evitassero gli abusi, ha cancellato ogni opportunità di integrazione del reddito. Una scelta che non produce diritti aggiuntivi – nessuno di coloro che venivano pagati con voucher verrà assunto a tempo indeterminato – ma li toglie, allargando ulteriormente l’area del disagio e mettendo le famiglie nelle condizioni di pagare in nero i lavori saltuari di stiro, pulizia, piccole manutenzione di casa.

In pieno assenso con le parole del nostro presidente nazionale Roberto Rossini siamo quindi convinti – e lo chiediamo con forza ai parlamentari bresciani – che “toccherà alla politica stessa riprendere questa materia per poter disciplinare alcune situazioni lavorative che esistono e vanno normate”.

1 Comment

  1. Con questo comunicato, diffuso il 20 marzo, le Acli di Brescia si pronunciano in modo critico nei confronti dell’abolizione dei “voucher” lavoro. Si ritiene, da parte delle suddette associazioni, che l’abolizione comporti l’eliminazione di una forma, seppure blanda, di regolazione del lavoro (la quale assicurava una qualche tutela ai soggetti più deboli). Un’opportuna riforma, continua il comunicato, avrebbe potuto riportare lo strumento al suo ruolo originario, l’emersione del lavoro nero, e mantenere la possibilità di impiegare i “voucher” nel terzo settore (presso associazioni senza scopo di lucro, associazioni di volontariato e famiglie, che se ne avvalevano per vari servizi).
    Trovo assolutamente commendevoli le iniziative caritatevoli, citate nel comunicato, implementate a Brescia in questi anni di crisi da parte di associazioni, parrocchie ed enti locali, a favore dei più bisognosi. Trovo invece meno convincente la parte del comunicato in cui si reclama la (presunta) valenza dei lavoretti occasionali quali mezzi per l’integrazione del reddito e per il ripristino della dignità personale dei soggetti svantaggiati.
    Anzitutto, un chiarimento: quando si parla di emersione di lavoro nero si finisce sempre per intendere che il problema che affligge il mercato del lavoro sia l’eccesso (presunto) del costo del lavoro. Ne è prova il fatto che da nessuna parte si è mai levata alcuna voce a richiedere un aumento del costo del “voucher” ad almeno 15 euro orari, invece dei 10 previsti, per contrastare l’uso smodato di tale strumento (4,2 milioni d buoni venduti nel solo 2016 a Brescia). In questo modo, ponendo l’attenzione sulla questione del lavoro sommerso, oltre a trascurare l’elementare fatto che il sommerso dipende dal fatto che a molti datori di lavoro si presenta, in determinate situazioni, la possibilità di evadere i contributi sociali, si maschera quello che è, in realtà, il vero problema che i “voucher” rappresentavano nonchè la ragione alla base della loro progressiva liberalizzazione: una concorrenza al ribasso verso le forme di lavoro maggiormente tutelate, con l’effetto di una straordinaria pressione verso il basso dei livelli salariali medi. Questo è il primo punto che faceva gridare giustizia!
    In secondo luogo, le crisi economiche non sono eventi naturali come le calamità: sono il portato di scelte messe in atto da parte degli agenti economici (come gli operatori del settore finanziario) per il perseguimento di determinati interessi. Le persone in condizione di difficoltà si trovano in tale stato fondamentalmente perchè la politica lascia alle forze agenti nel mercato i destini degli individui.
    Non bisogna mai indugiare nella contemplazione del disagio sociale, finendo per considerarlo come un dato di fatto “acquisito” a cui porre un surrogato di rimedio con qualche blanda tutela. In questo caso il punto non è dare una qualche forma di tutela a chi non ne ha nessuna; il punto è sollevare tutti verso l’alto, garantendo ad ognuno salario dignitoso e vere tutele, cioè l’opposto di ciò per il quale il “voucher” è stato escogitato e introdotto. Ricordiamo che è compito dello Stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana.
    Occorre quindi l’abbandono di ogni predisposizione mentale, culturale e politica che implichi il mantenimento dello status quo. Ed è bensì necessaria la concentrazione di ogni sforzo affinchè si vincano finalmente le (interessate) resistenze ad una impostazione che ponga al centro della cultura politica la creazione di lavoro genuino (non certo lavoretti occasionali malamente retribuiti), con il settore pubblico, alla bisogna, anche protagonista e occupatore di ultima istanza, data l’evidenza che il settore privato non è in grado di provvedere alla creazione di buona e stabile occupazione (non avendovi, peraltro, interesse). Tutte le altre posizioni, compresa quella delle Acli, vanno giocoforza ascritte al mantenimento del disastroso status quo neoliberale del quale il renzismo è la manifestazione politica evidente e, speriamo ancora non troppo a lungo, egemone.
    Infine: le Acli denunciano il fatto (da dimostrare) che, tolti di mezzo i “voucher”, le famiglie dovranno pagare in nero i lavori saltuari di pulizia, stiro, manutenzioni, ecc.
    A tal proposito si può subito osservare che, sovente, si tende a considerare saltuarie prestazioni lavorative caratterizzate invece da una qualche continuità e per le quali, quindi, si potrebbe pensare a un’assunzione (magari a tempo parziale). E poi, con simili argomentazioni non si fa altro che alimentare la proverbiale guerra fra poveri. Se molte famiglie non possono permettersi l’approvvigionamento di servizi professionali di un certo costo il problema va rinvenuto, ancora una volta, nelle condizioni economiche alle quali molti lavoratori sono oggigiorno costretti. L’allungamento dei tempi di lavoro, la riduzione dei salari e la contrazione dei servizi sociali sono i sintomi manifesti di una politica che, in nome del criterio di efficienza del mercato, tutela interessi altolocati e lascia gli ultimi a misurarsi fra loro.

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